Emergenza Covid-19 e Professione Architetto: doveroso compiere una rivoluzione

di Valeria Fazzino - 09/04/2020

Ora più che mai, in questi giorni in cui tutti noi siamo messi a dura prova, sia a livello umano che a livello professionale, sentiamo in ogni dove l’importantissima indicazione dell’hashtag #iorestoacasa. Immediatamente, per noi architetti, la mente va a ciò che costituisce l’elemento primario della nostra professione: la casa. Il dizionario Treccani ci dice testualmente:

Casa s. f. [lat. casa, propr. «casa rustica»] - Costruzione eretta dall’uomo per propria abitazione; più propriamente il complesso di ambienti, costruiti in muratura, legno, pannelli prefabbricati o altro materiale, e riuniti in un organismo architettonico rispondente alle esigenze particolari dei suoi abitatori.

Più in dettaglio, scorrendo il suo significato, si arriva al più figurato concetto di nucleo familiare e di società.

E’ un concetto di importanza estrema che ci rimanda, immediatamente, al senso di appartenenza, di identità sociale e che trova, oggi più che mai, il suo senso più profondo in quella grande voglia di comunità che noi tutti sentiamo, quasi inaspettatamente. Fra le innumerevoli parole latine che, nei millenni, hanno descritto l’abitazione, è stato il termine “casa” ad avere poi la meglio. E’ proprio in questa parola, infatti, che la lingua italiana ha trovato il suo significato più corretto e, oserei dire, completo. Un significato che non si ferma alla mera denotazione fisica di un edificio e alla sua costruzione, in senso edilizio, ma che, invece, andando ben oltre, arriva a toccare il lato più sentimentale, relazionale, emotivo e, quasi, spirituale. E’ in questi giorni così difficili e di grande dolore che, non solo stiamo reinventando noi stessi e le nostre giornate, all’interno delle nostre case, coniugando le nostre vite private con quelle professionali - dimensioni, peraltro, spesso tenute separate - ma che, forse, ci viene offerta la possibilità di riflettere sul serio sull’importanza degli spazi che viviamo comunemente, senza quasi accorgercene. Gli stessi dove abbiamo scelto di tornare a fine giornata, o di formare una famiglia. Gli stessi dove abbiamo deciso di far crescere i nostri figli o dare spazio ai nostri lati più intimi e privati. Nel significato più aulico, poi, l’architetto viene visto come un “mediatore della bellezza, capace di coniugare tecnica ed estetica all’interno degli ambienti costruiti” per usare le parole dell’architetto Marco Piva. Una descrizione che serve a delineare perfettamente una delle professioni più sottovalutate in Italia. Ma è davvero questa la percezione dell’architetto, oggi? O il nostro ruolo è per lo più quello di “problem solver” per clienti sempre più pretenziosi, da un lato, e normative sempre più complesse e dal lesionismo facile e veloce, dall’altro.

E’ quindi doveroso compiere una vera e propria operazione di trasformazione, necessaria, soprattutto per quel che riguarda il senso ultimo della nostra professione. Che lezione o insegnamento possiamo trarre da tutto quello che stiamo vivendo? Qual è la strada che è stata tracciata, sino ad ora, per la nostra professione? Cosa è giusto mantenere e cosa è giusto cambiare? Si è come arrivati ad un bivio: il compito dell’architetto è davvero solo quello di fronteggiare tutto ciò che fino ad ora ha appesantito, in modo gratuito, la nostra professione o magari è indispensabile ritrovare la reale natura dell’Architettura in quanto tale?

Forse è arrivato il momento, per l’architetto, di riscoprire e reinterpretare, in maniera innovativa, il mondo attorno a se, trasformando il proprio modo di progettare, reinventando la sua funzione e la sua formazione, come professionista calato all’interno di una società che non sarà mai più la stessa. Una figura cardine, nel mondo delle professioni tecniche, che ponga al centro di tutto un quesito ormai fondamentale: quanto diventa importante progettare spazi abitativi che abbiano davvero una propria e significativa identità e che possano essere definiti casa? Non alloggio. Non abitazione. Ma Casa. Nel senso più vero ed elementare del termine. Ora più che mai riscopriamo e comprendiamo il vero ruolo sociale e umano dell’Architettura. La casa si mostra come nido, come tana, nel suo più ancestrale significato. Significato che ha senz’altro perso, nell’ultimo secolo, assottigliandosi e accomunandosi sempre più al ruolo di costruzione ed edificazione. Non dimentichiamo da dove essa nasce: dal bisogno di riparo per se e per la propria specie. E forse ora, più che mai, ne capiamo il senso. L’Architettura non è solo edilizia, non è solo mero fatturato annuo ma ricopre un ruolo fondamentale nella vita di un essere umano.

L’architetto deve tornare a progettare in un modo nuovo, pensando spazi che, nel pieno rispetto normativo, soddisfino davvero l’idea di comfort sensoriale, oltre che tecnologico: dai materiali, alla luce, alla reinvenzione degli ambienti in termini di connessione e destinazione d’uso. Un benessere più sottile e invisibile che miri a generare relazioni umane tra chi li abita.

Si potrebbe pensare che tali concetti siano da manuale, lontani dal reale ma nessuno mai si sarebbe aspettato una situazione come quella attuale, in cui le ore passate in casa diventano la totalità della giornata. Il mio, quindi, è un appello che rivolgo a tutti i colleghi. L’architettura deve tornare ad essere quello che è sempre stata. Un po’ come tutti noi che, da questa terribile lezione, ne usciremo senz’altro cambiati. Ci si augura in meglio.

A cura di Arch. Valeria Fazzino



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