Ordine di demolizione Vs Permesso di costruire in sanatoria: nuove indicazioni dalla Cassazione

Il permesso di costruire in sanatoria rilasciato dall'amministrazione può essere sindacato dal giudice dell'esecuzione che ha emesso l'ordine di demolizione?...

30/05/2019

Il permesso di costruire in sanatoria rilasciato dall'amministrazione può essere sindacato dal giudice dell'esecuzione che ha emesso l'ordine di demolizione?

La risposta è positiva e arriva dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 23474/2019 con la quale viene rigettato il ricorso presentato per l'annullamento di una decisione di primo grado che aveva a sua volta rigettato la richiesta di sospensione di un ordine di demolizione nonostante la richiesta di concessione edilizia in sanatoria, il cui deposito era stato certificato in pari data dal dirigente l'ufficio competente.

I fatti

L'amministrazione comunale, a seguito di domanda di istanza di condono edilizio, rilasciava un permesso di costruire in sanatoria di un immobile precedentemente soggetto a ordine di demolizione disposto dalla Procura della Repubblica. Il permesso di costruire era stato rilasciato a sanatoria di opere abusive la cui volumetria delle opere fuori terra dell'immobile era stata definita in meno di 750 mc. in quanto il piano seminterrato destinato a deposito/cantina, non comportando carico urbanistico, non era computabile ai fini della determinazione della cubatura dell'edificio.

Il giudice dell'esecuzione, recependo il parere contrario del P.M. e rigettando l'istanza difensiva, ha, invece, ritenuto che l'altezza del piano seminterrato computabile ai fini della volumetria fosse quella emergente dal piano di campagna, conseguendone che l'immobile, nella sua altezza complessiva, fosse pari a 8,20 metri dal piano di campagna, mentre nel piano originariamente allegato alla richiesta di permesso di costruire in sanatoria veniva riportata come pari a 7,20 metri. Circostanza ritenuta sufficiente a far ritenere il permesso illegittimo, in quanto la cubatura asseverata era pari a 742 mc.

La decisione della Cassazione

Gli ermellini hanno immediatamente chiarito che il giudice dell'esecuzione può dichiarare l'illegittimità di un permesso di costruire in sanatoria e disporre quindi la demolizione dell'opera abusiva. Nel caso di specie, il giudice dell'esecuzione ha rilevato che l'altezza del piano seminterrato che va computata ai fini della volumetria è quella emergente dal piano di campagna, con la conseguenza che l'immobile nella sua altezza complessiva è pari a 8,20 metri dal piano di campagna, con conseguente illegittimità del permesso di costruire in sanatoria.

Il provvedimento impugnato si fonda sul superamento del limite di 750 mc previsto, ai fini della sanatoria, dall'art. 39 della Legge n. 724/1929. Mentre il ricorrente afferma che il superamento deriva dall'erroneo computo ai fini della definizione della volumetria dell'edificio del piano seminterrato del fabbricato, che invece sarebbe da escludere in quanto destinato a deposito/cantinola, dalla ricostruzione del giudice dell'esecuzione emergerebbe che la ricostruzione della volumetria complessiva come effettuata dal ricorrente non può essere accolta.

Il permesso di costruire in sanatoria qualifica in complessivi 748,61 mc. la volumetria complessiva dell'edificio rilevante ai fini della sanatoria, mentre l'attestazione a firma del dirigente dell'ufficio urbanistica esclude detto piano seminterrato affermando che lo stesso, per la sua destinazione a deposito/cantinola, non comportando carico urbanistico, non è stato computato al fine della determinazione della cubatura dell'edificio, in sostanza lasciando intendere l'inutilizzabilità a fini abitativi o residenziali dell'intero piano seminterrato dell'edificio in quanto destinato a deposito/cantinola. Tuttavia, come evidenzia correttamente il Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta e come del resto emerge dalla stessa qualificazione dello stesso come piano "seminterrato", tale piano non è totalmente interrato e fuoriesce dal piano di campagna.

Seguendo un orientamento recente della giurisprudenza amministrativa ormai consolidato, nel calcolo della volumetria esistente è considerata in toto la volumetria del piano seminterrato e non solamente la parte fuori terra, poiché il volume dei fabbricati è determinato dalla somma dei prodotti delle superfici utili di ogni piano per le relative altezze lorde, misurate da pavimento a pavimento. I regolamenti edilizi possono disporre in ordine al computo dei volumi interrati in ragione della loro destinazione d'uso, laddove questi ultimi siano destinati a residenza, uffici o attività produttive, ma in mancanza di disposizioni in tal senso, nel calcolo del volume complessivo dell'edificio rientra anche il seminterrato per la sola parte emergente dal piano di campagna.

