Il
Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con
la sentenza n. 1991 del 26 aprile 2007 ha stabilito che il
recupero dei sottotetti non può derogare agli standard
minimi imposti dalla normativa nazionale.
Il TAR ha precisato che la norma regionale per il governo del
territorio (articolo 64, comma 2, Legge regionale n. 12/2005), che
autorizza il recupero dei sottotetti anche in deroga alle distanze
minime imposte dagli strumenti comunali, non è applicabile perché
contrasta con norme nazionali “a carattere inderogabile, qual è
appunto il decreto ministeriale 1444/1968 nella parte in cui
disciplina le distanze tra fabbricati”.
La vicenda nasce dalla presentazione di una Denuncia di inizio
attività che i proprietari di un edificio residenziale avevano
presentato per il recupero ai fini abitativi di un sottotetto ed al
successivo provvedimento con cui l’amministrazione comunale aveva
vietato l’intevento rilevando che l’incremento dell’altezza di
imposta e di colmo del sottotetto non rispettano le distanze minime
previste dal D.M. n. 1444/1968.
I proprietari dell’immobile si erano rivolti al Tar della
Lombardia, impugnando il provvedimento osservando:
- che l’intervento in argomento era qualificato dalla legge come
“ristrutturazione” rendendo inapplicabile l’articolo 9 del citato
D.M. riferito espressamente ai “nuovi edifici”;
- che avevano stipulato una convenzione con i proprietari degli
immobili vicini, per il riconoscimento reciproco del diritto di
ridurre la distanza tra fabbricati in caso di sopraelevazione
finalizzata al recupero del sottotetto.
Il Comune, costituendosi in giudizio, aveva controdedotto che
l'edificio dei ricorrenti era situato in zona B-A, definita
dall'articolo 11 delle norme tecniche di attuazione (n.t.a.) come
"tessuto di più antica urbanizzazione", e che per gli "interventi
edilizi" nelle zone B-A lo stesso articolo 11 (punto 2) prevede una
distanza tra pareti finestrate (Df) non inferiore all'altezza H e
comunque non inferiore a mt 10,00.
I Giudici nella sentenza precisano che:
- la nozione di "interventi edilizi" di cui all'articolo 11
n.t.a. è tale da ricomprendere anche la ristrutturazione quando
essa comporti l'ampliamento di edifici "all'esterno della sagoma
esistente";
- l'art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444,pur riferendosi (comma
1, n. 2) alla realizzazione di "nuovi edifici", è applicabile anche
agli interventi di sopraelevazione, e dunque anche alle
ristrutturazioni che comportino un incremento non trascurabile
dell'altezza del fabbricato;
- la normativa in questione, mirando ad evitare la creazione di
intercapedini in grado di impedire la libera circolazione
dell'aria, come tali produttive di insalubrità oltreché riduttive
di luminosità e dunque non autorizzabili per motivi igienico,
risponde ad esigenze pubblicistiche che sovrastano gli interessi
dei singoli, per soddisfare interessi generali, e non è pertanto
suscettibile i deroghe patrizie.
I giudici precisano anche che a sostegno dell'opposta tesi non può
essere invocato l'art. 64, secondo comma, della legge regionale n.
12 del 2005, secondo cui il recupero a fini abitativi dei
sottotetti esistenti " ... è ammesso anche in deroga ai limiti ed
alle prescrizioni degli strumenti di pianificazione comunale ...",
dovendo la norma interpretarsi nel senso che la derogabilità non
opera nei casi in cui lo strumento urbanistico riproduce
disposizioni normative di rango superiore, a carattere
inderogabile, qual è appunto il decreto ministeriale nella parte in
cui disciplina le distanze tra fabbricati, trattandosi di materia
inerente l'ordinamento civile e rientrante, come tale, nella
competenza esclusiva dello Stato.
Per questi motivi Tribunale amministrativo regionale per la
Lombardia ha respinto il ricorso dei proprietari.
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