Riflessioni sulla contrazione dei tempi prevista dal Decreto Semplificazioni

I tempi di esecuzione dei progetti di interesse pubblico sono spesso incomprensibili agli occhi dei non addetti ai lavori

di Francesco Vitola - 09/10/2020

I tempi di esecuzione dei progetti di interesse pubblico, che prevedono per la loro attuazione l’espletamento di una procedura di gara, sono spesso incomprensibili agli occhi dei non addetti ai lavori. Di fronte ad alcuni dati medi anche i più esperti operatori del settore vacillano. Da qui, la tentazione di ricorrere ad una soluzione immediatamente attuabile e semplicistica (non di semplificazione!) è un attimo che venga proposta, riscontrando subito dopo, tra i più, un diffuso consenso. Non potrebbe essere diversamente: chi non vorrebbe avere “tutto e subito”? Per capire questo fenomeno non dobbiamo dimenticare il particolare momento storico in cui viviamo. Nell’ultimo decennio, il processo di “acquisto” (“procurement”) che nel quotidiano ciascuno di noi vive e conosce, ha subito modifiche epocali. Siamo passati dall’acquisto pianificato e programmato, all’acquisto “da divano”, effettuato senza più recarsi presso un esercizio commerciale fisico e in cui l’attesa è andata sempre più riducendosi. Con il recente “lockdown” il fenomeno ha raggiunto picchi importanti. Basti pensare che nei primi mesi del 2020 circa 2 milioni di Italiani hanno impiegato per la prima volta piattaforme di acquisto online, triplicando per numero rispetto lo stesso periodo dell’anno precedente e con una previsione di crescita prevista pari al 55% (1). E’ quindi comprensibile che tale tendenza abbia in un qualche modo contagiato altri settori tra cui quello dei contratti pubblici e questo non può che essere preso come uno stimolo per innescare un cambio di passo da più parti sentito. Al tempo stesso però occorre fare evolvere la percezione della soluzione attraverso un’analisi più strutturata che consenta di comprendere appieno la complessità del fenomeno, pena il rischio di rimanere vincolati allo “slogan” senza mai riuscire a raggiungere il risultato sotteso allo slogan stesso.

Nella maggior parte dei casi i tempi di percorrenza delle fasi di attuazione di un progetto raggiungono livelli non giustificabili altrimenti se non ricorrendo all’impiego di analisi multifattoriali. Come dimostrato da Ishikawa nel suo omonimo grafico di analisi, l’effetto è quasi sempre riconducibile ad una moltitudine di cause e queste, in un progetto complesso quale quello di realizzazione di un’opera o servizio pubblico, sono spesso condizionate dalle peculiarità del progetto e del contesto all’interno del quale questo è realizzato.

Da ciò ne deriva che, se si vuole pilotare l’effetto di una qualsiasi decisione (politica, legislativa, di management, operativa, etc.) verso obiettivi predeterminati (i c.d. “risultati attesi”), occorre prima adottare un approccio multi-bersaglio, intervenendo preventivamente e contemporaneamente sulle cause che, più probabilmente, possono condizionare il risultato finale. Ma, soprattutto, l’approccio deve essere calato sul caso concreto e non può essere in modo rigido e standardizzato definito a monte e reso comune a tutti i progetti di opere e servizi che si prevede di realizzare, pena l’inefficacia della decisione e il conseguente dispendio di risorse e, soprattutto, di tempo.

Come individuare i bersagli su cui concentrare gli sforzi non è semplice e, di certo, è utopistico prevedere una soluzione efficace comune a tutte le 30 mila stazioni appaltanti sparse sul territorio nazionale. Di contro è auspicabile fornire un indirizzo comune che, con i necessari adattamenti del caso, progetto dopo progetto, possa consentire di migliorare gli attuali risultati che, per usare un eufemismo, presentano ampi margini di miglioramento. In questo tentativo, l’impiego di tecniche di project risk management può aiutare a sistematizzare l’approccio; ad esempio, basando l’analisi sui dati storici derivanti da altri progetti simili a quelli che si vogliono realizzare e capitalizzando le esperienze che ciascun Ente detiene ma che spesso non sfrutta per innescare quei processi di cambiamento e miglioramento di cui, oggi più di ieri, il sistema paese necessita.

