Equo compenso e tariffe minime: excursus normativo, conseguenze e proposta di legge

Quali effetti ha avuto l’abolizione dei riferimenti tariffari per i professionisti? Sta funzionando la legge sull’equo compenso? Presentata proposta di legge

di Pasquale Giugliano - 14/12/2020

Come tristemente noto il cd decreto Bersani legge n. 248 del 2006, di conversione del decreto-legge n. 223 del 2006, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano l'obbligatorietà dei minimi tariffari, che erano garanzia civile e costituzionale della congruità dei compensi rispetto al lavoro.

Il definitivo sgretolamento del sistema tariffario è avvenuto successivamente sotto la sferza del governo iper liberista Monti che, con l'art. 9 del D.L. n. 1/2012, ha prodotto l’aberrazione massima: l'abrogazione definitiva delle tariffe delle professioni regolamentate (oltre ai minimi, vengono abrogati anche i massimi tariffari), introducendo una nuova NON disciplina del compenso professionale, che diviene di fatto legato e soggetto alle sole leggi di mercato: il professionista può liberamente pattuire qualunque compenso con il cliente, l’unico parametro/vincolo che deve rispettare è che sia adeguato all'importanza dell'opera, ma non si comprende come sia calibrabile l’adeguatezza della tariffa con il concetto di importanza dell’opera, non essendoci più, nemmeno come riferimento, un sistema tariffario, che si basava proprio sulla proporzionalità tra lavoro e costo/importanza dell’opera.

La deregolamentazione del sistema tariffario cosa ha comportato

Di fatto con l’ultimo provvedimento è avvenuta la completa deregolamentazione delle professioni: i professionisti in vista, che godevano di posizione di privilegio sul “mercato”, hanno potuto aumentare i prezzi ben oltre il limite dettato dalla tariffa, mentre la stragrande maggioranza dei professionisti ha drasticamente ridotto le richieste di compensi fino ad arrivare a situazione grottesche; vedi i casi in cui, per esempio, si è redatto un intero piano regolatore per il compenso figurativo di un euro, mentre si diffondono in rete improbabili compensi per la redazione, ad esempio, degli Attestati di Prestazione Energetica (APE) o dei collaudi di interi edifici etc., nemmeno sufficienti a pagare le spese vive ove si svolga l’incarico secondo i crismi di legge.

È chiaro che compensi così al di sotto degli ex tariffari minimi presuppongono l’assoluta mancanza di qualità delle prestazioni, e per ragioni del tutto ovvie, nel settore delle professioni tecniche legate all’edilizia, la mancanza di qualità delle prestazioni comporta automaticamente il mancato rispetto dei requisiti minimi richiesti dalla poderosa e complessa legislazione che regola l’edilizia con conseguenze disastrose sul piano della sicurezza, della salute, dell’architettura e del decoro architettonico dell’intero Paese.

È ancora da affermare con evidenza, che la mancanza delle tariffe minime stabilite per legge o equo compenso minimo inderogabile, può indurre una incontrollabile evasione fiscale: i professionisti potendo applicare qualunque prezzo, e disapplicare la tariffa minima, possono fatturare somme inferiori rispetto a quelle realmente incassate, con l’aggravante che nessun controllo fiscale, in mancanza di riferimenti certi, possa contestare loro alcuna irregolarità.

La cancellazione dei minimi: un capriccio?

Non sappiamo cosa abbia spinto il legislatore ad abrogare le tariffe delle professioni ordinistiche ma probabilmente possiamo intuire che si è trattato, a scanso di clamorose smentite, di un frettoloso capriccio di matrice meramente ideologica, pertanto non supportato da alcun dato o studio specifico sulla condizione del momento degli interessati o sulle logiche che articolano il lavoro delle professioni intellettuali del Paese, una dato che il legislatore avrebbe dovuto approfondire prima di articolare un sistema così penalizzante e pericoloso per i professionisti e per l’intera sfera sociale.