Un seminterrato, in particolare, è tale, quindi, se in ogni sua parte rimane al di sotto del piano di campagna o del livello zero di sbancamento, essendo compatibile con tale situazione, nei limiti ritenuti dalle norme comunali, che parte della struttura sopravanzi il piano di campagna o la quota zero, per quanto strettamente necessario per assicurare una sufficiente areazione e luminosità, ovvero, che rimanga scoperta in larghezza per realizzare un accesso dall'esterno. Consegue, in virtù delle su descritte necessarie caratteristiche, funzionali all'isolamento della struttura, della residenza soprattutto, dal terreno circostante in cui è immersa, che non è consentito utilizzare il seminterrato per usi residenziali, dovendo altrimenti considerarsene la volumetria nel calcolo della cubatura massima consentita, mentre possono essere in esso consentiti soltanto usi al servizio o per la migliore utilizzazione di quest'ultimi.

Le ricadute di quanto sopra chiarito, comportano che il primo livello dell'abitazione assentita con l'impugnata concessione edilizia, al cui interno sono stati collocati spazi destinati a deposito/cantinola, poiché presenta, indiscutibilmente, una parte esterna fuori terra, non può qualificarsi come seminterrato. In questa situazione, esattamente, pertanto, il giudice dell'esecuzione ha ritenuto non rispettata la cubatura complessiva, dovendosi considerare in particolare il minimo scarto volumetrico di quanto ritenuto essere volume "fuori terra" (748,61 mc.) rispetto al limite di 750 mc.

In definitiva, è pacifico nella giurisprudenza amministrativa che:

  • il volume dei fabbricati è determinato dalla somma dei prodotti delle superfici utili di ogni piano per le relative altezze lorde, misurate da pavimento a pavimento;
  • i regolamenti edilizi possono disporre in ordine al computo dei volumi interrati in ragione della loro destinazione d'uso, laddove questi ultimi siano destinati a residenza, uffici o attività produttive;
  • in mancanza di disposizioni in tal senso, nel calcolo del volume complessivo dell'edificio rientra anche il seminterrato per la sola parte emergente dal piano di campagna.

In definitiva, gli ermellini hanno ritenuto legittimo il diniego opposto dal giudice dell'esecuzione che ha precisato di non potere riconoscere la legittimità della sanatoria in quanto, in sostanza, nel calcolo della volumetria esistente è considerata in toto la volumetria del piano seminterrato, escludendo sostanzialmente che l'intero piano seminterrato potesse essere computato "in toto" (e non per la sola parte emergente dal piano di campagna) nel calcolo della volumetria assentibile con il bonus volumetrico.

In proposito la Corte di Cassazione ha ricordato che:

  • la domanda di condono edilizio concerne il perdono ex lege per la realizzazione sine titulo abilitativo di un manufatto in contrasto con le prescrizioni urbanistiche (violazione sostanziale);
  • domanda di condono (ontologicamente diversa dalla domanda di accertamento di conformità) ammette la regolarizzazione, nella misura in cui le specifiche norme di legge lo consentano, di manufatti che, oltre a non essere formalmente autorizzati, risultino eventualmente anche in contrasto con le prescrizioni urbanistiche.

La materia del condono, cioè, è regolata da un corpus normativo speciale e autonomo rispetto all'ordinario regime urbanistico ed edilizio, soggetto a specifici presupposti e a definite modalità per la concessione, nonché limitato a precisi ambiti temporali. Infatti, la concessione del condono non implica una modifica dello strumento urbanistico, a meno che non sia adottata nelle forme previste dall'ordinamento un'apposita variante finalizzata al recupero degli insediamenti abusivi, e non comporta alcuna legittimazione o giustificazione in ordine alla realizzazione di opere ulteriori di trasformazione e ampliamento, sia pur "migliorative", destinate al mutamento delle destinazioni d'uso, sia pur "convenienti", dei manufatti condonati, che restano invece assoggettati alle prescrizioni urbanistiche vigenti, non modificate per effetto del condono, che non ha certamente gli effetti di una variante.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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