Sia l’Agenzia per la Coesione Territoriale (2) che la Banca D’Italia (3) hanno ben fotografato l’entità del problema dei tempi nella realizzazione delle opere pubbliche nazionali. La prima quantifica i tempi necessari per la realizzazione di un’opera pubblica infrastrutturale di importo compreso tra i 5 e i 10 Milioni di Euro, in 7,9 anni mentre, ad esempio, le opere pubbliche del settore “cultura e servizi ricreativi” di pari range di importo, vengono realizzate con una media di 8,1 anni. Per il settore “edilizia” i tempi medi di realizzazione di opere pubbliche di importo superiore a 5 Milioni di Euro è pari a 8,9 anni. La Banca d’Italia individua la durata mediana per la realizzazione di opere pubbliche in circa 11 anni per opere di importo superiore ai 5 Milioni di Euro. Sempre la Banca d’Italia afferma che circa il 40% del tempo complessivo è dedicato a completare la fase di progettazione mentre 6 mesi sono dedicati alla fase di gara. L’abnorme tempo impiegato per la progettazione non deve trarre in inganno: lo stesso infatti è in buona parte disperso per dare seguito ad attività amministrative correlate con la progettazione, tra cui gli iter autorizzativi. Parallelamente, occorre non sottovalutare un altro dato critico evidenziato dagli studi sopra citati, ovvero quello legato ai tempi di esecuzione dei lavori. Analizzando i dati forniti dall’Agenzia per la Coesione Territoriale e, sempre per semplicità di trattazione, riferiti alle opere pubbliche del settore “cultura e servizi ricreativi”, si vede che i suddetti tempi incidono per circa il 49% del tempo complessivo per un’operazione di importo massimo pari a 10 milioni di Euro. Stiamo parlando quindi di circa 3,8 anni su 8,1 e, quindi, una produzione media mensile di circa 220 mila Euro. Con questi numeri è difficile pensare che gli investimenti pubblici possano sortire un effetto positivo sull’economia in un arco temporale utile per garantire una ripresa economica di un PIL atteso per l’anno 2020 a – 9,5% (4). Quando si parla di investimenti, la variabile temporale non è affatto secondaria e, in molti casi, è proprio questa che determina la scelta del progetto di investimento da attuare. Se questi dati non si modificheranno in meglio, sarà difficile garantirci una ripresa economica robusta e sarà ancora più difficile riuscire ad attrarre capitali privati, questi ultimi spesso invocati per dare seguito alle operazioni di partenariato pubblico-privato.

La considerevole liquidità derivante dalle misure, varate e in previsione, di politica economica e monetaria di risposta agli effetti della pandemia, impone non solo la ricerca dell’efficacia della spesa pubblica per la realizzazione di opere, servizi e forniture, ma anche il perseguimento di obiettivi di efficienza.

In tal senso, il Decreto legge 16 luglio 2020, n. 76, poi convertito con la legge 120/2020, prevede una serie di modifiche al D.Lgs. 50/2016 tese a imporre una riduzione forzata dei tempi di esecuzione degli interventi per la realizzazione di opere pubbliche e, più in generale, per il processo di “procurement” pubblico. In particolar modo il Legislatore opera con una tattica duale: da un lato favorisce il ricorso a procedure straordinarie, quali ad esempio le procedure negoziate senza bando, gli affidamenti diretti e gli affidamenti con gara semplificata, dall’altro lato impone una contrazione dei tempi di espletamento della gara per giungere alla sottoscrizione dei contratti, assegnandone il relativo compito al responsabile unico del procedimento.

Il primo strumento utilizzato dal D.L. 76/2020 è quindi quello di consentire l’utilizzo di procedure straordinarie.

Per quanto riguarda i contratti di valore inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria di cui all’art. 36 del D.Lgs. 50/2016, la “semplificazione” consiste sostanzialmente nella previsione di cui all’art. 1, c. 2, lett. a) del citato D.L., che prevede la possibilità di affidare direttamente appalti di lavori dal valore fino a 150 Mila Euro ed appalti di servizi e forniture dal valore fino a 75 Mila Euro.

Per il resto è semplicemente previsto l’obbligo di invitare ad una procedura negoziata senza bando di cui all’art. 63 del citato D.Lgs. un numero inferiore di operatori economici rispetto ai limiti previsti dall’art. 36 del Codice.

Per quanto riguarda invece i contratti di valore superiore alle soglie di rilevanza comunitaria di cui all’art. 36 del D.Lgs. 50/2016, l’art. 2 del D.L. 76/2020 al comma 2 prevede come regola generale l’applicazione del Codice dei contratti pubblici.