Le tariffe professionali sancivano, innanzitutto, il principio della giusta retribuzione, secondo il quale vi deve essere proporzione tra retribuzione e quantità e qualità del lavoro prestato e secondo cui la retribuzione debba essere in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un'esistenza libera e dignitosa (Art. 36 della costituzione).

Arriva l’equo compenso: ma funziona davvero?

Non sussistono dubbi sul fatto che il diritto costituzionale alla retribuzione “proporzionata alla qualità e quantità di lavoro” comprenda anche i lavoratori autonomi e pertanto in special modo le professioni intellettuali ordinistiche, tanto che nella scorsa legislatura, a seguito della grande manifestazione nazionale del 13 Maggio 2017 denominata “Noi Professionisti” - in cui 30.000 persone si sono recate a Roma per chiedere il diritto ad un compenso equo - per porre rimedio a condizioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e committenti “forti” - individuati nelle imprese bancarie e assicurative nonché nelle imprese diverse dalle PMI - sono stati approvati, in rapida successione, l’art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 (cd. decreto fiscale) e l’art. 1, commi 487 e 488, della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018), che hanno disciplinato l'equo compenso per le prestazioni professionali, dove, all’art. 13 bis, si considera equo il compenso determinato nelle convenzioni quando risulti proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, tenuto conto del Decreto Parametri definito dai decreti ministeriali di attuazione del decreto-legge n. 1 del 2012.

Nel merito dell’applicazione del dispositivo chiamato “equo compenso” minimo non possiamo non notare che per come è stato approvato attualmente può essere applicato esclusivamente alla cosiddetta committenza “forte”, mentre la stragrande maggioranza dei professionisti invece, non agevolata dal privilegio o della fortuna di avere questo tipo di committenza, lavori quasi esclusivamente per committenza privata; non sono chiare, quindi, le ragioni per cui quasi tutti i professionisti verrebbero esclusi dalla giusta applicazione del criterio di eticità e proporzionalità tra lavoro e retribuzione proposto, cioè verrebbero esclusi paradossalmente proprio quelli che ne avevano urgente ed improrogabile necessità.

Tale considerevole limitazione è attualmente motivo di energica e ferma critica, manifestamente evidente nella totalità dei commenti dei numerosissimi professionisti che intervengono nei gruppi e nelle pagine social.

L’opinione comune infatti, è che ove persista detta illogica esclusione, in realtà non solo l’equo compenso non sortirebbe alcun apprezzabile effetto, ma che apporti un beneficio a pochi o pochissimi abbandonando e lasciando, ingiustamente, la massa nella incertezza delle sciagurate liberalizzazioni, generando una disparità di trattamento immotivata.

L’attuale proposta di legge Meloni (FdI)

Con la proposta C. 301 depositata in Camera dei Deputati in data 1/12/2020 avente titolo: “Disposizioni in materia di equo compenso e di clausole vessatorie nelle convenzioni relative allo svolgimento di attività professionali in favore delle banche, delle assicurazioni e delle imprese di maggiori dimensioni”, la firmataria Meloni di FdI, intende sopperire agli errori delle scorse legislature in merito al tema evidenziato in premessa.

La proposta interviene sulla disciplina codicistica, prevedendo un compenso mai inferiore ai parametri o alle tariffe per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale; la proposta inoltre abroga le norme cd Legge Bersani e Legge Monti nella parte in cui hanno disposto l’abrogazione delle disposizioni sulle tariffe professionali.

I principali articoli della proposta di legge Meloni

Nello specifico l’articolo 1 aggiunge all’art. 2233 del codice civile la nullità dei contratti che non prevedano un compenso equo e proporzionato ovvero inferiore agli importi stabiliti dai parametri o dalle tariffe per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale.

