Nuovo Codice Appalti, con il D.Lgs. n. 50/2016 passo indietro rispetto alla normativa precedente

12/05/2016

Con l'approvazione, pubblicazione in Gazzetta Ufficiale ed entrata in vigore del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 si è concluso un periodo di passione durato 24 mesi e che ha finalmente portato alla revisione delle disposizioni in materia di appalti pubblici.

Nonostante l'idea originaria che ha mosso la redazione del nuovo Codice degli Appalti (oltre chiaramente il recepimento delle Direttive comunitarie) fosse quella di fornire il nostro Paese di uno strumento innovativo che semplificasse le regole e incentivasse gli investimenti delle pubbliche amministrazioni e dei privati, sin dai primi giorni di applicazione della nuova norma è sembrato che qualcosa non fosse stato correttamente considerato.

L'assenza di una corretta disciplina transitoria, i dubbi iniziali circa l'entrata in vigore, l'assenza di una disciplina speciale per i servizi di architettura e ingegneria, la necessità di 50 provvedimenti per il completamento della riforma e alcuni difetti (che saranno probabilmente risolti con i prossimi errata corrige) hanno contribuito senz'altro a far montare lo scontento dei professionisti dell'area tecnica interessati alla materia.

Per misurare la temperatura del disagio, ho intervistato il Presidente del Consiglio Nazionale degli Ingegneri, nonché Coordinatore della Rete delle Professioni Tecniche Armando Zambrano, che ha gentilmente risposto ad alcune mie domande che riporto di seguito.

Domanda: Come giudica il processo di approvazione del D.Lgs. n. 50/2016? In particolare, sono stati rispettati tutti i principi della delega e recepite le osservazioni della Rete delle Professioni Tecniche?
Risposta: Se lo vediamo nel suo complesso, il testo non recepisce in toto lo spirito della Legge delega circa la centralità della progettazione, costituendo, per alcuni importanti aspetti, un arretramento rispetto alla normativa precedente, in particolare se ci riferiamo alla Determinazione Anac 4/2015. Il nuovo Codice, poi, non dispone di una parte specificamente dedicata ai servizi di ingegneria e architettura, come se questi ultimi potessero essere assimilati semplicemente alle altre tipologie di forniture e di servizi. Un altro punto che mi sento di dover criticare riguarda la non obbligatorietà del Dm 143 (il cosiddetto “decreto parametri”) per la determinazione del corrispettivo da porre a base di gara. Così facendo si lascia alle stazioni appaltanti la più ampia libertà nel determinare il valore dell’appalto, con evidenti rischi di abusi ed elusioni. Confidiamo, però, nelle linee guida ANAC e nei provvedimenti ministeriali per sistemare queste questioni.

D. Ritiene che sia stata data sufficiente attenzione alla data di entrata in vigore del Codice e alla disciplina transitoria?
R. Per scrivere la versione definitiva della legge delega in materia di appalti pubblici, entrata in vigore lo scorso 28 gennaio, il Parlamento ha impiegato quasi 2 anni, lasciando solo 4 mesi per la stesura del decreto legislativo. Un tempo eccessivamente ristretto, soprattutto per una materia decisamente complessa come quella degli appalti pubblici; ciò ha impedito il pieno coinvolgimento degli operatori del settore, come la RPT, che invece hanno fornito un contributo importante nella stesura della legge delega. Ciò ha portato, da un lato, ad emanare una normativa che ha tradito in importanti aspetti lo spirito della originaria legge delega. E, dall’altro, ha provocato una serie di dubbi interpretativi sulla effettiva data di entrata in vigore della stessa legge. Un primo comunicato stampa congiunto Anac-Mit affermava, infatti, che i bandi pubblicati a partire dal 19 aprile ricadessero nella nuova disciplina. Tale scelta, tuttavia, rendeva retroattiva l’applicazione delle nuove regole visto che la pubblicazione della legge in Gu è avvenuta, in tardissima serata, alle 22 del 19 aprile. Con un nuovo comunicato del 3 maggio, quindi Anac e Mit hanno dovuto rettificare quanto affermato in precedenza, precisando che i bandi pubblicati il 19 aprile (per un valore di circa 92 milioni di euro, dal momento che molte stazioni appaltanti si sono affrettate a pubblicare i bandi per sfuggire al nuovo regime) ricadono ancora nella vecchia normativa. Insomma una legge già partita col piede sbagliato.

