NTC 2018: il Re salvi l'Ingegneria!

22 Marzo - 22 Giugno: sono trascorsi oltre quattro mesi in un assordante silenzio ed un inverosimile immobilismo da parte di Ministero, ordini ed istituzioni...

di Giacomo Mecatti - 03/07/2018

22 Marzo - 22 Giugno: sono trascorsi oltre quattro mesi in un assordante silenzio ed un inverosimile immobilismo da parte di Ministero, ordini ed istituzioni… Il tanto controverso e dibattuto punto 8.5.3 della nuova norma 2018 non è stato corretto né tantomeno "spiegato" ma semplicemente imposto e di fatto se si eccettua l'azione, che potremmo definire eroica, del CODIS “Comitato per la Diagnostica e la Sicurezza delle Costruzioni e dei Beni Culturali”, nessuno ha più sollevato alcun dubbio sulla leicità o meno dell'estromettere dalla diagnostica sugli edifici i tecnici che finora l’hanno svolta… In effetti, a ben leggere, proprio di questo si tratta: consegnare ai Laboratori una esclusiva “competenza” su quanto invece spetterebbe a tutti i tecnici (che già, per titolo di studio, sono anche “diagnosti delle strutture”) così come peraltro avvenuto negli ultimi quindici e più anni, se non più semplicemente stabilito (si può dire da sempre) per legge. Ma andiamo con ordine.

Il punto 8.5.3 rappresenta il prodromo per cancellare progressivamente la figura del libero professionista "diagnosta", "patologo delle strutture", figura che è il naturale compimento di quella preparazione tecnica e culturale di un ampio numero di tecnici laureati abilitati (ingegneri, architetti, …); col citato p.to 8.5.3, no, tali figure vengono soppiantate tout court dai soli laboratori autorizzati… il tema è semplice: da un lato la professione di ingegnere da sempre "saccheggiata" da tante altre figure, dall'altra un mercato - quello delle indagini sul costruito - che offre tantissime potenzialità e che in nome di un'ipotetica "regolamentazione" viene di fatto tolto agli unici a cui spetterebbe, i tecnici che - per titolo di studio ed iscrizione all'albo - possono definirsi esperti in materia!

Piaccia o non piaccia solo gli ingegneri (ed architetti) hanno il diritto-dovere-responsabilità di "mettere mano" alle strutture ed ai materiali che le costituiscono; d'altronde non sarebbe sconvolgente pensare che in sala operatoria il chirurgo può entrare solo se accompagnato dal laboratorio che ha fatto gli esami per il paziente? Il cantiere è la sala operatoria in cui l'Ingegnere può avvalersi di validi supporti ed aiuti ma non in cui deve sentirsi addirittura messo all'angolo o ospite… Con l'entrata in vigore delle nuove NTC2018 invece le figure di ingegnere ed architetto vengono relegate ad un ruolo secondario; il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (Servizio Tecnico Centrale) ormai nell'imminenza dell'entrata in vigore della norma pubblicava una nota (n.3187 del 21/03/2018) in cui ribadendo quanto scritto nelle NTC2018 specificava anche che i prelievi potevano essere fatti esclusivamente dai Laboratori e che: "il laboratorio dovrà garantire, conservandone evidenza ai fini dei controlli del STC, l’adeguato grado di competenza anche mediante formazione specifica e documentabile, dimostrabile in occasione di future visite ispettive da parte di questo STC"; è evidente il paradosso: anziché lasciare immutato un modus operandi che non aveva fino ad allora mostrato alcuna criticità, si è preferito assegnare ai Laboratori tale ruolo anche se mancanti di qualunque specifica “competenza” in merito.

Una scelta che lascia ancora più sbalorditi se si pensa che i "laboratori" per loro stessa natura (così come sono intesi e definiti dallo stesso Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nella Circolare n.7617 del 8/09/2010) sono solo un "luogo fisico" ben definito in cui si effettuano prove con presse ed apparecchiature fisse ed in cui è richiesta la presenza costante e continuativa di un direttore, quindi niente hanno a che vedere con la dinamicità e peculiarità del cantiere; viene anzi da chiedersi, stante questo fondamentale assunto (cioè della necessaria presenza continuativa del direttore durante lo svolgimento delle prove) come sia possibile che lo stesso laboratorio effettui più prove in più cantieri o che valore o significato abbiano i certificati eventualmente rilasciati dai laboratori (anche in precedente regime NTC2008) per prove eseguite in situ, quando cioè questo requisito non potrà mai essere stato rispettato (se non chiudendo temporaneamente la sede del laboratorio che pare - in vero – un caso irreale).