Al comma 3 è previsto che si possa utilizzare la procedura negoziata di cui all’art. 63 o 125 del Codice dei contratti pubblici “nella misura strettamente necessaria quando, per ragioni di estrema urgenza derivanti dagli effetti negativi della crisi causata dalla pandemia da COVID-19 o dal periodo di sospensione delle attività determinato dalle misure di contenimento adottate per fronteggiare la crisi, i termini, anche abbreviati, previsti dalle procedure ordinarie non possono essere rispettati.”. Sempre il comma 3 prevede che la procedura di cui agli artt. 63 e 125 del Codice possa essere utilizzata “previa pubblicazione dell’avviso di indizione della gara o di altro atto equivalente”.

Le “semplificazioni” di cui al comma 3 in discussione suscitano diverse perplessità.

In primo luogo, non si comprende in cosa differisca la “estrema urgenza” di cui al comma 3 sopra riportato da quella riportata all’art. 63, c. 2, lett. c) ed all’art. 125, c. 1, lett. d) del Codice. Forse il Legislatore ha voluto stabilire che le esigenze che discendono dalla pandemia e dal relativo periodo di sospensione delle attività sono, per legge, “di estrema urgenza”. Ma se questa è l’interpretazione corretta si pone un serio problema di compatibilità di questa previsione con le Direttive dell’Unione Europea. Infatti, ritenere che dal luglio del 2020 al dicembre del 2021 tutti i contratti in un qualche modo riconducibili all’emergenza COVID siano “di estrema urgenza” costituisce una palese violazione dell’art. 32 della Direttiva n. 24 del 2014 e dell’art. 50 della Direttiva n. 25 del 2014. Ciò in quanto le anzidette Direttive legano la “estrema urgenza” ad “eventi imprevedibili” per le amministrazioni aggiudicatrici. Pertanto, non si vede come la pandemia del periodo marzo-maggio 2020 (di per sé imprevedibile!) possa costituire un “evento imprevedibile” tale da giustificare una procedura negoziata senza bando, ad esempio, nel novembre del 2021. Per rendere l’idea, la pandemia e le sue drammatiche conseguenze giustificavano acquisti senza gara nel periodo più grave della crisi (marzo-maggio o giugno 2020, o ancora luglio, in previsione della riapertura delle scuole a settembre), in quanto vi era la “estrema urgenza” di acquistare ad esempio mascherine o strumenti per la cura delle persone malate, il tutto a causa di un “evento imprevedibile”, ossia la pandemia. Ma ciò non può giustificare acquisti senza gara ad un anno ed oltre dalla diffusione della pandemia.

In secondo luogo, dal momento che si richiama l’art. 63 del Codice, non si comprende se la procedura negoziata debba essere svolta con cinque operatori economici, così come prevede il comma 6 del citato art. 63, o meno. Nel silenzio sul punto del D.L. ”semplificazioni” e visto il generico richiamo all’art. 63, sembrerebbe che sia necessario invitare cinque operatori economici. E’ opportuno evidenziare che, non si sa per quale motivo, una previsione analoga non esiste nell’art. 125 del Codice, pertanto mentre nei c.d. “settori ordinari” la procedura negoziata dovrà essere svolta con almeno cinque operatori economici nei c.d. “settori speciali” ciò non sarà necessario.

In terzo luogo, non si comprende quale sia la funzione della “previa pubblicazione dell’avviso di indizione della gara o di altro atto equivalente”, dal momento che gli artt. 63 e 125 del Codice disciplinano la procedura negoziata senza bando.

Infine, al comma 4 del citato art. 2 è previsto che nei casi di cui al comma 3 e nei settori espressamente indicati le stazioni appaltanti “operano in deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale, fatto salvo il rispetto dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea, ivi inclusi quelli derivanti dalle direttive 2014/24/UE e 2014/25/UE….”.

Anche questa disposizione suscita notevoli perplessità.

Sembrerebbe che il Legislatore voglia prevedere che nei casi di “estrema urgenza” relativi ai settori indicati nel comma 4 in discussione le stazioni appaltanti possano derogare a qualsiasi norma, quindi siano libere di affidare senza gara i contratti e di eseguire gli stessi senza applicare le norme del Codice dei contratti pubblici (fatta eccezione per il subappalto) e del codice civile.

