Si terrà ad Ancona dal 10 al 12 aprile 2008 il XXVI Congresso
nazionale
”Il nuovo Piano” con l’obiettivo di tracciare un
primo bilancio di quanto è avvenuto dalla prima proposta che l’INU
(Istituto Nazionale di Urbanistica) ha lanciato nel XXI Congresso
di Bologna del 1995 (La riforma urbanistica, i principi e le
regole) ad oggi e di quanto, in particolare sia cambiato il modo di
pensare e di fare l’urbanistica.
Il cambiamento, cominciato proprio nel 1995, ha visto protagoniste
della riforma le Regioni che, partendo dalla proposta INU, si sono
del tutto dissociate dal vecchio modello rappresentato dalla legge
urbanistica del 1942 (che tuttavia è ancora in vigore).
Anche in Parlamento si è sentita l’esigenza di cambiare il modo di
fare urbanistica e, mentre nella passata Legislatura non si è
riusciti nell’intento, in quella in corso, grazie al contributo
attivo dell’INU, sembra stia cominciando un processo urgente e non
più rinviabile, proprio per consolidare il processo di riforma in
atto.
Il Governo del Territorio è oggi affrontato con un complesso di
strumenti che vanno dai piani ai programmi, dai progetti urbani
alle politiche urbane e territoriali (la pianificazione
strategica); in questi ultimi anni, il piano, che ne rimane un
momento centrale anche se non esclusivo, si è largamente modificato
nella sua organizzazione strumentale e nella forma giuridica, ma
anche nell’approccio generale, contaminato da un’attenzione
crescente per la governance e la pianificazione strategica, anche
se l’attenzione delle Regioni si è generalmente indirizzata verso
misure di riforma, anche radicale, degli strumenti della
pianificazione territoriale.
Il nuovo Piano che emerge dalle leggi regionali e che è confermato
dalla proposta di legge nazionale alla quale l’INU ha collaborato,
è comunque del tutto diverso da quello della tradizione urbanistica
italiana; una diversità assai evidente, in particolare, per il
livello comunale, ma anche per quello di area vasta, provinciale e
regionale.
La differenza sostanziale sta, com’è noto, nello sdoppiamento del
piano in due componenti, una componente strutturale non
conformativa dei diritti proprietari e quindi solo configurativi
del territorio e programmatica (tranne che per quanto riguarda i
vincoli ricognitivi), con validità a tempo indeterminato e una
operativa, conformativa della proprietà e prescrittiva, ma di
durata temporale limitata. Non si tratta di due parti di uno stesso
piano, la cui somma produce il vecchio PRG, ma di due piani
distinti e complementari: il primo, il Piano Strutturale che
definisce la strategia complessiva e le scelte essenziali per il
futuro assetto della città e il territorio; il secondo, il Piano
Operativo, relativo alle trasformazioni urbanistiche da avviare nel
periodo di validità. A questi due strumenti ne va aggiunto un
terzo, il Regolamento Urbanistico, conformativo e prescrittivo e
relativo alla gestione degli insediamenti esistenti. E’ chiaro che
quando non è prevalente il momento operativo relativamente a un
determinato livello di pianificazione, come in generale succede per
il livello d’area vasta, il piano si riduce alla componente
strutturale, con le caratteristiche essenziali prima definite.
Questo nuovo modello restituisce l’indispensabile flessibilità al
piano, garantendone la necessaria efficacia, ma consente anche lo
sviluppo della massima potenzialità progettuale nel momento
operativo, con l’utilizzazione di programmi negoziali, più efficaci
dei tradizionali strumenti attuativi, coerenti con il Piano
Strutturale e liberati quindi dalla logica del “caso per caso”. Se
inoltre lo stesso modello è caratterizzato dalla perequazione per
quanto riguarda l’attuazione degli interventi di trasformazione
della città e del territorio, vengono anche risolti alcuni problemi
basilari che hanno minato alla radice il vecchio modello, come
l’impostazione espropriativa o la decadenza quinquennale dei
vincoli urbanistici preordinati all’esproprio.
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