Nell'incomprensibile sonnacchioso silenzio di ordini ed istituzioni si sta cioè cercando di affermare che prima delle competenze fornite da un percorso di studi e dei doveri-diritti posseduti in virtù dell'appartenenza ad un albo professionale, prima di ciò che è stabilito per legge da oltre 90 anni, prima di tutto questo… può il possedere l'autorizzazione ministeriale ed anzi, anche non possedendola (perché ancora non specificamente istituita per le prove in situ) l’essere, in deroga a tutto, semplicemente un Laboratorio; un caso unico nel panorama delle competenze professionali che potrebbe costituire, se rimanesse così la norma, un precedente dalle ricadute incalcolabili: il peso della competenza professionale rilasciata da un Ministero (dell’Istruzione) contro quella di un'autorizzazione rilasciata da un organo (il CSLP) facente parte di un altro Ministero (dei Lavori Pubblici)… a cosa varrebbero allora i titoli di studio ed i percorsi professionali ed universitari?

Quello di conoscenza del costruito è un processo iterativo che non può non presupporre la fusione, in un'unica figura, delle competenze di indagine-verifica-progetto; la validità delle prove in situ passa quindi per un aspetto che i "laboratori", per loro stessa definizione, non potranno e dovranno mai avere: la valutazione ed interpretazione dei dati ottenuti; se così non fosse avremmo altrimenti un altro paradosso di conflittualità, pari a quello che si avrebbe se i Laboratori potessero firmare progetti o effettuare verifiche di vulnerabilità o di sicurezza degli edifici…

Esiste peraltro, da sempre, nell'ingegneria l'attenzione per lo studio della difettologia dei materiali, dei dissesti, delle buone regole dell'arte perché questo insieme di conoscenze concorrono al corretto approccio al problema del costruito... è chiaro ed evidente che questo patrimonio di conoscenze e competenze non può peraltro essere sostituito da "tecnici surrogati" o da “enti autorizzati” ottenibili con certificazioni, alternative al titolo di studio, che non sarebbero in grado di colmare un gap incolmabile, in quanto oggettivo.

Né varrebbe pensare che in virtù del loro ruolo di pubblica utilità, tali compiti possano essere svolti solo dai laboratori: allora per ruoli delicati come quelli di consulente di tribunale (CTU) o di direzione lavori (che possono equipararsi a quelli di Pubblico Ufficiale) quale ulteriore "titolo o autorizzazione" dovremmo auspicare? Così non è perché si riconosce alla figura del tecnico la competenza oggettiva data dal titolo di studio e dall’iscrizione al proprio albo!

Oltretutto il grande sforzo profuso dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici per aumentare la sicurezza dei controlli sul costruito, consegnando poi tale compito nelle mani esclusivamente dei Laboratori, diverrebbe paradossalmente del tutto sterile nel momento in cui non venisse fatto un passo invece veramente indispensabile e propedeutico e del tutto ancora in buona parte mancante: la chiara e certa individuazione delle metodologie di prova e della loro esecuzione, ovvero linee guida o circolari operative che anziché ricopiare pedissequamente gli eurocodici ed i loro “Knowledge levels” descrivano ed individuino in maniera univoca, definitiva e spendibile (calandoli nell’effettivo contesto del costruito esistente, italiano) tutti i metodi e modalità di svolgimento delle singole prove distruttive e non distruttive da eseguire sulle strutture.

Insomma nello scrivere la norma ci si è posti molto il problema di chi dovesse fare cosa, ma per niente di come farlo fare ed in virtù di quali effettive competenze (già esistenti).

Il 4 Luglio davanti al TAR si aprirà il ricorso verso le NTC2018, promosso dal CODIS, per stoppare immediatamente tali storture; tornano allora alla mente le parole semplici ed inconfutabili scritte nel Regio Decreto del 23/10/1925 (Regolamento per le professioni d'ingegnere ed architetto): "Sono di spettanza della professione d'ingegnere il progetto, la condotta e la stima dei lavori per estrarre, trasformare ed utilizzare i materiali direttamente od indirettamente occorrenti per le costruzioni e per le industrie, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto, di deflusso e di comunicazione, alle costruzioni di ogni specie, alle macchine ed agli impianti industriali, nonché in generale alle applicazioni della fisica, i rilievi geometrici e le operazioni di estimo".

Che dire allora? il Re salvi l'ingegneria!

A cura di Ing. Giacomo Mecatti

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