Se questa è la lettura corretta, non si comprende il richiamo alle Direttive, dal momento che il primo dei vincoli derivanti dalle Direttive è quello di affidare i contratti mediante una gara pubblica “ordinaria”. Ma soprattutto anche in questo caso i dubbi di compatibilità con le Direttive sono seri, a meno che il Legislatore non volesse prevedere che la gara può essere evitata se ricorrono i presupposti di cui agli articoli sopra citati delle Direttive che disciplinano la procedura negoziata senza bando. In ogni caso, quest’ultima lettura rende la previsione del tutto inutile, in quanto non si vede come sia possibile sostenere che, ad esempio, esiste l’estrema urgenza legata al COVID di realizzare una nuova tratta ferroviaria, anche a voler prescindere dalla considerazione che ormai è impossibile ritenere il proseguo della pandemia un “evento imprevedibile”.

Infine, un dubbio non da poco suscita la mancanza di qualsiasi riferimento al D.Lgs. 81/2008, che disciplina la sicurezza sui luoghi di lavoro ed anche la sicurezza dei lavoratori in particolare nei cantieri dove si svolgono lavori. Dal momento che detta normativa non è riportata tra quella che non viene derogata dal comma 4 in esame, significa che il D.Lgs. 81/2008 non si applica nel corso dell’esecuzione dei contratti affidati ai sensi del citato comma 4? Speriamo che sia fatta chiarezza su questo aspetto.

Le perplessità sopra riportate circa gli artt. 1 e 2 del D.L. 76/2020, ed in particolare quelle relative all’applicabilità di dette norme, portano a domandarsi se, invece di questa “semplificazione” estrema, non sia meglio applicare quegli strumenti già disciplinati dal Codice che consentirebbero di velocizzare e rendere più efficace, all’interno delle varie attività che hanno ad oggetto la realizzazione di un’opera o un acquisto di altro tipo, la procedura di gara. Per fare un esempio, se si ritiene che il numero di partecipanti alla procedura influisca sulla sua durata, si potrebbe applicare più frequentemente la riduzione del numero di soggetti da inviate di cui all’art. 91 del Codice. Questo ed altri strumenti sono già presenti nel Codice e nella buona prassi internazionale, senza bisogno di “semplificazioni” estreme.

Inoltre, alla luce dei dati sui tempi di realizzazione delle opere pubbliche sopra analizzati, il focalizzarsi quasi esclusivamente sulla sola fase di gara pare un’azione di dubbia efficacia. Infatti, laddove le misure si dovessero dimostrare efficaci e consentire una riduzione anche del 50% rispetto ai tempi attuali, staremmo parlando comunque di una contrazione di tre mesi a fronte degli otto anni mediamente necessari per la realizzazione di un’opera. Il dubbio, quanto opinabile, sforzo legislativo darebbe un risultato blando e addirittura controproducente.

Durante la realizzazione di un’iniziativa edilizia o infrastrutturale, un periodo di tempo irrisorio di tre mesi va spesso “perso” durante la fase della progettazione definitiva nell’attesa di ottenere un assentimento che, se va bene, verrà rilasciato con prescrizioni che di fatto incideranno sulle fasi successive di sviluppo dell’esecutivo o di costruzione rendendo di fatto vano il concetto di progetto “definitivo” e di “progetto esecutivo perfetto”. Se invece va male, l’iter autorizzativo non si conclude allo scadere dei tre mesi e sarà seguito da un ulteriore periodo di attesa necessario per perfezionare il progetto e per l’ottenimento di un parere che, comunque, potrà non essere “perfetto”, necessitando quindi di ulteriori e future integrazioni, e definitivo. Insomma, forse gli sforzi del Legislatore potevano essere rivolti altrove, ossia alle restanti due fasi del processo di realizzazione di un’opera pubblica che il D.L. semplificazioni trascura. In tal senso la contrazione dei tempi per l’espletamento della conferenza dei servizi di cui all’art. 13 del D.L. “semplificazioni” è una misura in linea di principio condivisibile ma che, come nel seguito argomentato, per essere attuata con efficacia e per vanificare il “diniego generalizzato”, non può prescindere da un incremento delle risorse deputate a seguire il processo autorizzativo.

Nel suo intervento correttivo, il Legislatore non mette in discussione e non rivede criticamente la sequenza delle attività definita dal Codice. Ciò fa si che il dettato normativo permanga nella sua statica impostazione originaria, risalente addirittura alla Legge Merloni, in cui le attività successive e quelle precedenti ivi descritte e normate, sono tra loro legate da legami logici “fine-inizio”. In buona sostanza, un’attività, quale ad esempio la gara, non può cominciare se prima non si conclude la fase precedente, quindi quella di progettazione. Tale rappresentazione è da leggersi come “sequenza base di riferimento” ma, un project manager esperto, sa bene che tale sequenza non è l’unica possibile e che, se applicata senza alcune accortezze, la sequenza lineare può presentare non poche insidie. Infatti, tale sequenza è particolarmente rigida e, tra i problemi tipici che presenta, spicca quello di essere poco adattabile agli imprevisti che sovente interessano la realizzazione di un’opera pubblica. A voler essere più precisi, la sequenza lineare sopra descritta amplifica l’impatto derivante dal manifestarsi di un imprevisto, arrecando svantaggi in primis alla stazione appaltante e, prospetticamente all’appaltatore e, in termini più ampli di efficacia della politica economica, al sistema Paese.

