Riforma Professioni: Le risposte di Riccardo Bedrone Presidente Ordine Architetti Torino

Alla fine del mese scorso, nell'occasione della pubblicazione di un articolo sulla riforma delle professioni, in considerazione di molteplici commenti dei no...

17/05/2012
Alla fine del mese scorso, nell'occasione della pubblicazione di un articolo sulla riforma delle professioni, in considerazione di molteplici commenti dei nostri lettori, abbiamo posto ai Presidenti del Consiglio nazionale dei Geologi, del Consiglio nazionale degli architetti e del Consiglio nazionale degli Ingegneri ed ai Presidenti degli Ordini degli Architetti di Roma, Firenze e Torino alcune domande che hanno avuto, le puntuali risposte di:
  • Gianvito Graziano, Presidente del Consiglio nazionale dei geologi;
  • Armando Zambrano, Presidente del Consiglio nazionale degli Ineggneri;
  • Riccardo Bedrone, Presidente dell'Ordine degli Architetti di Torino.
  • Fabio Barluzzi, Presidente dell'Ordine degli Architetti di Firenze;

Abbiamo pubblicato nei giorni passati le risposte di Gianvito Graziano, Presidente del Consiglio nazionale dei Geologi e quelle di Armando Zambrano, Presidente del Consiglio nazionale degli Ingegneri e pubblichiamo, oggi, le risposte di Riccardo Bedrone, Presidente dell'Ordine degli Architetti di Torino.

D. Ritiene giusta una riforma della professione che modifichi l'attuale struttura regolata da norme che sono abbondantemente datate e che superi le attuali connotazioni in Consigli provinciali e Consiglio Nazionale?
R. L'attuale governo ha introdotto modifiche riduttive rispetto all'ordinamento professionale vigente che hanno semplicemente ridotto i compiti e le funzioni degli Ordini, senza però nulla dire circa i rapporti (gerarchici?, di sussidiarietà?, orizzontali?) che devono intercorrere tra Consiglio nazionale e Consigli provinciali. Con il risultato che continua a non essere chiaro cosa tocca fare all'uno ed agli altri. A maggior ragione questa incertezza diventa inaccettabile rispetto a professioni, come quella di architetto, fortemente inserite nel processo produttivo e quindi necessitevoli di ben diversa e più efficace tutela e coordinamento che non quelli assicurati ora dal Ministero di Giustizia, da cui ancora dipendono. Dunque, ben venga una vera riforma - quella che le professioni attendono da anni - che riveda completamente (razionalizzandole) la collocazione e l'articolazione delle rappresentanze professionali.

D.Ritiene che l'attuale legge elettorale dei consigli provinciali e nazionali sia idonea a rappresentare i professionisti e che la stessa, con la possibilità di creazione di cordate, dia una possibilità quasi nulla di rappresentanza alle minoranze
R. No, non è idonea, soprattutto perché è stata concepita non per costituire assemblee elettive ma una sorta di organi esecutivi che, per la loro natura, non dovrebbero essere dialettici, ma operativi. In realtà, la dialettica interna al corpo elettorale dei professionisti è invece piuttosto intensa e fondata su concezioni spesso contrapposte degli Ordini, che portano a posizioni molto differenziate sul ruolo che dovrebbero avere e sulle attività che dovrebbero svolgere. Finché queste non saranno chiarite, la confusione continuerà ad essere grande. In ogni caso, soprattutto a livello nazionale, occorre che il sistema delle rappresentanze possa manifestarsi pienamente attraverso l'elezione non di un Consiglio nazionale, ma di una assemblea dotata di poteri tutti da definire. Il Consiglio nazionale ne diverrebbe l'esecutivo, eletto in secondo grado.

D. Ritiene corretto un unico albo con gli stessi diritti e con gli stessi doveri in cui possano confluire sia i liberi professionisti che i dipendenti?
R. Si, se svolgono le stesse attività e quindi portano le stesse responsabilità nel confronti dell'interesse generale. Altrimenti si finirebbe per giustificare la posizione - estrema, radicale e veramente corporativa - di quanti vorrebbero gli Ordini come una sorta di organismo sindacale dei liberi professionisti, che non è la ragione per cui sono nati né il vero obiettivo di una riforma, che dovrebbe invece aiutare a contemperare la tutela di interessi professionali e collettivi. Perché non è la posizione professionale che divide le attività intellettuali, ma l'attività che sviene svolta che le unisce.

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