Alcuni interrogativi dopo il crollo del Ponte di Genova

Ci sono accadimenti che segnano, più di altri, la vita individuale e la storia collettiva, il collasso del Ponte sul Polcevera appartiene a questa categoria,...

29/08/2018

Ci sono accadimenti che segnano, più di altri, la vita individuale e la storia collettiva, il collasso del Ponte sul Polcevera appartiene a questa categoria, per la forza simbolica che quel disastro è stato in grado di raccontare: una delle più importanti opere pubbliche del boom economico è crollata trascinando con sé, in una tragica sintesi, il suo significato di collegamento tra due parti di città, di fiducia, quella necessaria per attraversarlo, di speranza perché quel ponte era rivolto al futuro, a partire dal suo audace disegno.

Verrà naturale ricordare il crollo di Genova come un fatto che segnerà una linea di demarcazione (è già accaduto per le Torri Gemelle, nel 2001). E’ auspicabile, adesso, che la risonanza sociale provocata dal disastro serva come spinta per imboccare una nuova strada, partendo dalla consapevolezza della molteplicità dei ritardi che segnano il paese e che, ripetutamente, presentano il conto grazie a terremoti, disastri idrogeologici e all’eccesso di cementificazione, alla diffusa mancata manutenzione e/o adeguamento delle infrastrutture pubbliche (ma anche private).

Le parole del dibattito pubblico ripetono che non si è fatto abbastanza sui temi della prevenzione e del controllo, in un contesto in cui, ancora non esauriti gli echi del crollo di Genova, si è verificato un altro grave fatto nelle gole del Pollino(un bene pubblico) dovuto, molto probabilmente, all’inadeguatezza di prescrizioni, approvate ma mai rese vigenti, sintomo di strumenti normativi,dalle leggi ai regolamenti, la cui applicazione viene disattesa, rinviata o lasciata al caso.

La vicenda, a questo punto, stimola alcune riflessioni e interrogativi affinché i morti di Genova non siano un inutile sacrificio. Ci sarebbe da chiedersi, allora, per non cadere in vuoti di memoria:

  1. se il sistema delle Stazioni Appaltanti (oltre 30 mila ) sia adeguato per gestire uno sforzo di ricostruzione, di consolidamento e/o manutenzione delle piccole e grandi infrastrutture del paese o non sia piuttosto necessario dare attuazione al Codice degli Appalti del 2016 che contempla, insieme al rating delle strutture che si occupano di progettazione e gare, la loro drastica razionalizzazione e riduzione;
  2. se la competenza e la qualificazione del personale impiegato nelle PA, la cui efficienza è a macchia di leopardo, non richieda un surplus di interventi formativi volti a professionalizzare gli uffici e a rinforzare le Stazioni Appaltanti, anche quale antidoto anticorruzione, come sostiene da tempo il Presidente Cantone;
  3. se le Stazioni Appaltanti e i Dipartimenti universitari abbiano iniziato a utilizzare il dispositivo offerto dal tanto contestato Codice degli Appalti del 2016, che prevede la possibilità di finanziare con il fondo per l’ innovazione “dottorati di ricerca” sui  temi dei lavori pubblici ( es. contratti di efficienza energetica, valutazione di investimenti pubblici e proposte di finanza di progetto, BIM-sistemi digitali per la progettazione e il controllo delle opere pubbliche), assunta la necessità di  affrontare i problemi con  uno studio permanente e multidisciplinare, integrando la  teoria  con la pratica quotidiana;
  4. se sia un pensiero “impossibile” attrezzare le  Stazioni Appaltanti bandendo  concorsi pubblici per personale qualificato, come richiede peraltro recente Raccomandazione UE, rispondendo con ciò al duplice bisogno di ringiovanire  le strutture tecnico-amministrative, in sofferenza dopo i vincoli del Patto di Stabilità,  e di trattenere sul  territorio nazionale esperti e risorse umane altrimenti costrette ad emigrare;
  5. se sia ragionevole collegare le esigenze di sicurezza della statica dei ponti(il tema del giorno) con quelle  delle complessive  risorse economiche  necessarie per predisporre le misure richieste dalla sicurezza antincendio nelle scuole, dalla tenuta dei solai, dall’amianto presente negli edifici pubblici e  dalla antisismicità, nel quadro di  un pensiero più ampio volto alla rigenerazione delle città e delle sue periferie.

Sono, questi, solo alcuni degli interrogativi operativi ai quali sarebbe opportuno dare una risposta per non limitarsi a riprodurre sempre lo stesso copione di un paese alle prese con i medesimi problemi dovuti, per lo più, a inadeguata o assente interazione pubblico-privato, insufficiente programmazione, difficoltà nella  predisposizione dei progetti, lentezza nella gestione dei fondi disponibili, inadeguati controlli, perché solo burocratici.

Argomenti all’ordine del giorno da quasi trent’anni.

Assumere come prioritari questi profili di criticità aiuterebbe forse a cogliere  che, dietro al pasticcio della concessione ad Autostrade per l’Italia, fa capolino l’assenza di una legge che regolamenti le lobby, come sembra dimostrare l’opacità della concessione in essere  e il groviglio di norme che il Codice Appalti dedica alle autostrade, tra le quali compare l’incomprensibile divieto per lo Stato di usare la formula della finanza di progetto di iniziativa pubblica in caso di concessioni in scadenza.

Non adagiatevi su ciò che è passato, né su quello che verrà”, canta Leonard Cohen, quasi ammonendoci sul fatto che la “cattura del regolatore” da parte di Autostrade per l’Italia, alla quale sono stati assicurati dallo Stato extraprofitti slegati da investimenti, era fenomeno noto da oltre quindici anni. Ma l’Italia, si sa, come sosteneva un grande giornalista, è un paese di contemporanei.

A cura di dott. Enrico Conte
Direttore Area Lavori Pubblici e finanza di progetto Comune di Trieste

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