D. Come giudica la parziale abrogazione del D.P.R. n. 207/2010? Non pensa che si rischia di vanificare l'idea di semplificazione con un corpo normativo incompleto dei decreti attuativi e in cui sono presenti solo alcune parti del vecchio regolamento?
R. Direi proprio di sì. Infatti, anche se il nuovo codice appalti è composto da soli 220 articoli e, per questa ragione, viene sbandierato come “semplificazione”, per far funzionare operativamente il codice saranno necessari, quantomeno, 43 decreti attuativi con tutto ciò che questo comporta in termini di ritardi, complicazioni, norme contradditorie e di difficile interpretazione. Si rischia oggettivamente, come è facile intuire, di vanificare lo sforzo iniziale di ridurre al minimo il numero degli articoli del nuovo Codice.

D. L'art. 95 comma 4 del DLgs n.50/2016 prevede la possibilità di utilizzare il criterio del massimo ribasso per i lavori di importo pari o inferiore a 1.000.000 euro. Come giudica questa disposizione?
R. La giudico un buon passo in avanti rispetto al vecchio Codice nel quale, al contrario, si poteva sempre utilizzare il criterio del massimo ribasso a prescindere dalle soglie. Giudico, inoltre, positivamente la norma che prevede che per l’aggiudicazione dei servizi di ingegneria e architettura è possibile ricorrere al criterio del prezzo più basso solo per contratti di importo inferiore ai 40 mila euro. Nel vecchio codice, ricordo, si poteva utilizzare il criterio del prezzo più basso, per contratti fino a 100 mila euro. È stata, quindi, finalmente accolta la tesi, avanzata più volte dalla Rpt in diverse sedi, per la quale non sempre rispondeva all’interesse del committente aggiudicare il contratto al concorrente che offriva il “prezzo più basso”, soprattutto laddove l’offerta risultava palesemente anomala e soprattutto perché ciò portava alla realizzazione di opere non di qualità. L’amministrazione aggiudicatrice, infatti, spesso non valutava adeguatamente se un’offerta presentava sospetti di anomalia, non procedendo alla sua “verifica” di attendibilità. Davanti ad offerte per lo svolgimento di servizi di ingegneria che presentavano ribassi folli (anche del 100%) le amministrazioni dovevano immediatamente riconoscere la natura di “prezzo fuori mercato” piuttosto che di “miglior prezzo di mercato” e questo spesso non accadeva. Il nuovo Codice, poi, introduce alcune importanti innovazioni rispetto a quello precedente. In linea con le nostre richieste tese a riportare al centro del processo di realizzazione delle opere pubbliche la progettazione, va valutato molto positivamente il divieto di ricorrere all’appalto integrato, così come il fatto che gli appalti relativi ai lavori dovranno essere affidati ponendo a base di gara il progetto esecutivo. Inoltre, è molto positiva la cancellazione dal Codice della norma che avrebbe consentivo alle Società di ingegneria di operare anche nel settore privato senza rispettare vincoli e obblighi a cui devono invece sottostare professionisti e società tra professionisti.

D. Quali sono i punti da migliorare su cui lavorerà la Rete delle Professioni Tecniche?
R. In primo luogo, il ripristino per le stazioni appaltanti dell’obbligo di applicare il Dm 143 per determinare l’importo da porre a base d’asta. Su questo specifico punto voglio però essere fiducioso: come è noto, il nuovo Codice affida meritoriamente all’Anac la stesura delle linee guida (cd. Soft Law) che andranno a sostituire il regolamento di attuazione. Nel documento di consultazione sulle linee guida che l’Anac ha recentemente pubblicato, anche a seguito delle numerose segnalazioni avanzate alla stessa Anac dalla Rpt, proprio tale obbligo di applicazione del Dm 143 viene ripristinato. Altri correttivi sui quali ci impegneremo riguardano l’introduzione di requisiti specifici per la qualificazione per i servizi di ingegneria e architettura, in quanto quelli generali rischiano di tagliare fuori dal mercato degli appalti pubblici la quasi totalità di professionisti e società di ingegneria. Inoltre sarebbe necessario prevedere l’obbligo di iscrizione all’albo e quindi di formazione continua anche per i progettisti interni alla pubblica amministrazione, così come l’estensione del fondo di progettazione anche ad altre opere e non solo a quelle strategiche. Vi sono poi altre azioni che potrebbero essere intraprese per migliorare la governance degli appalti pubblici come l’avvio di un processo per la riqualificazione delle stazioni appaltanti anche mediante l’assunzione di personale tecnico qualificato, ormai ridotto ai minimi termini. Inoltre è necessario un vero snellimento delle procedure anche, per alcune tipologie di lavori, attraverso l’accorpamento in un’unica fase della progettazione definitiva ed esecutiva.

Ringrazio il Presidente Zambrano per il prezioso contributo.

A cura di Ing. Gianluca Oreto



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