Servizi di Architettura e Ingegneria: il carattere discriminatorio del requisito del numero medio annuo del personale tecnico utilizzato

Il d.P.R. 207/2010, art. 263, comma 1, lett. d), prevede come obbligatorio requisito di qualificazione quello del «numero medio annuo del personale tecnic...

01/12/2011
Il d.P.R. 207/2010, art. 263, comma 1, lett. d), prevede come obbligatorio requisito di qualificazione quello del «numero medio annuo del personale tecnico utilizzato».

Il requisito è sostanzialmente identico a quello a suo tempo previsto dal d.P.R. 554/1999, art. 66, comma1, lett. d): «I requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi di partecipazione alle gare sono definiti dalle stazioni appaltanti con riguardo (...) al numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni (comprendente i soci attivi, i dipendenti e i consulenti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa su base annua), in una misura variabile tra 2 e 3 volte le unità stimate nel bando per lo svolgimento dell'incarico».
Per la non condivisibile interpretazione restrittiva del requisito, cfr., in giurisprudenza, Cons. Stato, VI, 4 aprile 2003, n. 1774: «La questione di diritto verte sull'interpretazione dell'espressione «numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni». Occorre stabilire se il requisito sia soddisfatto mediante calcolo di un numero medio del personale tecnico su base annua, per ciascun anno del triennio, ovvero mediante calcolo del numero medio su base triennale, poi suddiviso per i tre anni. La prima soluzione appare più rigorosa e favorisce i concorrenti che hanno un numero elevato di dipendenti già da almeno tre anni. Si tratta perciò di una soluzione che favorisce i concorrenti aventi una capacità tecnica - organizzativa stabile nel tempo e non realizzata solo in prossimità della data dell'appalto. La seconda soluzione favorisce invece i concorrenti che sono «cresciuti» come numero di dipendenti anche solo nel periodo immediatamente precedente la data di pubblicazione del bando dell'appalto. Il Collegio ritiene di dover aderire alla prima interpretazione, seguita anche dal T.A.R., sia alla luce del dato letterale, sia alla luce della ratio legis. Invero, la norma si riferisce al «numero medio annuo» del personale, e dunque mostra di chiedere il calcolo di una media annuale autonoma e distinta per ciascun anno del triennio. Se la media andasse calcolata con riguardo al triennio, sarebbe stato sufficiente parlare di numero medio di personale nell'ultimo triennio. Sotto il profilo della ratio legis, la prima soluzione dà maggiori garanzie dell'effettiva capacità tecnico - organizzativa del concorrente, meglio soddisfacendo lo scopo perseguito dalla norma. Si deve perciò concludere che l'art. 66, lett. d), D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, laddove stabilisce che i requisiti economico - finanziari e tecnico - organizzativi di partecipazione alle gare di progettazione, sono definiti con riguardo «al numero medio annuo del personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni» va interpretato nel senso che il numero medio di dipendenti prescritto dal bando va calcolato distintamente per ciascun anno del triennio e deve essere posseduto per ognuno dei tre anni».
Cfr. anche Autorità di vigilanza, deliberazione n. 29 del 26 febbraio 2007.

La previsione regolamentare del requisito in questione - come già, a suo tempo, quella del d.P.R. 554/1999 - è pienamente contrastante con il diritto comunitario, in quanto impedisce di fatto la partecipazione alle gare dei professionisti, quali operatori economici che sono persone fisiche.
Ci si domanda: è ragionevole che i «liberi professionisti singoli od associati» di cui al D.Lgs. 163/2006, art. 90, comma 1, lett. d), che svolgano attività con lavoro prevalentemente proprio, non possano partecipare alle procedure di selezione di valore comunitario, in quanto non hanno «personale tecnico utilizzato negli ultimi tre anni», così come invece lo hanno le «società di professionisti», le «società di ingegneria», i «consorzi stabili»? 

Si obietta: "ma possono pur sempre far ricorso all'avvalimento dei requisiti". Falso. Se un requisito di qualificazione è proporzionato per tutti, nel senso che - di base - ogni operatore economico è ordinariamente e naturalmente tenuto e possibilitato a possederlo, allora nulla quaestio. Si pensi, ad esempio, per rimanere in fattispecie, al fatturato e ai servizi svolti.
Ma se un requisito è tipico solo delle imprese commerciali, come quello di cui si tratta, l'avvalimento non è rimedio compatibile con il canone della proporzionalità. Il principio di effettività della concorrenza ne verrebbe travolto.