Se analizzata impiegando la tecnica del critical path method, una sequenza lineare di attività legate tra loro con legami di “inizio-fine”, è di per sé un percorso critico in cui ogni singola attività non ha possibilità di “slittare” senza compromettere la riuscita del progetto entro i tempi programmati. Pertanto, il ritardo di un giorno di una qualsiasi attività rispetto alla durata programmata, comporterà un pari ritardo nella chiusura della commessa. E’ facile immaginare come, in un intervento complesso di durata pluriennale quale la realizzazione di un’opera pubblica che, anche per piccoli importi, richiede il coinvolgimento di una moltitudine di attori diversi, un ritardo anche minimo sia da considerarsi come altamente probabile. Se il ritardo matura nelle fasi iniziali, quali ad esempio quelle di progettazione, la programmazione inizialmente stabilita rischia di essere superata giorno dopo giorno da eventi difficilmente controllabili dal project manager-responsabile unico del procedimento, quali ad esempio quelli legati all’esecuzione delle indagini o all’ottenimento dei titoli autorizzativi.

Per ottimizzare i tempi di sviluppo di un qualsiasi progetto teso alla realizzazione di un’opera pubblica, il Legislatore con il “decreto semplificazioni” introduce forzatamente un vincolo di contrazione della durata programmabile di una fase della sequenza, quella di gara. Ciò impone al project manager di impiegare la tecnica denominata “crashing”, traducibile in italiano come “aumentare l’intensità” del lavoro da produrre nell’unità di tempo considerata. Il “crashing” interviene sempre sulla variabile tempi e costi del progetto ma, in alcuni casi e come nel seguito illustrato, può riguardare anche la variabile “qualità” e l’ambito di progetto. Questa tecnica prevede di rivedere la sequenza originaria e le relative durate, quindi la sequenza mutuata dalla “sequenza base di riferimento” definita dal D.Lgs. 50/2016 pre “decreto semplificazioni”, e ridurre la durata di una o più attività. Tale contrazione può essere apportata in due soli modi: o si incrementano le risorse oppure si cambiano le modalità operative. Incrementare le risorse nella fase di gara è un’azione non semplice in quanto essa vede la partecipazione di una moltitudine di organizzazioni e non solo della stazione appaltante. Il rischio di procedere in questo modo è quello di produrre uno sforzo inefficace in quanto non applicabile da tutti gli operatori economici potenzialmente interessati alla procedura. Soprattutto, tale approccio risulterebbe prospetticamente inapplicabile laddove tutte le stazioni appaltanti dovessero utilizzarlo, generando un effetto a cascata di “sovraccarico” per tutti gli operatori economici che, in un’unità di tempo contenuta, sarebbero chiamati a partecipare a più gare la cui durata sarebbe sostanzialmente dimezzata rispetto a quelle precedentemente svolte. Ciò genererebbe poi un “effetto onda” sulle successive fasi di esecuzione facendo contestualmente sorgere un dubbio circa l’effettiva capacità produttiva delle imprese.

A tal proposito occorre considerare che uno degli strumenti individuati per ridurre i tempi, e quindi “semplificare”, le procedure è quello di cui all’art. 8, c. 1, lett. c) del D.L. 72/2020, il quale prevede che nelle procedure ordinarie si applicano le riduzioni dei termini procedimentali per ragioni di urgenza già previste dal Codice.

Anche questa norma si presta a dubbi applicativi.

Infatti, ad esempio, l’art. 60, c. 3, del Codice stabilisce che nella procedura aperta il termine per la presentazione delle offerte non può essere inferiore a quindici giorni se, per ragioni di urgenza, i termini del comma 1 dello stesso articolo non possono essere rispettati. E’ evidente quindi che il citato art. 60 non indica un termine preciso da inserire nel bando, ma solamente un termine al di sotto del quale non si può andare (quindici giorni). Ne consegue che se non esiste semplicemente un termine al di sotto del quale non si può andare qualsiasi termine a quest’ultimo superiore è conforme alla previsione.

