La prevenzione della corruzione: L’inchiesta della Gabanelli ed i poteri dell’Autorità

17/10/2018

Milena Gabanelli con l’inchiesta “Anticorruttori ma già condannati” pubblicata il 14 ottobre 2018 nella rubrica del Corriere della Sera TV “Dataroom” aveva iniziato affermando che “L’Italia ha un problema di corruzione lo sappiamo da anni. Per arginarla è stata istituita per legge l’Autorità Anticorruzione presieduta dal 2014 da Raffaele Cantone” ed ha denunciato che negli enti locali almeno 20 responsabili anticorruzione sono a processo o hanno subito condanne. A questi enti l’ANAC (Autorità nazionale AntiCorruzione) aveva inviato una circolare in cui era evidenziata l’opportunità che i responsabili dell’anticorruzione non abbiano procedimenti in corso “perché su queste figure non può gravare l’ombra del dubbio”. La Gabanelli ha concluso affermando “Se Raffaele Cantone finora non lo sapeva adesso lo sa”.

Il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, ha inviato una lettera al direttore del Corriere della Sera, pubblicata ieri 16 ottobre 2018, con alcune precisazioni in merito all’articolo di Milena Gabanelli pubblicato ieri sul medesimo quotidiano.

Caro direttore,
con la sua ottima inchiesta «Anticorruttori ma già condannati», ieri Milena Gabanelli ha posto un problema assai serio: il rischio che la figura di Responsabile della prevenzione della corruzione (Rpc), prevista dalla legge Severino, sia oggetto di pressioni politiche o quel ruolo sia ricoperto da dirigenti dalla condotta discutibile, sminuendo così una funzione fondamentale per contrastare il malaffare nella Pubblica amministrazione. È un fronte che da tempo vede impegnata l'Anac, che agli Rpc dedica annualmente un'apposita giornata di formazione anche per consentire di esercitare al meglio il loro ruolo.

In questa stessa prospettiva, oltre a raccomandare alle amministrazioni, nel Piano Nazionale anticorruzione, di non nominare a tale carica chi non abbia dato prova «nel tempo di comportamento integerrimo», la scorsa estate l'Anac ha anche emanato un apposito Regolamento per tutelare chi svolge correttamente il proprio dovere, rafforzando i meccanismi di tutela della sua indipendenza, attraverso uno specifico istituto previsto dalla legge e cioè la richiesta di riesame dei provvedimenti di revoca degli Rpc, quando vi è il sospetto che queste revoche siano dettate da ragioni ritorsive o discriminatorie. Per evitare equivoci, però, certamente non voluti dalla bravissima giornalista è necessario fare alcune precisazioni.

Comprendo la necessità su temi complessi di semplificare i messaggi ma scrivere che gli Rpc sono i «responsabili Anac» non è in linea con la realtà e con quanto prevede la legge. L'Autorità nazionale anticorruzione, infatti, non ha alcun potere nella loro nomina né alcun ruolo rispetto al loro operato. Gli Rpc sono dipendenti della singola amministrazione e questo incarico è conferito dai vertici della amministrazione di appartenenza, senza nessuna interlocuzione con l'Anac. Se l'Autorità viene a conoscenza in qualunque modo di comportamenti non corretti, segnala tale dato all'Amministrazione di appartenenza chiedendo anche di sostituire gli Rpc. Sono numerosi i casi in cui ciò è avvenuto e, ad onor del vero, quasi sempre le amministrazioni si sono adeguate.

Quanto all'affermazione contenuta nell'inchiesta secondo cui non si sa in quali casi gli Rpc abbiano segnalato il verificarsi di fatti di corruzione, va chiarito che non si tratta di ufficiali di polizia né giudiziaria né di sicurezza ma di soggetti chiamati a far rispettare un impianto di norme (dai piani di prevenzione, ai codici etici alle norme sulla trasparenza) che, anche secondo i migliori standard intemazionali, hanno come obiettivo di provare ad evitare che la corruzione si verifichi! Infine, mi faccia però spezzare una lancia in favore degli Rpc; i casi indicati dalla Gabanelli sono gravi e le amministrazioni che non rimuovono quelli nominati in modo inopportuno violano lo spirito della legge; verificheremo tutti i casi ed interverremo di conseguenza.
È però giusto ricordare che le amministrazioni tenute a nominare un Rpc sono almeno 15 mila. Ci possono essere certamente mele marce (e non sono mancati persino casi di arresti di Rpc) ma va evidenziato anche che sono tanti coloro che stanno provando a vincere una sfida difficilissima; quella di imporre i valori dell'anticorruzione dall'interno, senza aspettare indagini, manette ed agenti provocatori.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it



© Riproduzione riservata