Volume utile, dal TAR la differenza ai fini urbanistici e paesistici

La nozione di volume utile (come anche quella di superficie utile) è diversa ai fini urbanistici e ai fini paesistici. Mentre ai fini urbanistici attraverso ...

27/03/2018

La nozione di volume utile (come anche quella di superficie utile) è diversa ai fini urbanistici e ai fini paesistici. Mentre ai fini urbanistici attraverso il volume utile viene misurata la consistenza dei diritti edificatori, nei giudizi paesistici è utile solo il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell'insieme paesistico.

Lo ha chiarito la Sezione VIII del Tribunale Amministrativo Regionale della Campania con la sentenza 1 febbraio 2018, n. 712 mediante la quale ha rigettato il ricorso presentato contro il Ministero per i Beni e le Attività Culturali per l'annullamento di un provvedimento avente a oggetto il parere negativo sull’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica.

I fatti

Il caso riguarda l'istanza di accertamento di conformità paesaggistica e variante suppletiva in corso d’opera al permesso di costruire avente ad oggetto "la rimozione e la bonifica di copertura di eternit e rifacimento della stessa mediante struttura in legno lamellare con l'installazione di un impianto fotovoltaico integrato ad innovazione tecnologica da 11,04 kWP".

Nell'ambito dei lavori concernenti tale permesso di costruire sono state realizzate alcune modifiche e, in particolare l'innalzamento della quota delle falde della copertura (in riferimento alla linea di gronda si è passati da mt. 7,15 a mt. 8,00 e da mt. 6,50 a mt. 7,80 sul lato anteriore sud) e la realizzazione di alcune opere interne (tramezzature ed impianti) al primo piano per trasformare il magazzino in abitazione.

In virtù delle suddette variazioni e difformità, la società ricorrente ha richiesto una variante suppletiva in corso d'opera, anche ai fini del mutamento della destinazione d'uso, e l’accertamento di conformità urbanistica e di compatibilità paesaggistica, rispettivamente, in virtù dell'art. 36 del D.P.R. 380/2001 e dell'art. 167 comma 4 e 5 del D.Lgs. n. 42/2004 per quanto riguarda le difformità riguardanti la copertura.

La Soprintendenza Archeologica belle arti e paesaggio ha espresso parere negativo sull’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica in quanto “le difformità oggetto di accertamento di conformità paesaggistica consistono sostanzialmente nella realizzazione della copertura dell'immobile identificato in oggetto ad una quota d'imposta superiore a quella autorizzata; considerato che tale difformità si configura come incremento di volume utile e ha determinato una quota di imposta delle falde di copertura pari a ml 8,35 sul fronte nord e ml 8,00 sul prospetto sud in completa difformità alle Norme Tecniche di Attuazione del P.T.P. vigente che all'art. 18 prevedono per edifici ubicati nelle aree agricole un'altezza massima pari a ml 7,50”.

La decisione del TAR

I giudici di prime cure hanno chiarito che la nozione di superficie e volume utile è diversa ai fini urbanistici e ai fini paesistici: mentre nelle valutazioni di natura urbanistica attraverso il volume utile viene misurata la consistenza dei diritti edificatori (che sono consumati da alcune tipologie costruttive, ad esempio l'edificazione fuori terra, e non da altre, ad esempio la realizzazione di locali tecnici), nei giudizi paesistici è utile solo il volume percepibile come ingombro alla visuale o come innovazione non diluibile nell'insieme paesistico. Un volume irrilevante ai fini urbanistici potrebbe creare un ingombro intollerabile per il paesaggio, e in questo caso sarebbe senz'altro classificabile come utile in base ai parametri estetici attraverso cui viene data protezione al vincolo paesistico. Reciprocamente, un volume utile ai fini urbanistici potrebbe non avere alcun impatto sul paesaggio, e dunque, in assenza di danno per l'ambiente, non potrebbe costituire un presupposto ragionevole per l'applicazione di una misura.

Ciò premesso, l'art. 167, comma 4 del d.lgs. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) prevede il possibile accertamento postumo della compatibilità paesaggistica solo nei seguenti tassativi casi:
a) per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall'autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
b) per l'impiego di materiali in difformità dall'autorizzazione paesaggistica;
c) per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria (art. 3 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, T.U. Edilizia).

Nel caso di specie l’innalzamento della copertura ha incidenza dal punto di vista paesaggistico andando a modificare il prospetto dell’edificio e, pertanto, la relativa volumetria non può che essere ricondotta a quella contemplata dall’art. 167, comma 4 del d.lgs. 42/2004 al fine di escludere l’accertamento postumo di conformità paesaggistica.

Il ricorso è stato, quindi, rigettato.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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