Pertanto, il dubbio applicativo è: se nel bando si indica un termine di trenta giorni, che è maggiore di quindici e quindi mi consente di rispettare il citato art. 60, c. 3, è stata rispettata anche la previsione del D.L. “semplificazioni”?

Nell’esempio, da un punto di vista strettamente letterale la suddetta “semplificazione” è stata rispettata, è stata applicata la riduzione dei termini procedimentali di cui all’art. 60 del Codice, non andando sotto il limite dei quindici giorni.

Ancora una volta viene spontaneo chiedersi perché non applicare gli strumenti già esistenti, ad esempio se si pubblica un avviso di preinformazione, che non costituisce il mezzo di indizione della gara, è possibile ridurre il termine di presentazione delle offerte a quindici giorni (non ad un termine che non sia inferiore a quindici giorni!). In più questo strumento eviterebbe di rendere impossibile agli operatori economici presentare offerta, in quanto presentare un’offerta in un termine di pochi giorni è molto complicato se si ha a disposizione poco tempo per studiare le prestazioni richieste ed il prezzo da offrire. Infine, come nel seguito illustrato, il ricorso alla preformazione ben si coniugherebbe con l’applicazione della tecnica del fast tracking.

Pertanto, perseguire questa prima soluzione di “crashing” implicherebbe una capacità adattativa di reingegnerizzazione dei processi che difficilmente può essere messa in pratica con efficacia in breve tempo dalle stazioni appaltanti. Come accennato, la seconda azione che può essere attuata per realizzare il “crashing” di fatto imposto dal Legislatore, consiste nel modificare le procedure operative in modo da impiegare meno tempo per dare seguito ad una determinata attività. Se trasponiamo questo concetto alla procedura di gara è facile immaginare che cosa possa interessare tale modifica: i criteri di aggiudicazione delle offerte.

In tal senso il Legislatore con il “decreto semplificazioni” ha dato agli operatori tutti un messaggio chiaro: il miglior rapporto qualità prezzo può essere accantonato per gli appalti sotto soglia. Ma, al tempo stesso, il miglior rapporto qualità prezzo deve essere nettamente rivisto per le restanti procedure se si vogliono rispettare i tempi stringenti imposti.

Tale indirizzo, seppur motivato da fatti di portata straordinaria quali la pandemia da SARS-CoV-2, è doppiamente critico. Innanzitutto, lo stesso si pone in contrasto con la legge delega sulla base della quale è stato redatto il D.Lgs. 50/2016 e, in secondo luogo, può fare ripiombare il mercato in un regime di “massimo ribasso” diffuso ma non dichiarato. Diffuso, in quanto rendere il miglior rapporto qualità prezzo – nei fatti – un massimo ribasso, è alquanto semplice e, quindi, facilmente attuabile dalla totalità delle stazioni appaltanti. “Non dichiarato”, perché formalmente una gara aggiudicata attribuendo il 70% del punteggio tecnico per il possesso di certificazioni quali la SA 8000 piuttosto che la ISO 14001, quindi con criteri tabellari “binari”, di fatto consente di dichiarare il

criterio rispondente al miglior rapporto qualità prezzo ma, di fatto, l’aggiudicazione verrebbe condotta sul punteggio di prezzo e non sul punteggio per gli elementi tecnici dell’offerta. Non dimentichiamoci che, purtroppo, nel nostro Paese, il possesso di una certificazione di sistema di gestione (qualità, ambiente, sicurezza, etc.) non è di per sé un elemento distintivo e qualificante. Basti a riguardo pensare che, a livello globale, siamo il secondo paese (60 milioni circa di abitanti (5) e ottavo per valore di PIL) al mondo, dopo la Cina (1,4 miliardi circa di abitanti e secondo paese al mondo per valore di PIL) e prima degli Stati Uniti d’America (330 milioni circa di abitanti e primo paese al mondo per PIL), per numero di imprese certificate ISO 9001 (6).

Analogo discorso, se non peggiore se si analizzano i profili di rischio, vale per le c.d. “varianti migliorative al progetto” che, di fatto, sono anch’esse un’offerta di prezzo mascherata da offerta tecnica, con l’aggravante che inficiano l’esecutività del progetto esecutivo e, in alcuni casi, l’efficacia dei titoli autorizzativi.

