Commissioni di gara: l’iperburocrazia di codice ed Anac blocca l’efficienza

14/07/2017

Ancora una volta si deve registrare il dato sconfortante che in Italia la “lotta alla corruzione” altro non è se non forma e carico burocratico insopportabile, ma pochissima sostanza.

Ne è dimostrazione lampante la paradossale questione normativa posta dal d.lgs 50/2016 e dalle Linee Guida Anac 3/2016 relativamente alla composizione delle commissioni di gara.

L’assunto è, sostanzialmente, che delle commissioni, obbligatorie quando il criterio di gara è quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, debbano fare parte delle “vestali”, vergini di ogni partecipazione alle procedure di formazione della documentazione tecnica e con la mente totalmente sgombra da qualsiasi cognizione tecnica allo scopo realizzata e, soprattutto, da ogni condizionamento.

Quella parte della giurisprudenza che ha abbracciato questo concetto così radicale e fideistico dell’anticorruzione non ammette zone grigie o necessità organizzative. Sicchè, di recente il Tar Puglia-Lecce, Sezione II, con la sentenza 29 giugno 2017, n. 1074 è giunto alla più estrema delle conclusioni radicali: nonostante le chiare previsioni dell’articolo 107, comma 3, del d.lgs 267/2000, il dirigente o responsabile del servizio competente a gestire il contratto non può e non deve mai (mai e poi mai) presiedere la gara.

E’ il Tar Lecce a spiegare il perché: “E’ invece emerso, come correttamente dedotto dalla difesa dell’associazione, che il Presidente della Commissione, dottor […], nominato in tale veste con determina dirigenziale n. 642 del 15 settembre 2016 ha redatto, approvato e sottoscritto l’Avviso Pubblico di indizione della gara, di cui alla determina n. 423/2016 del 22 giugno 2016, e tanto nella distinta veste di Dirigente al Patrimonio.

La preventiva redazione dell’atto inditivo della gara controversa è tale da determinare la situazione di incompatibilità che la norma sopra richiamata ha inteso scongiurare.

E’ infatti evidente la finalità, perseguita dall’art. 77 comma 4 citato, di evitare che uno dei componenti della Commissione, proprio per il fatto di avere svolto in precedenza attività strettamente correlata al contratto del cui affidamento si tratta, non sia in grado di esercitare la delicatissima funzione di giudice della gara in condizione di effettiva imparzialità e di terzietà rispetto agli operatori economici in competizione tra di loro.

Ritiene il Collegio di dover precisare, sul punto, che il principio di imparzialità dei componenti del seggio di gara va declinato nel senso di garantire loro la cd virgin mind, ossia la totale mancanza di un pregiudizio nei riguardi dei partecipanti alla gara stessa.

Tale pregiudizio può essere agevolmente rintracciato in un caso come quello qui in esame, posto che la predisposizione, da parte del Presidente della Commissione di gara, addirittura delle c.d. regole del gioco può influenzare la successiva attività di arbitro della gara”.

Come si nota, il Tar è davvero alla ricerca di “menti vergini”, proprio come le “vestali” cui si alludeva prima, certamente spinto verso questa concezione dalle previsioni normative, l’articolo 77, comma 4, del codice dei contratti, da un lato, e le Linee Guida 3/2016, dall’altro.

Se, tuttavia, il richiamo alle norme può in qualche misura convincere della decisione assunta dal Tar Puglia-Lecce, le ragioni addotte appaiono totalmente infondate e debolissime.

Non c’è dubbio che il legislatore ritenga di dover assicurare imparzialità assoluta nell’operato della commissione di gara. Ma, il problema della garanzia di tale imparzialità non consiste certo nella circostanza che della commissione possa far parte il presidente o il Rup per ciò solo.

Il Tar si limita ad enunciare (qui sostanzialmente rifacendosi in modo acritico alle indicazioni astratte del codice) che la predisposizione di qualsiasi documento di gara potrebbe costituire un “pregiudizio” nei confronti dei partecipanti alla gara. Ma, il Tar non fornisce alcuna risposta alla domanda lecita, che riguarda anche il contenuto dell’articolo 77, comma 4, del codice: perché mai l’aver predisposto atti di gara espone ad un conflitto di interessi?

