Edilizia privata, dalla Consulta limiti alle Regioni su cambio di destinazione d'uso e opere interne

Regime più rigido per il cambio di destinazione d'uso e per le opere interne alle unità immobiliari. La Corte Costituzionale ha, infatti, bocciato alcune nor...

09/04/2018

Regime più rigido per il cambio di destinazione d'uso e per le opere interne alle unità immobiliari. La Corte Costituzionale ha, infatti, bocciato alcune norme contenute all'interno della legge della Regione Umbria 21 gennaio 2015, n. 1 (Testo unico governo del territorio e materie correlate), evidenziando delle limitazioni che possono essere estese a tutte le Regioni.

Il problema era stato sollevato con ricorso presentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nell'aprile 2015 che aveva posto in dubbio la legittimità costituzionale di alcune norme contenute nella legge umbra n. 1/2015.

Governo del territorio

Entrando nel dettaglio, la Consulta ha bocciato l’art. 28, comma 10 e l’art. 56, comma 3 della citata legge regionale nella parte in cui:

  • attribuisce al Comune, in sede di adozione del PRG, il compito di esprimere il parere sugli strumenti urbanistici generali dei comuni siti in zone sismiche o in abitati da consolidare, di cui all’art. 89 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia – Testo A);
  • stabilisce che lo sportello unico delle attività produttive ed edilizie (SUAPE) acquisisca direttamente «i pareri che debbono essere resi dagli uffici comunali, necessari ai fini dell’approvazione del piano attuativo compreso il parere in materia sismica, idraulica ed idrogeologica, da esprimere con le modalità di cui all’articolo 112, comma 4, lettera d)».

La Consulta ha evidenziato che art. 89 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) è norma di principio in materia non solo di «governo del territorio», ma anche di «protezione civile», in quanto volta ad assicurare la tutela dell’incolumità pubblica e, pertanto, si impone al legislatore regionale nella parte in cui in cui:

  • prescrive a tutti i Comuni, per la realizzazione degli interventi edilizi in zone sismiche, di richiedere il parere del competente ufficio tecnico regionale sugli strumenti urbanistici generali e particolareggiati, nonché sulle loro varianti ai fini della verifica della compatibilità delle rispettive previsioni con le condizioni geomorfologiche del territorio;
  • disciplina le modalità e i tempi entro cui deve pronunciarsi detto ufficio;
  • prevede che, in caso di mancato riscontro, il parere deve intendersi reso in senso negativo.

Le disposizioni regionali impugnate di cui agli artt. 28, comma 10 e 56, comma 3 risultano, pertanto, essere in contrasto con il principio fondamentale posto dall’art. 89 del d.P.R. n. 380/2001, nella parte in cui assegnano ai Comuni – piuttosto che al competente ufficio tecnico regionale ‒ il compito di rendere il parere sugli strumenti urbanistici generali ed attuativi dei Comuni siti in zone sismiche.

Modifica della destinazione d'uso

Altra norma illegittima è quella contenuta nell’art. 59, comma 3 nella parte in cui consente gli interventi edilizi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, nonché di ristrutturazione edilizia, nelle aree in cui non siano state attuate le previsioni degli strumenti urbanistici generali, anche a mezzo di piano attuativo, presupposto per l’edificazione, e stabilisce che tali interventi possano comportare anche la modifica della destinazione d’uso in atto in un edificio esistente, purché la nuova destinazione risulti compatibile con le previsioni dello strumento urbanistico generale.

Tale norma, nella parte in cui consente la realizzazione, in assenza del piano attuativo, quando quest’ultimo sia obbligatorio, di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro e risanamento conservativo, nonché di ristrutturazione edilizia, senza limitazioni, prevedendo che tali interventi possano «comportare anche la modifica della destinazione d’uso in atto in un edificio esistente nell’ambito dell’insediamento, purché la nuova destinazione d’uso risulti compatibile con le previsioni dello strumento urbanistico generale», si pone in contrasto con le previsioni contenute nell'art. 9, comma 2 del d.P.R. n. 380/2001, che costituiscono principi fondamentali della materia.

Opere interne

Altra norma illegittima è quella contenuta nell’art. 118, comma 1, lettera e) della legge reg. Umbria n. 1/2015 nella parte in cui annovera tra gli interventi di attività edilizia libera le «opere interne alle unità immobiliari di cui all’art. 7, comma 1, lettera g)».

Anche questa norma è in contrasto con i principi fondamentali in materia di «governo del territorio», stabiliti dal legislatore statale nell’art. 6, comma 2, lettera a), e comma 4, del d.P.R. n. 380/2001, che assoggetta a comunicazione di inizio lavori cosiddetta “asseverata” «gli interventi di manutenzione straordinaria di cui all’articolo 3, comma 1, lettera b), ivi compresa l’apertura di porte interne e lo spostamento di pareti interne, sempre che non riguardino le parti strutturali dell’edificio».

La Consulta aveva già dichiarato l’illegittimità costituzionale di una normativa regionale, analoga a quella in esame, che escludeva dall'obbligo di comunicazione di inizio dei lavori asseverata da un tecnico abilitato (CILA) nonché di comunicazione semplice (CIL) «le opere interne a singole unità immobiliari, ivi compresi l'eliminazione, lo spostamento e la realizzazione di aperture e pareti divisorie interne che non costituiscono elementi strutturali, sempre che non comportino aumento del numero delle unità immobiliari o implichino incremento degli standard urbanistici», per contrasto con i principi fondamentali della materia contenuti nell’art. 6, comma 2, lettera a), del d.P.R. n. 380/2001 (sentenza n. 282/2016).

La norma regionale impugnata, là dove prescrive per le cosiddette opere interne un regime di edilizia totalmente libera, escludendo la CILA, contrasta con i principi fondamentali della materia fissati dal legislatore statale.

In allegato la sentenza della Consulta.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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