In sintesi, per rendere applicabile la tecnica del crashing ed evitare che le gare vadano deserte, le stazioni appaltanti devono semplificare, sino a banalizzare, il miglior rapporto qualità prezzo e, parallelamente, gli operatori economici devono tornare ad organizzarsi come prima del 2016, puntando sulla quantità delle offerte presentate e sull’eventuale contenzioso o ricorso alle varianti in corso di esecuzione del contratto per recuperare gli sconti offerti, che saranno sempre più insostenibili perché lo sconto sarà l’unico vero campo di confronto fra gli operatori economici.

Si sa, criticare è più semplice che proporre, così come demolire è più semplice che costruire. Soprattutto in questo delicato momento storico, è indispensabile che la critica sia seguita dalla propositività. Pertanto, a parere di chi scrive, il Legislatore avrebbe potuto (e, quindi, in un futuro potrà!) perseguire l’obiettivo dell’accelerazione dei tempi di realizzazione delle opere pubbliche impiegando contemporaneamente le seguenti azioni.

Rispolverando le tecniche del project management, ossia l’impiego congiunto del lead/lag time (anticipazione/posticipazione del periodo di esecuzione di alcune attività) e del fast tracking (svolgimento in parallelo di alcune attività), si possono ottenere alcuni vantaggi. Le due tecniche vanno a modificare la sequenza originaria prevista dal Codice e da un certo punto di vista la complicano, ma al tempo stesso introducono un grado di elasticità necessario per realizzare un progetto complesso. La prima tecnica, il lead/lag time, può essere applicata agevolmente alla fase di progettazione ad esempio, anticipando l’avvio dell’iter per l’ottenimento degli assentimenti e titoli autorizzativi sulla scorta di un progetto preliminare (ops, di fattibilità tecnico ed economica!) “avanzato” per livello di dettaglio e completezza delle discipline sviluppate e posticipando lo sviluppo dell’esecutivo a dopo l’espletamento della procedura di gara, quindi ricorrendo alla formula dell’appalto di progettazione e costruzione. La tecnica del fast tracking invece potrebbe efficacemente essere applicata coniugandola con il ricorso alla procedura ristretta. In particolar modo, sulla scorta degli elementi essenziali del progetto definitivo consolidati, una volta ottenuta l’approvazione dello stesso da parte dei vertici dell’amministrazione della stazione appaltante, si potrebbe procedere con l’indizione della procedura di gara e, una volta concluso il perfezionamento del progetto e la fase di qualificazione, trasmettere le lettere di invito a presentare offerta. Laddove applicata, la combinazione di queste due tecniche ha consentito di ridurre significativamente non la fase di gara, che come visto è “poca cosa”, ma la fase di progettazione che, per un determinato periodo si svolge parallelamente alla prima. Quelli sopra trattati sono solo alcuni esempi di come queste due tecniche possono trovare applicazione nel contratto pubblico di lavori. A riguardo, è bene evidenziare come tali soluzioni non siano vietate dal Codice e dai suoi strumenti attuativi e, pertanto, le stesse possono trovare applicazione già da oggi. Il Legislatore, con un intervento correttivo mirato, potrebbe facilitare l’applicazione delle tecniche sopra brevemente trattate consentendo, da un lato, di ridurre l’iperstaticità che caratterizza l’impostazione del Codice e, dall’altro, di ridurre le misure straordinarie e in deroga, puntellando così i principi di trasparenza, par condicio ed economicità che sono alla base dell’azione amministrativa.

Altro versante su cui sarebbe opportuno intervenire al fine di facilitare una gestione più efficiente dei progetti di realizzazione delle opere pubbliche, è quello della valorizzazione della figura del responsabile unico del procedimento. Con il “decreto semplificazioni” si è scelto di spronare la celerità dell’azione amministrativa sventolando la minaccia “evergreen” del danno erariale e facendo ricadere la stessa sul responsabile unico del procedimento. A parere di chi scrive l’approccio adottato non solo non risulterà efficace ma sarà controproducente.

