Diagnostica e controlli sulle opere esistenti ai sensi delle nuove Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC)

Ad un anno dall’entrata in vigore delle NTC2018 abbiamo intervistato l’ing. Eduardo Caliano Presidente della CODIS, associazione che per prima aveva sollevat...

29/04/2019

Ad un anno dall’entrata in vigore delle NTC2018 abbiamo intervistato l’ing. Eduardo Caliano Presidente della CODIS, associazione che per prima aveva sollevato le criticità ed incongruenze presenti nella norma. Inizialmente nata come comitato, l'Associazione per il Controllo la Diagnostica e la Sicurezza delle Strutture Infrastrutture e Beni Culturali (CODIS) ha svolto e sta svolgendo un ruolo importante nel raccogliere da un lato le segnalazioni delle difficoltà operative degli esperti operanti nel settore, dall’altro propositivo verso il Ministero delle Infrastrutture Trasporti e Lavori pubblici per giungere ad un migliore o addirittura nuovo inquadramento dell’intero settore della diagnostica e controlli sulle opere esistenti.

Presidente, come è nata l’associazione CODIS, cosa vi ha portato ad unire tanti soggetti diversi e diffusi sul territorio nazionale?

Tutto è partito da un giro di telefonate ed, in particolare, da una email. Erano le settimane successive all’emanazione delle nuove Norme Tecniche sulle Costruzioni, nel febbraio 2018. Il settore era, e ad oggi resta in fibrillazione, per via del comma aggiuntivo al punto 5.3 del Capitolo 8, che nei fatti, seppur nato con il condivisibile intento di mettere ordine nel mondo delle prove strutturali, ha finito per creare non pochi problemi operativi ad alcuni degli storici operatori del settore della diagnostica strutturale. Ebbene, dopo un giro di telefonate tra operatori del settore che in moltissimi casi non si conoscevano se non per esser stati avversari sia nel campo delle commesse private che pubbliche, e dopo una email di sensibilizzazione dove si spiegavano le ragioni per le quali era giusto far sentire la voce degli storici operatori dediti ai controlli sperimentali sulle strutture in opera, è partita una volata che ha riunito su tutto il territorio nazionale sia i professionisti che le imprese operanti nel settore. La prima tappa è stata la presentazione del ricorso al TAR per il punto 5.3 del Capitolo 8. Successivamente, visto il successo in termini di partecipazione da parte degli operatori, che a gran voce chiedevano che le imprese del settore avessero una rappresentanza stabile ai tavoli tecnici ed amministrativi, il 26 ottobre 2018, le stesse aziende e gli stessi professionisti del ricorso al TAR, unitamente a decine di altri soggetti imprenditoriali che via via da nord a sud si sono uniti, hanno dato vita all’Associazione.

Cosa distingue la vostra associazione da altre forme associative che uniscono già professionisti o esperti in vari modi, quali ad esempio ordini professionali o associazioni di categoria?

Mi perdoni, più che marcare i distinguo partirei da cosa ci accomuna. Veda in questi mesi, confrontandomi con gli altri rappresentati di associazioni di categoria, sia le associazioni che rappresentato gli operatori dei laboratori sperimentali sui materiali sia le associazioni che aggregano i colleghi esperti nelle prove non distruttive sulle costruzioni in opera, ci siamo resi conto che tutti eravamo d’accordo su di un fatto: l’intero settore va adeguato alle esigenze attuali del mercato. Da qualche mese, vado ripetendo nelle occasioni di seminari o di riunioni di categoria e con gli iscritti alla CODIS, che le NTC2018 rappresentano una opportunità. Questo può sembrare strano, se ci si ferma al fatto che la CODIS nasce sull’eco del ricorso al TAR contro le Norme Tecniche, ed invece non è così. Penso che occorra trasformare le criticità in una occasione; se il settore tutto è concorde sull’aspetto riformativo, ebbene questo rappresenta il momento per farlo. Occorre evitare che la riforma sia scritta a colpi di sentenze (il merito del ricorso è atteso a fine giugno), ma che sia il settore stesso, in maniera matura, a cercare una regolamentazione. Detto questo, la CODIS ad oggi rappresenta, nel panorama delle associazioni di categoria, le istanze dei soggetti imprenditoriali, che in forma singola o associata, operano nel settore. In altri termini rappresentiamo, soprattutto, le esigenze di quegli operatori che hanno deciso di incentrare la loro attività professionale esclusivamente nel settore dei controlli sulle strutture in opera, conseguendo un elevato grado di specializzazione. Queste imprese, con un elevato know how, vanno tutelate.

Quali criticità sono state subito individuate dalla vostra associazione?