Il ragionamento che l’aver scritto le “regole del gioco” possa influenzare la successiva funzione di arbitro fa acqua da tutte le parti: è un postulato indimostrato e indimostrabile.

La commissione di gara potrebbe formarsi un “pregiudizio” sui partecipanti, alla luce del fatto che alcuni componenti della commissione abbiano scritto le regole del gioco, solo ove si dimostrasse che detti componenti:

  1. abbiano scelto discrezionalmente i partecipanti alla gara stessa;
  2. abbiano violato segreto d’ufficio, principi di riservatezza, concorrenzialità, parità di condizioni e tutte le regole del Piano Nazionale Anticorruzione, del piano triennale del singolo ente e del dpr n. 62 /2013, commettendo reati, violazioni amministrative e disciplinari.

Stando così le cose, i modi per porre rimedio ai pericoli gestionali delle gare potrebbero essere molteplici:

  1. vietare in modo assoluto e inderogabile che nelle commissioni di gara possano esser presenti soggetti che a qualsiasi titolo non abbiano redatto gli atti, ma abbiano, invece, identificato in via discrezionale gli operatori economici da invitare: in questo caso, infatti, il rischio di fuga di notizie o di turbativa d’asta per aver scelto esattamente le ditte inidonee a far vincere “l’amico” è elevatissimo. Ovviamente, questo tipo di rischio viene ridotto in modo drastico nel caso delle procedure aperte o ristrette o quando per la selezione di operatori economici anche nelle procedure regolate dall’articolo 36 del codice non ci si affidi alla discrezionalità, ma si utilizzino avvisi per la manifestazione di interesse, oppure metodi di scelta di chi invitare del tutto sganciati da un’attività positiva di chiunque, come l’estrazione a sorte da un albo;
  2. prevedere un’espressa presunzione di propensione a delinquere di dirigenti o responsabili di servizio e Rup e stabilire, in ogni caso e sempre, qualsiasi siano sistemi di gara e criteri di gara, un divieto totale ed inderogabile di far parte della commissione.

Il Tar Puglia Lecce pare convinto che la seconda soluzione possibile sia in effetti vigente. Ma, allo scopo, la sentenza non ha tenuto conto che la conclusione radicale adottata si va a scontrare frontalmente col già ricordato articolo 107, comma 3, del d.lgs 267/2000, ai sensi del quale ai dirigenti o ai responsabili di servizio si assegna la responsabilità delle procedure di gara.

Ora, occorre intendersi sul concetto di “responsabilità”. In qualsiasi organizzazione privata, la qualifica di “responsabile” costituisce un incarico gratificante: consente, infatti, l’esercizio di poteri operativi e decisionali, nonché di spesa. Il “responsabile” assume le decisioni afferenti il ramo organizzativo ad esso sottoposto.

Troppe volte, invece, nell’organizzazione pubblica la qualificazione di qualsiasi incarico come “responsabile” assume un valore solo formale. Il “responsabile” nella PA non è tanto o solo chi è preposto a dirigere strutture o, comunque, a gestire procedimenti, ma soprattutto chi risponde al giudice penale, civile e contabile. L’impostazione organizzativa dell’intreccio paradossale delle leggi italiane, però, talvolta giunge al paradosso che l’agnello sacrificale del “responsabile” in certi casi non debba poter svolgere le funzioni per le quali si giustifica la propria responsabilità: nel caso degli appalti, esattamente quella di condurre la procedura, assumendosi appunto la responsabilità di redigere atti di gara accurati, di conoscerne a fondo i contenuti e la ratio e di utilizzare le regole del gioco ben note, allo scopo di garantire un funzionamento efficiente della commissione di gara.

E’ questo il fine evidente dell’articolo 107, comma 3, del d.lgs 267/2000. Il quale, ha, tuttavia, un altro fine più implicito: quello della razionalizzazione organizzativa.

