Codice dei contratti e Subappalto, nelle Direttive Europee nessun limite

Le leggi dello Stato devono essere rispettate da tutti, anche dal Governo. Così non è stato se prendiamo in considerazione il tema codice dei contratti. D...

18/06/2018

Le leggi dello Stato devono essere rispettate da tutti, anche dal Governo. Così non è stato se prendiamo in considerazione il tema codice dei contratti.

Dimostriamo l’assunto con uno dei tenti esempi riscontrabili nel testo del Codice stesso che, ricordiamolo è stato predisposto dal Governo con un decreto legislativo in attuazione della legge delega approvata dal Parlamento. Orbene nella legge delega (legge 28 gennaio 2016, n. 11) non viene detto nulla in merito a possibili limitazioni del subappalto mentre il primo dei principi e criteri direttivi specifici cui avrebbe dovuto rispettare il decreto legislativo di attuazione della legge delega (vedi lettera a), comma 1, art. 1) avrebbe dovuto essere quello del “divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive”.

Basta scorrere il testo delle tre direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE per capire che nelle stesse non c’è alcuna limitazione al subappalto mentre al comma 2 dell’articolo 105 del Codice dei contratti è stato inserito come terzo periodo la frase “Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, l'eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell'importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture” che pone un limite massimo al subappalto disattendendo, di fatto, il primo dei principi dettati dal Parlamento che il Governo avrebbe avuto l’obbligo di rispettare.

Sul problema del subappalto arriva per ultima l’Ordinanza 11 giugno 2018, n. 3553 del Consiglio di Stato che chiede alla Corte di Giustizia Ue di pronunciarsi sulle limitazioni italiane in materia di subappalto con il reale rischio che i limiti previsti all’articolo 105 del Codice dei contratti vengano dichiarati contrari ai principi di libera concorrenza.

In verità l’Ordinanza fa riferimento alle disposizioni contenute nell’art. 118 del previgente d.lgs. n. 163/2006, che al comma secondo prevede che la quota subappaltabile non può essere superiore al 30 per cento dell’importo complessivo del contratto, mentre al comma quarto stabilisce che l'affidatario deve praticare, per le prestazioni affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall'aggiudicazione, con ribasso non superiore al venti per cento ma ricordiamo che le suddette limitazioni quantitative al subappalto sono state introdotte per la prima volta dall’art. 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55 e sono poi confluite nelle varie leggi che si sono succedute in materia di appalti pubblici (art. 34 legge n. 109 del 1994, art. 118 d.lgs. n. 163 del 2005 e art. 105 d.lgs. n. 50 del 2016); si tratta di disciplina di particolare rigore che trova origine nella consapevolezza che il subappalto, soprattutto laddove resti confinato alla fase esecutiva dell’appalto e sfugga a ogni controllo amministrativo, può ben prestarsi ad essere utilizzato fraudolentemente, per eludere le regole di gara e acquisire commesse pubbliche indebitamente, nell’ambito di contesti criminali.

Nel diritto dell’Unione Europea le previsioni espresse in materia di subappalto sono contenute nell’art. 71 della direttiva 2014/24/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici, che non contempla alcun limite quantitativo al subappalto, e nella previgente analoga disciplina dell’art. 25 della direttiva 2004/18; ma risultano rilevanti, in termini più generali, anche gli artt. 49 e 56 del TFUE sulla libertà di stabilimento e la libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione europea.

Tra l’altro, in materia di limiti al subappalto la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è già pronunciata, con riferimento alle previgenti direttive 2004/17 e 2004/18:

  • con la sentenza del 5 aprile 2017 della Quinta sezione, causa C-298/15 secondo la quale gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano a una disposizione di una normativa nazionale che prevede che, in caso di ricorso a subappaltatori per l’esecuzione di un appalto di lavori, l’aggiudicatario è tenuto a realizzare esso stesso l’opera principale
  • con la sentenza del 14 luglio 2016 della Terza sezione, C-406/14 con cui la Corte di Giustizia ha dichiarato che la direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, deve essere interpretata nel senso che un’amministrazione aggiudicatrice non è autorizzata ad imporre, mediante una clausola del capitolato d’oneri di un appalto pubblico di lavori, che il futuro aggiudicatario esegua una determinata percentuale dei lavori oggetto di detto appalto avvalendosi di risorse proprie.

Il non coincidente tenore delle disposizioni nazionali in materia di subappalto e del diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, ha imposto al Consiglio di Stato di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE dell’art. 118 commi 2 e 4 del previgente codice dei contratti pubblici, rispetto ai principi e alle regole ricavabili dagli articoli 49 e 56 TFUE nonché dalla direttiva 2004/18 ma, ovviamente, si tratta di un rinvio pregiudiziale anche dell’articolo 105 del nuovo Codice dei contratti di cui al d.lgs. n. 50/2016.

Il rinvio pregiudiziale si riferisce al limite del 30 per cento, non previsto dalla direttiva 2004/18, che impone una restrizione alla facoltà di ricorrere al subappalto per una parte del contratto fissata in maniera astratta in una determinata percentuale dello stesso, e ciò a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, in contrasto con gli obiettivi di apertura alla concorrenza e di favore per l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici;

Tra l’altro:

  • nel parere n. 855/2016 reso sul progetto di nuovo codice dei contratti pubblici, il Consiglio di Stato aveva osservato che il legislatore nazionale avrebbe potuto porre, in tema di subappalto, limiti di maggior rigore rispetto alle direttive europee, che non costituirebbero un ingiustificato goldplating, in quanto basati su pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro, ciò nella misura in cui non si traduca in un ostacolo ingiustificato alla concorrenza e a salvaguardia di interessi e valori costituzionali, ovvero enunciati nell’art. 36 del TFUE;
  • nel successivo parere n. 782/2017, reso sul decreto correttivo al codice il Consiglio di Stato, dopo aver dato atto della giurisprudenza della Corte di Giustizia secondo cui il diritto europeo non consente agli Stati membri di porre limiti quantitativi al subappalto, e chiarito che tale giurisprudenza eurounitaria si è formata in relazione alla previgente direttiva 2004/18, si è espresso nel senso che la nuova direttiva 2014/24 consente agli Stati membri di dettare una più restrittiva disciplina del subappalto, rispetto alla maggiore libertà del subappalto nella previgente direttiva, ciò perché include nella disciplina del subappalto finalità che finora erano state specifiche della legislazione italiana, ossia una maggiore trasparenza e la tutela giuslavoristica oltre che la tutela delle micro piccole e medie imprese; ciò può indurre alla ragionevole interpretazione che le limitazioni quantitative al subappalto, previste dal legislatore nazionale, non sono in frontale contrasto con il diritto europeo, potendo essere giustificate, da un lato alla luce dei principi di sostenibilità sociale che sono alla base delle stesse direttive, e dall’altro lato alla luce di quei valori superiori, declinati dall’art. 36 TFUE, che possono fondare restrizioni della libera concorrenza e del mercato, tra cui, espressamente, l’ordine e la sicurezza pubblici.

In allegato l’Ordinanza 11 giugno 2018, n. 3553 del Consiglio di Stato.

A cura di arch. Paolo Oreto

© Riproduzione riservata