Una nuova riforma per i Beni Culturali?

Nel Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo circolano le notizie di una nuova riforma dei beni culturali che sarà caratterizzata da una n...

28/01/2016

Nel Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo circolano le notizie di una nuova riforma dei beni culturali che sarà caratterizzata da una nuova strutturazione delle organizzazioni delle soprintendenze (clicca qui).

La divisione territoriale come la conoscevamo una volta non esisterà più e verranno realizzate delle unità tecnico organizzative che accorperanno le diverse competenze (archeologia, beni artistici, paesaggio, beni culturali).

Saranno individuate altre unità museali autonome. (clicca qui).

L’insieme di queste azioni, viste in un grande quadro, rappresentano un altro terremoto nella catena organizzativa nel Ministero.

I funzionari sono quasi tutti disorientati, i sindacati protestano e non si capisce chi abbia dettato i tempi e le fila di tutto ciò, che arriva a breve distanza dalla precedente riorganizzazione (DPCM n. 171 del 29/08/2014).

I più avveduti segnalano che è un altro passo verso le Soprintendenze dirette da Prefetti (se si fa caso c'è una Soprintendenza per ogni Prefettura!) e, nel caos più totale, il Ministero ha emanato una circolare sulla mobilità interna del personale indicando nell'elenco delle sedi anche quelle Soprintendenze che secondo l’ultima riforma sparirebbero dal territorio.

L’unica certezza evidente è che la logica di queste mosse è politica e certamente non scientifica.

L’attenzione di questo Ministero è tutta rivolta verso la valorizzazione del patrimonio esistente e molto meno a rafforzare la catena della tutela del territorio.

Giusto o sbagliato che sia, questo è il passo pesante del Ministero e di questo Governo, che è accompagnato da una maggioranza estesa, sostanzialmente coesa nel cammino verso nuovi orizzonti.

Noialtri tecnici, da fruitori del sistema paese, non possiamo che attendere i veri esiti di questa altra serie di passaggi di consegne tra dirigenti (che paralizzeranno di nuovo, per mesi, l’attività corrente), di allocazione di personale a nuovi centri organizzativi ed a spostamenti di forza lavoro (ma i lavoratori quanto contano?).

Nel frattempo che si attui la nuova dislocazione di forze, i funzionari incaricati della tutela del paesaggio continueranno a essere subissati di richieste di pareri ambientali, i funzionari destinati alla tutela archeologica continueranno a dover preparare pareri su autorizzazioni preventive e poi tutti a vigilare con le strutture comunali durante gli scavi, le demolizioni, i lavori in genere.

E tutti insieme dovranno continuare a rispondere alle richieste della magistratura penale per gli interventi su beni ed aree tutelate in presunta assenza delle dovute autorizzazioni.

Questo perché le norme sulla tutela non sono cambiate e prevedono tutte sanzioni di carattere penale.

Abbiamo spesso evidenziato che in questo insieme di norme è facilissimo incappare in errori nello svolgimento della attività professionale e che nessuno semplifica questi passaggi, prendendo con coraggio la decisione che sembra profilarsi da lontano: le soprintendenze non tuteleranno più il territorio, che nel futuro sarà amministrato dai Comuni.

Contemporaneamente, benché nessuno voglia dichiararlo, i reati connessi alle violazioni delle norme sulla tutela sono sostanzialmente depenalizzati ed i processi finiscono quasi tutti in assoluzioni per decorrenza dei tempi dell’interesse dello stato a perseguire le violazioni (alias “prescrizione”).

Dichiararlo sarebbe diretto, ma si offrirebbe ad attacchi politici, quindi è più facile indebolire la catena finora fortissima del controllo.

La riforma non è nei beni culturali ma è nel pensare ai controlli. Diciamolo.

A cura di Ing. Mauro Fusco

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