Il legislatore, l’Anac e certa parte della giurisprudenza evidentemente (ed incredibilmente) non hanno ancora preso atto che moltissimi enti locali (ma anche tante altri enti) sono amministrazioni di modeste dimensioni, con poco personale disponibile. La grandissima parte dei comuni italiani difficilmente giunge ad avere un organico di 30 dipendenti; tra questi, le figure dei responsabili di servizio sono poche, spesso debbono coincidere per ragioni organizzative con i Rup e, comunque, poiché si tratta di competenze settorializzate, le disponibilità di restanti dipendenti, fatti fuori vertice del servizio e Rup, per comporre in modo competente e “dignitoso” le commissioni, sono ridotte al lumicino; tanto che avvalersi di altri dipendenti (sempre che ne esistano dotati delle necessarie competenze) estranei al servizio che ha redatto gli atti, significa distoglierli da altre attività correnti, creando buchi organizzativi e lavorativi irrimediabili.

Sorge, dunque, molto forte l’impressione che questo modo di intendere profondamente radicale l’assunta incompatibilità tra responsabile di servizio e/o Rup ed incarico di componente delle commissioni sia un modo per forzare comunque gli enti ad avvalersi delle centrali uniche d’appalto o dei soggetti aggregatori, così da raggiungere l’obiettivo da anni sempre evidenziato della riduzione drastica del numero delle stazioni appaltanti. Per altro, proprio le Linee Guida relative al Rup, che richiedono requisiti professionali e titoli di studio troppo elevati perché in enti di piccole dimensioni sia possibile reperirli in numero sufficiente, nonché il sistema ancora non avviato della qualificazione delle stazioni appaltanti, appaiono l’approdo ad un sistema finalizzato ad espropriare di ogni autonomia gli enti, ed affidarsi appunto solo alle centrali di committenza. Con la scommessa che poche decine di soggetti si rivelino davvero capaci nel futuro di gestire appalti per conto di decine di migliaia di amministrazioni richiedenti: scommessa persa in partenza, anche se occorrerà ovviamente aspettare anni perché i dati confermino questo semplicissimo vaticinio.

La cosa che maggiormente desta sconforto nell’analizzare posizioni interpretative come quelle del Tar Puglia-Lecce è la consapevolezza che il radicalismo ivi presente si scontra oltre tutto con norme ed interpretazioni attuative che vorrebbero a loro volta essere assolute, tetragone ed in scalfibili, ma assolutamente tali non sono e per questo scatenano infinite questioni interpretative, tali che in giurisprudenza si formino filoni totalmente opposti a quello del Tar Puglia-Lecce. Con la conseguenza esiziale che il contenzioso sia destinato a lievitare sempre e comunque.

Non è da sottovalutare che, a proposito della possibilità che il Rup faccia parte delle commissioni (e ricordiamo che anche il dirigente o responsabile di servizio può rivestire la qualifica di Rup) il “correttivo” al codice, dimostrando quanto incerto, ondivago e dubitabondo sia il legislatore, ha modificato proprio l’articolo 77, comma 4, del codice, il cui ultimo periodo dispone: “La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura”. Dunque, è lo stesso legislatore a contraddire l’assunto del Tar Puglia-Lecce, secondo il quale ciascuna amministrazione dovrebbe dotarsi di un tempio sacro, nel quale sacerdoti e sacerdotesse vergini magari non solo nella mente siano allevati per darsi, a seguito di sacra invocazione, all’opera in una commissione di gara: il Rup, che certamente svolge funzioni o incarichi tecnici ed amministrativi nella procedura, non è vero che sia in assoluto ed in modo inderogabile escluso dalla possibilità di far parte della commissione. La legge ora assegna alle singole stazioni appaltanti il compito di “valutare” se ricorrano di volta in volta presupposti perché il Rup faccia parte della commissione.