Un RUP potrà tranquillamente decidere di pubblicare una gara per il cui espletamento sarebbero necessari sessanta giorni, riducendo gli stessi a trenta giorni perché impostigli dal Legislatore. Laddove la gara dovesse dare esito negativo, quindi non dovessero arrivare offerte oppure ancora offerte degne di aggiudicazione, il RUP sarebbe sollevato da qualsiasi responsabilità con il “piccolo” inconveniente che l’iniziativa sarebbe bloccata e la spesa di investimento tarderebbe a concretizzarsi, con tutte le conseguenze del caso. Inoltre, è da considerare che paventare sanzioni non ha mai sortito gli effetti sperati, ne con le imprese di costruzione ne in altri ambiti (è mai stato utile minacciare un bambino di metterlo in punizione?). Di contro, una leva importante nelle mani del Legislatore già esiste: è l’art. 113, il cosiddetto “incentivo per funzioni tecniche”. Come per i bambini, non c’è leva migliore che prevedere “la carota” e, solo in casi estremi, minacciare il “bastone” per raggiungere obiettivi che, prima di tutto, devono essere percepiti come “comuni”. Il problema è che l’art .113 del Codice così come è scritto non si adatta al contesto che stiamo vivendo e che nei mesi prossimi ci appresteremo a vivere a seguito di tali “semplificazioni” introdotte. Se, come sembra, il mercato sarà inondato di liquidità, la capacità di spesa sarà in mano allo stesso numero di funzionari attualmente impiegati presso le stazioni appaltanti. Insomma, gli stessi che, fino a prima del “decreto semplificazioni”, non riuscivano a spendere i fondi resigli disponibili in poco meno di 8 anni. Questi quindi dovranno d’ora in poi “faticare” il doppio, se non di più, per dare attuazione alla spesa di investimento prospettata. Alcuni addirittura si dovranno riabituare a “spendere”, in quanto negli ultimi anni, a causa dei vincoli di bilancio, non hanno avuto disponibilità economiche tali da consentirgli di farlo. Inevitabilmente le stazioni appaltanti andranno in sovraccarico. Non dimentichiamoci infatti che la tecnica del crashing per essere attuata prevede di incrementare le risorse inizialmente previste ma tale previsione non è contemplata dal Legislatore. Pertanto, l’unica soluzione attuabile è quella di far lavorare di più le attuali risorse e, sempre ad avviso di chi scrive, l’unica soluzione efficace è pagarle di più, soprattutto commisurando il corrispettivo in funzione del risultato conseguito. In tal senso l’art. 113 già prevede di proporzionare l’incentivo al rispetto dei tempi e dei costi predefiniti, peccato però che pone un limite all’incentivo ricevibile dal singolo funzionario pari al 50% annuo dello stipendio che lo stesso percepisce. E’ evidente che tale previsione non spronerà il funzionario ad accelerare i tempi, anzi, lo porterà ad avere tutto l’interesse a far si che i tempi si allunghino in modo da poter “spalmare” l’incentivo su più anni. Questo effetto sarà tanto più probabile quanto l’importo dei contratti pubblici in gioco sarà elevato. La previsione di limitare l’incentivo al 50% dello stipendio è anch’essa, come molte altre previsioni contenute nel Codice, frutto degli eventi mediatici e di conseguenti posizioni demagogiche che hanno accompagnato la genesi del D.Lgs. 50/2016. Sarebbe ora di superare tali previsioni che, da più punti di vista, si sono dimostrare non solo inefficienti ma anche inefficaci, un vero freno a mano tirato che non consente di liberare il potenziale che è comunque presente all’interno del mercato dei contratti pubblici.

Concludendo, è lodevole l’attenzione posta dal Legislatore ai tempi di attuazione dei contratti pubblici e, in particolar modo, delle opere pubbliche. Circa l’efficacia dei provvedimenti presi sono diversi i dubbi ma fortunatamente sono molte le azioni che potrebbero essere intraprese e alcune di queste sono già attuabili senza un ulteriore intervento legislativo.

Ovviamente occorre sempre tener a mente che Roma non fu costruita in un giorno!

A cura di
Dott. Francesco Vitola
SDA-Bocconi, School of management – Ricercatore PREM lab Politecnico di Milano, Area Tecnico Edilizia, project manager
Avv. Ciro Pisano
SDA-Bocconi, School of management - PREM lab

Note:
(1) Fonte AGI su dati presentati al Netcomm Forum
(2) Agenzia per la Coesione territoriale, “Rapporto sui tempi di attuazione delle opere pubbliche”, n. 6, 2018
(3) Carlucci, C., Giorgiantonio, C., Orlando, T., (2019), “Tempi di realizzazione delle opere pubbliche e loro determinanti” in “Questioni di Economia e Finanza”, n. 538. Banca d’Italia.
(4) Fonte Assolombarda su dati previsionale della Commissione Europea per l’Italia
(5) Fonte Wikipedia su stime dell’ONU riferite all’anno 2019.
(6) Fonte UNI, “La nuova ISO 9001” Alessandro Santoro, Direttore Generale UNI

© Riproduzione riservata