Il settore dei controlli sulle strutture in opera è un settore relativamente giovane e, come tale, risente di una serie di peccati di gioventù! Seppur le tecniche di diagnostica strutturale siano in uso da decenni, la loro applicazione su vasta scala è oramai d’uso comune solo a partire dalle NTC 2008 e, in particolare con la Circolare applicativa del 2009. Abbiamo già detto della questione legata al Capitolo 8 delle NTC. Occorre, inoltre, fare tanto nel senso della scrittura dei Capitolati Speciali e delle voci di Prezzario nei Lavori Pubblici. Non è possibile infatti, vedere che ad oggi ci siano appena 6 prezzari regionali che contemplano il minino essenziale per le indagini strutturali e che fra gli stessi ci siano differenze di prezzo non giustificabili con il solo principio della condizione “geografica”.

Una evoluzione in tal senso potrebbe giungere dall’applicazione, con apposito strumento di regolamentazione su cui sappiamo essere già al lavoro i funzionari del MIT, dell’art. 111 del Codice Appalti, che vede nella spesa economica per il controllo delle costruzioni nell’ambito dei lavori pubblici, una voce di prezzo alla stregua dei costi per la sicurezza e come tali, non ribassabili. Questo garantirebbe più serietà e più integrità in tutta la filiera dei controlli strutturali.

Qual è il panorama nazionale attuale del “settore diagnostica”?

Il settore diagnostica strutturale è una eccellenza professionale del nostro Paese. Ad oggi le nostre imprese si formano sul campo, applicando le tecnologie, a volte anche sperimentali e pioneristiche, sull’immenso patrimonio strutturale, infrastrutturale e di interesse monumentale italiano. Una immensa palestra insomma, che ha forgiato le competenze interdisciplinari del tecnico diagnosta. Non a caso da un sondaggio in associazione è emerso che accanto ad una nutrita rappresentanza di ingegneri (civili o edili), ci sono geologi, architetti, geometri e periti che hanno contaminato le rispettive competenze. Così, ad esempio accanto all’ingegnere civile, trovi nella stessa azienda l’architetto esperto di costruzioni storiche o il perito esperto di apparecchiature elettroniche per i sistemi di monitoraggio. Un settore quindi “vibrante” di innovazioni, che sta riscuotendo interesse anche da parte di mercati esteri, soprattutto quelli delle regioni dell’est Europa che hanno analoghi problemi di tutela del patrimonio da eventi sismici.

Perché ritenete “strategico” il potenziare e qualificare tale ambito?

Sì dice bene, “strategico” è l’aggettivo giusto. Penso che il potenziamento del settore sia di interesse nazionale. La diagnostica del costruito, sia di importanza storico monumentale che di tipo contemporaneo, rappresenta una rivoluzione copernicana nel modo di intendere sia gli interventi di progettazione che di manutenzione programmata. Con l’approccio diagnostico infatti, si esce dal campo delle incertezze e del “secondo me si fa così”, per entrare nel campo delle certezze, con la determinazione esatta del tipo di intervento da eseguire. Può sembrare assurdo, ma l’approccio diagnostico, ad oggi per gran parte empirico e frutto dell’esperienza dell’operatore, fa scaturire un taglio deterministico alla progettazione ed alla manutenzione. Attraverso la diagnostica si possono quindi, pianificare gli interventi da eseguire senza paura di ritrovarsi con costosissime varianti progettuali. Il che si traduce in un vantaggio economico sia in ambito privato che in quello pubblico. Pensi che un recente studio scientifico ha dimostrato una cosa che agli operatori del settore era già nota: l’aumento del livello di conoscenza su di una struttura (passando da LC1 a LC2 e quindi, ad LC3) ha abbattuto del 30% i costi stimati di realizzazione dell’intervento. Non poco se in gioco ci sono interventi su strutture di una certa complessità.

Quali iniziative avete portato avanti finora e quali le prospettive nel breve e medio termine?

Le confermo, siamo in fermento. Ci sono diverse iniziative a vantaggio della categoria su cui stiamo lavorando, ma su di una in particolare siamo concentrati: puntiamo ad una rinnovata regolamentazione del settore. Sul punto abbiamo trovato una sintesi con le altre associazioni di categoria. Del resto il quadro normativo di riferimento è del 1971 (la legge 1086), che in merito alle prove, concepiva solo i controlli di accettazione sulle nuove costruzioni. Si trattava di una Italia molto diversa da quella attuale: un intero paese in crescita, con fame di abitazioni, strutture e infrastrutture. Oggi invece occorre controllare l’esistente e, come dicevamo, ottimizzare gli interventi anche sotto il profilo economico. Adesso viene la parte più difficile: convincere chi scrive le regole del gioco che il settore dei controlli strutturali è di interesse strategico per il Paese. La tematica è urgente ed indifferibile. I tristi fatti di Genova d’altronde lo dimostrano. Confidiamo che la classe politica alla guida del Paese raccolga l’istanza.

Ringrazio l’ing. Eduardo Caliano per il prezioso contributo.

A cura di Ing. Gianluca Oreto

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