Una norma, questa introdotta dal correttivo, che nel dimostrare la debolezza complessiva degli assunti radicali della incompatibilità tra componente delle commissioni e partecipante alla fase preparatoria degli atti di gara, sarà comunque foriera di ulteriori cortocircuiti. Infatti, rimette alla motivazione delle amministrazioni la tenuta sul piano della legittimità degli incarichi ai Rup come commissari: non vi è il minimo dubbio che la completezza, profondità e correttezza delle motivazioni costituiranno altra carne da mettere al fuoco dei ricorsi e dell’infinito contenzioso.

Ma, in proposito è da ricordare che nemmeno l’Anac si era dimostrata così convinta che il Rup, in effetti, dovesse restare sempre e soltanto estraneo alla commissione. Ricordiamo quanto dispongono le Linee Guida 3 al punto 2.2., ultimo periodo: “Il ruolo di RUP è, di regola, incompatibile con le funzioni di commissario di gara e di presidente della commissione giudicatrice (art. 77, comma 4 del Codice), ferme restando le acquisizioni giurisprudenziali in materia di possibile coincidenza”.

Lungi, dunque, dall’aver chiarito con una presa di posizione drastica che il Rup sia sempre e necessariamente da escludere dal far parte delle commissioni, l’Anac, al contrario:

  1. utilizza la formulazione sfortunatissima del “di regola”, alla quale si fa ricorso per, sostanzialmente, affermare che la “regola” non sia affatto tale e che, dunque, quanto da essa previsto sia solo un’indicazione non cogente;
  2. ha accettato le indicazioni del Consiglio di stato espresse nel parere relativo proprio alle Linee Guida poi sfociate nelle LG 3/2016, di tenere conto della giurisprudenza di Palazzo Spada, da anni orientata a considerare legittima la presidenza della commissione di gara da parte di dirigenti e responsabili di servizio negli enti locali e, conseguentemente, anche del Rup.

Pertanto, la stessa normativa, sia “hard” (il codice) sia “soft”, le Linee Guida, non è affatto allineata su posizioni estreme ed assolute quali quelle del Tar Puglia-Lecce, la cui sentenza si preannuncia, quindi, come facilmente oggetto di futura profonda revisione, se sarà appellata davanti al Consiglio di stato.

Per altro, a pochissimi giorni di distanza, il Tar Veneto, Sezione I, con sentenza 7 luglio 2017, n. 660 è giunto ad una decisione totalmente opposta a quella del Tar Puglia, affermando che la legge non vada intesa nel senso che disponga un’astratta ed inderogabile incompatibilità tra commissari di gara e ruoli di dirigente/responsabile di servizio e Rup, ma che, al contrario, occorre la “concreta dimostrazione dell’incompatibilità sotto il profilo dell’interferenza sulle rispettive funzioni assegnate al RUP e alla Commissione”; in ciò il Tar Veneto si adegua alla pregressa giurisprudenza del Consiglio di stato, indirettamente richiamata dalle Linee Guida Anac 3/2016.

La posizione del Tar Veneto, in conflitto frontale con quella del Tar Puglia-Lecce, per quanto da considerare condivisibile, ponderata, corretta ed utile per superare le disfunzioni organizzative irrimediabili determinate da letture radicali della normativa, purtroppo non può rallegrare più di tanto. Essa conferma che il tema della composizione delle commissioni di gara è inaccettabilmente complesso e fonte di mille contrasti e contenziosi.

Il nuovo codice dei contratti è stato più volte fatto passare come fonte di semplificazione delle procedure per il “rilancio” degli appalti. Come si nota, invece, è stato ed è causa di complicazioni infinte, anche su temi come quello della composizione delle commissioni di gara, che sul piano della sostanza hanno incidenza pari a zero, a meno che non si verifichino reati di turbativa d’asta, che nemmeno la presenza di sacerdotesse votate alla verginità della mente può del tutto scongiurare. Tutta questa inaccettabile confusione, questa complicazione, questo contenzioso sarebbe e dovrebbe essere evitato se solo il legislatore per una volta utilizzasse una chiarezza da sistema binario e ci dicesse in modo incontestabile cosa è consentito e cosa no, puntando, per una volta, davvero all’efficienza dell’organizzazione, senza limitarsi ad enunciarla.

Tratto da luigioliveri.blogspot.com



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