La stazione appaltante è tenuta a conoscere preventivamente il mercato di riferimento, in relazione all'individuazione dei requisiti di ammissione alla singola procedura. Così, se non crea alcun problema partecipativo, in un appalto di pulizia, richiedere come requisito l'«indicazione del numero medio annuo di dipendenti del concorrente» (D.Lgs. 163/2006, art. 42, comma 1, lett. g)), il quadro cambia completamente per l'affidamento dei servizi attinenti all'architettura e all'ingegneria. è di immediata percepibilità che l'appalto di pulizia può essere svolto (di fatto) solo da un'impresa commerciale (al limite anche da un'associazione di volontariato che metta a disposizione del personale ...). Non così un servizio di progettazione nei lavori pubblici.
Non vale neppure replicare che il requisito del «numero medio annuo del personale tecnico utilizzato» dovrebbe, allora, essere richiesto solo al soggetto progettuale che sia una persona giuridica (società), e non anche al professionista-persona fisica. In tal caso, infatti, all'incontrario, si verrebbe a ledere la par condicio rispetto alle società.
La prima ragione di disapplicazione della norma è, dunque, di diritto comunitario.

La seconda è di diritto interno e attiene al rapporto tra fonti.
Ai sensi del D.Lgs. 163/2006, art. 5, comma 1, il «regolamento» adottato con d.P.R. 207/2010 può recare soltanto «la disciplina esecutiva e attuativa del (...) codice». «Si deve perciò ritenere che il codice abbia inteso richiamare, specificamente, l'articolo 17, comma 1, lettere a) e b), l. n. 400 del 1988 (che si riferiscono ai regolamenti esecutivi e attuativi-integrativi). Trattandosi di materia coperta da riserva relativa di legge e regolata da fonti primarie, è da escludersi l'ammissibilità di regolamenti liberi» (Cons. Stato, sezione consultiva per gli atti normativi, adunanza del 24 febbraio 2010, n° sez. prot. 313/2010). «Trattandosi di un regolamento di esecuzione ed attuazione, occorre verificare la fedeltà alla fonte primaria» (ibidem). Quindi, il regolamento non può neppure essere prater legem, non rivestendo la natura di fonte delegificata.
Ora, in materia di requisiti di qualificazione di prestatori di servizi nel campo dell'architettura e dell'ingegneria, il d.P.R. 207/2010 è andato - a tutta evidenza - oltre la specifica e compiuta previsione del codice dei contratti: «Per l'affidamento di incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori e di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo nel rispetto di quanto disposto all'articolo 120, comma 2-bis, di importo pari o superiore alle soglie di cui alle lettere a) e b) del comma 1 dell'art. 28 si applicano le disposizioni di cui alla parte II, titolo I e titolo II del codice, ovvero, per i soggetti operanti nei settori di cui alla parte III, le disposizioni ivi previste» (D.Lgs. 163/2006, art. 91, comma 1).
Per i «settori ordinari», le «disposizioni» di cui al «titolo I e titolo II» sono quelle che vanno dall'art. 28 all'art. 120 del codice. Pertanto, per i servizi in questione, per quanto riguarda la capacità «tecnica» degli operatori economici, si applica il principio di cui all'art. 42, secondo cui «la dimostrazione delle capacità tecniche dei concorrenti può essere fornita in uno o più (...) modi» (comma 1). «La stazione appaltante precisa nel bando di gara (...) quali (...) requisiti devono essere (...) dimostrati» (comma 2 del medesimo art. 42 del codice).
Quella di cui al D.Lgs. 163/2006, art. 91, comma 1, è - come si è detto - una norma conclusa, che cioè non richiede già di per sé (come per le forniture e per gli altri servizi) di essere attuata. E comunque, se di «attuazione» fosse suscettibile, di certo non lo può essere nel senso di imporre alla stazione appaltante l'individuazione in bando di un particolare requisito. Né, tanto meno, nel senso di imporre un requisito oggettivamente discriminatorio nei confronti dei professionisti, per così dire, "artigiani".
La norma di cui all'art. 91, comma 1, del codice, era ed è talmente conclusa, che il codice neppure si era preoccupato di dettare una disciplina transitoria, quale invece era stata prevista per i lavori dal comma 3 dell'art. 253 del codice stesso.

Incidentalmente, è anche da rimarcare che nelle «disposizioni» di cui al «titolo I e titolo II» della «parte II» del codice è ricompreso anche l'art. 81, comma 2, secondo cui (in modo conforme alle direttive-appalti di sempre) spetta alla stazione appaltante e non al legislatore (tanto meno a quello di attuazione) la scelta del criterio di aggiudicazione «più adeguato».

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