L’Europa non ce l’ha mai chiesto!

Mi sono inoltrata tante volte nei meandri delle normative italiane ed europee, per capire le ragioni dell’accanimento sulla nostra amata libera professione d...

11/01/2016

Mi sono inoltrata tante volte nei meandri delle normative italiane ed europee, per capire le ragioni dell’accanimento sulla nostra amata libera professione di architetti ed ingegneri.

In Italia, patria d’arte archeologia architettura e ingegneria, governi di vario colore hanno assunto decisioni che negli ultimi anni hanno letteralmente annientato la qualità progettuale e ridotto i professionisti tecnici a mendicanti del potere di turno. Ogni volta che qualche diritto veniva estirpato come fosse malerba, hanno adottato la solita scusa: “ce lo chiede l’Europa”. E così ho provato a leggere nelle direttive europee cosa ci chiede questa benedetta Europa e ho avuto la conferma dei miei sospetti sui governi che tartassano chi non ha rappresentanza parlamentare e non ha neanche più la forza per combattere.

Partiamo dal giochino” trova le differenze” e analizziamo ordini professionali a confronto sui crediti professionali!

Il CNAPPC non riconosce l'attività lavorativa come forma di aggiornamento professionale, ritendendo che non possa concorrere all'acquisizione di crediti formativi, così come i tirocini o altre attività similari. Eppure lo stesso CNAPPC sostiene che le attività formative debbano avere ad oggetto le aree inerenti all’attività professionale dell’architetto, con particolare riferimento ad architettura, paesaggio, design, tecnologia, gestione della professione, norme professionali e deontologiche, sostenibilità, storia, restauro e conservazione, strumenti, conoscenza e comunicazione, urbanistica, ambiente e pianificazione nel governo del territorio.

Quando A (formazione) ha per oggetto B (attività professionale), mi consente di conseguire C (credito formativo). Ergo se svolgo B dovrei automaticamente conseguire C. E invece no! Sembra ci sia una sorta di corto circuito, per cui devo necessariamente passare da A per arrivare a C, una sorta di obolo dovuto al sistema per certificare la mia formazione professionale.

Il CNI invece riconosce ben 15 crediti ogni anno a chi compila un'autocertificazione in cui annoti la propria attività professionale.

Dunque mi sono chiesta: ma la legge che riconosce le professioni tecniche non è unica? E come è possibile che generi due regolamenti attuativi diversi? Forse architetti e ingegneri sono geneticamente differenti: i primi impossibilitati a formarsi con la propria attività professionale, i secondi predisposti alla formazione continua e permanente.

Ora veniamo alla direttiva europea in base alla quale i nostri governi si sono inventati l'obbligo dei crediti formativi con le assurde modalità che ben conosciamo. L’art. 22 della Direttiva Europea 2005/36/CE recita al comma b) che «secondo le procedure specifiche di ciascuno Stato membro, la formazione e l'istruzione permanente permettono alle persone che hanno completato i propri studi di tenersi al passo con i progressi professionali in misura necessaria a mantenere prestazioni professionali sicure ed efficaci». In premessa agli articoli si enunciano gli obiettivi della Direttiva: «l'eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi della Comunità. Per i cittadini degli Stati membri, essa comporta, tra l'altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale».

Allora ecco di cosa si preoccupava l’Europa: facilitare la possibilità di svolgere la professione in uno Stato membro diverso da quello d’appartenenza. Pensa te!

L’Europa aveva in mente che io potessi lavorare a Lione o a Dublino ed io mi ritrovo invece a dover inseguire convegni ai limiti del ridicolo per acquisire crediti formativi, come se non bastasse lo svolgimento degli incarichi, che mi costringe ad aggiornarmi su tutto l’attuale scibile tecnico-professionale, a dimostrare le mie capacità e la mia formazione.

Allora mi sono ricordata della Direttiva Bolkestein 2006/123/CE che, nata con l’obiettivo di fare dell’Europa uno spazio senza frontiere interne nel quale sia garantita la libera circolazione dei servizi, si è trasformata nell’assicurazione obbligatoria, ennesimo balzello da pagare sempre, anche in assenza di incarichi, per garantire l’eventuale committente, ma senza assicurare in alcun modo noi professionisti per il pagamento della prestazione che svolgiamo.

Certo, se avessimo avuto negli ordini professionali colleghi architetti e ingegneri a rappresentare le nostre istanze di liberi professionisti, avremmo potuto contare su un Europa di scambi culturali ed arricchire il nostro bagaglio d’esperienza, magari avremmo dovuto dimostrare la nostra formazione con la semplice autocertificazione degli incarichi svolti e la nostra professionalità con un’assicurazione che ci garantisse anche certezza dei pagamenti.

E invece: un fiorino! Non ci resta che piangere.

A cura di Raffaella Forgione
architetto e ingegnere civile e ambientale
libera professionista
componente Segreteria Tecnica di progettazione Soprintendenza Pompei
vice-presidente del Comitato Professioni Tecniche
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