Regione Campania: Impugnata dal Governo la legge sul condono edilizio

10/10/2014

Il Consiglio dei Ministri ha, recentemente, deliberato l’impugnativa della Legge della Regione Campania 7 agosto 2014, n. 16 che con il comma 72 dell’articolo 1 crcava di sbloccare le pratiche delle sanatorie edilizie del 1985 e 1994 non ancora evase. Il Consiglio dei Ministri ha precisato che le disposizioni in materia di condono edilizio contrastano con i principi fondamentali della legislazione statale in materia di governo del territorio, in violazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, invadendo altresì le competenze esclusive statali in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lett. s) della Costituzione.
I sostenitori della riapertura del condono nella Regione Campania fanno, invece, riferimento alle vicende della Legge regionale n. 10/2004, dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale con la sentenza 49/2006. A giudizio di tali sostenitori l’incertezza sulla sorte della legge regionale avrebbe fatto pronunciare i Comuni in ritardo sulle istanze di sanatoria facendo allungare notevolmente i tempi con la conclusione di molte pratiche rimaste inevase.


L’art. 1, comma 72, della legge regionale n. 16/2014 di modifica dell’articolo 9 della legge regionale n. 10/2004:
  • alla lettera a) dispone la proroga del termine per la definizione delle domande di sanatoria edilizia dal 31 dicembre 2006 al 31 dicembre 2015;
  • alla lettera b), nel sostituire il comma 5, prevede che le disposizioni del citato articolo 9 (della legge regionale n. 10/2004) non si applicano agli abusi edilizi realizzati sulle aree del territorio regionale sottoposte ai vincoli previsti dall’articolo 33 della l. 47/1985 “solo ed esclusivamente se i predetti vincoli comportano l’inedificabilità assoluta delle aree su cui insistono e siano stati imposti prima della esecuzione delle opere stesse”.

Palazzo Chigi ha precisato che tale previsione, nel prorogare e nell’attribuire rilievo impediente della sanatoria ai soli vincoli previsti dall’articolo 33 della l. n. 47/1985 che comportino inedificabilità assoluta, ha l’effetto di ampliare l’ambito del condono edilizio, in contrasto con le norme statali di principio in materia. La norma regionale, infatti, da un lato non contempla i vincoli di inedificabilità relativa, dall’altro non contempla l’ipotesi di vincoli - di inedificabilità assoluta o relativa - posti successivamente alla realizzazione dell’abuso, per i quali l’art. 32 della l. n. 47/1985 subordina la sanatoria al parere favorevole delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso, prevedendo altresì il silenzio-rifiuto nel caso in cui il parere non venga rilasciato entro il termine di 180 giorni dalla richiesta.
Al riguardo, il Governo ha richiamato la giurisprudenza consolidata della Corte Costituzionale che, da ultimo con sentenza n. 290/2009, ha affermato che “solo alla legge statale compete l’individuazione della portata massima del condono edilizio straordinario (sent. n. 70/2005; sent. n. 196/2004), sicché la legge regionale che abbia per effetto di ampliare i limiti applicativi della sanatoria eccede la competenza concorrente della Regione in tema di governo del territorio”.

A giudizio del Governo la disposizione censurata, oltre a violare l’art. 117, comma 3, con riferimento alla materia “governo del territorio”, viola anche l’art. 117, comma 2, lettera s), che attribuisce allo Stato potestà legislativa esclusiva in materia di “tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, nonché l’art. 9 della Costituzione.
Ed, infatti, Il Governo mentre precisa che la disposizione è idonea a consentire sanatorie in zone “a rischio idraulico” le cui relative misure di salvaguardia possono prevedere per tali zone l’inedificabilità parziale osserva, anche, che la disposizione censurata, sotto le mentite spoglie di una proroga del termine per la definizione delle domande di condono riferite ad abusi ultimati entro le date previste dalle leggi n. 47/1985 e n. 724/1994 e presentate nei termini previsti dalle medesime, possa di fatto tradursi in una ammissione dei soggetti richiedenti ad integrare, modificare, sviluppare in vario modo (anche su eventuale sollecitazione istruttoria dei comuni procedenti) le medesime domande, in tal modo determinando una oggettiva condizione di concreta possibilità che, stante il lunghissimo lasso di tempo trascorso dalla presentazione delle domande originarie, siano indirettamente ammessi all’esame dei comuni (e conseguentemente al condono) ulteriori abusi successivamente posti in essere, quali ampliamenti, completamenti delle opere, ecc., senza che le amministrazioni comunali siano in realtà nelle condizioni di poter effettivamente verificare caso per caso e distinguere ciò che è stato consumato e ultimato negli anni 1983 e 1993 e ciò che, invece, è stato realizzato (o proseguito, o completato) successivamente (e anche in data recente). Tali conseguenze naturali della disposizione in esame appaiono pressoché inevitabili in fatto ed espongono i beni paesaggistici e storico-artistici tutelati, già compromessi dagli abusi edilizi, al pericolo di un ulteriore peggioramento del livello di tutela, con evidente lesione dei valori protetti. Ancora, si ritiene che la disposizione censurata sia manifestamente irragionevole e sproporzionata, posto che la mancata disamina delle vecchie domande di condono da parte dei comuni non fa venir meno l’obbligo giuridico degli enti locali di concludere comunque i relativi procedimenti sulla base degli atti disponibili, con la conseguenza che il termine introdotto dalla disposizione de qua non può avere natura perentoria, ma solo ordinatoria o sollecitatoria. A fronte della inutilità della disposizione, quindi, appare eccessivo e sproporzionato il pericolo di danni ulteriori ai beni tutelati che la medesima è idonea a generare.

A cura di Gabriele Bivona



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