Nello stesso articolo è previsto che sia l’Ordine professionale, che fa da tribunale, con il parere di congruità richiesto dal professionista, a stabilire la piena prova in merito alle caratteristiche dell’attività prestata, all’importanza, natura, difficoltà e valore dell’affare, alle condizioni soggettive del cliente, ai risultati conseguiti, al numero e alla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate e che pertanto il tribunale non possa avvalersi, nel procedimento di rideterminazione del compenso, di consulenze tecniche ma esclusivamente del parere dell’Ordine o Collegio. Ciò andando a sopperire una stortura del sistema che era tanto palese quanto assurda in cui la commissione di esperti dell’Ordine poteva essere contraddetta o scavalcata da un generico CTU, magari inesperto nella specifica disciplina.

L’articolo 2 della proposta fissa l’obbligo, per gli Ordini e i Collegi professionali, di introdurre norme deontologiche tese a sanzionare la violazione da parte del professionista:

  • dell’obbligo di pattuire un compenso equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta, in applicazione dei parametri o delle tariffe ministeriali;
  • dell’obbligo di informativa della nullità della pattuizione di un compenso iniquo, nei rapporti in cui gli accordi siano predisposti esclusivamente dal professionista.

L’articolo 3 statuisce che il parere di congruità emesso dall’Ordine o dal Collegio, abbia efficacia di titolo esecutivo per il professionista, e se il debitore non abbia proposto opposizione ai sensi dell’articolo 702-bis del codice di procedura civile davanti all’autorità giudiziaria, entro 40 giorni dalla notificazione del parere stesso a cura del professionista.

L’articolo 4 modifica la disciplina del termine di decorrenza della prescrizione dell’azione di responsabilità professionale, individuando la decorrenza della prescrizione, il dies quo, non più da quando il committente venga a conoscenza dell’ipotetico vizio, ma dal giorno del compimento della prestazione da parte del professionista iscritto all’ordine o al collegio professionale.

Con questo articolo si cerca di sopperire, forse anche blandamente, ad un’altra stortura che ha del grottesco e che penalizza fortemente i professionisti rispetto alle imprese: la giurisprudenza interpreta e poi ci “racconta” che i vizi e i difetti delle opere derivanti da attività intellettuali possono essere denunciati entro dieci anni dal momento in cui se ne viene a conoscenza (Corte di Cassazione Civile, sezione seconda, sentenza n. 28575 del 20 Dicembre 2013), significa che per un prestatore d’opera che non sia un professionista vale l’art. 2226 c.c. che limita in 8 giorni dalla scoperta del vizio o della difformità, la possibilità di denuncia del committente, mentre l'azione si prescrive entro un anno dalla consegna; contrariamente per un professionista (figlio di un dio minore?) questo lasso di tempo si protrae nientedimeno fino a 10 anni!

Ma la costituzione all’art. 3 non recita che “tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge”?  lo stesso articolo sanziona le distinzioni basate su sesso, lingua, religione, razza, idee politiche, condizioni personali e sociali. La giurisprudenza penalizza di fatto e brutalmente la condizione personale e sociale del cittadino che si trova ad avere la sfortuna di essere un professionista iscritto ad un Ordine o Collegio professionale, applicando ad esso una norma enormemente più punitiva. Ci sembra una sproporzione che ha dell’assurdo. Ma tant’è!

Si tratta di una proposta di legge che i professionisti accolgono con favore e che andrebbe a limitare i danni subiti da anni di vessazioni ed abbandono della categoria.

La FNAILP intende seguire l’iter approvativo della proposta di legge, attivando, sulla propria pagina FB, il relativo link della discussione in aula al fine di informare il maggior numero di professionisti e porre sotto i riflettori gli interventi dei singoli parlamentari, così da estendere la partecipazione a quello che si ritiene essere un processo inarrestabile di civiltà a tutela della intera sfera sociale.

A cura di Arch. Pasquale Giugliano
Portavoce nazionale della Federazione Nazionale Architetti ed Ingegneri Liberi Professionisti FNAILP

© Riproduzione riservata