Affidamento dei concessionari: incostituzionale l’art. 177 Codice Contratti

di Redazione tecnica - 26/11/2021

Affidamento dei concessionari: la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 218/2021 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 24/11/2021, 1° Serie Speciale, n. 47, ha stabilito l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera iii) della legge 28 gennaio 2016, n. 11 e dell’art. 177 del D. Lgs. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici)  perché non tutelerebbero la libertà di iniziativa economica come sancita dall’art. 41 della Costituzione.

Affidamento concessionari: illegittimo per la Corte Costituzionale

Ricordiamo che le norme in esame obbligano i titolari delle concessioni già in essere, non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure a evidenza pubblica, a esternalizzare, mediante affidamenti a terzi con procedura di evidenza pubblica, l’80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture, relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro, nonché di realizzare la restante parte di tali attività tramite società in house o società controllate o collegate ovvero operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

Secondo una società ricorrente presso il Consiglio di Stato, tale obbligo imposto ai concessionari, essendo riferito all’intera concessione, sarebbe "suscettibile di comportare uno stravolgimento degli equilibri economico-finanziari sottesi allo stesso rapporto concessorio in questione, su cui si fondano le scelte di pianificazione ed operative del concessionario/imprenditore". L’attività di quest’ultimo sarebbe «ridotta a quella di una mera stazione appaltante, con l’unico compito di disciplinare ed attuare, secondo le direttive delle Linee Guida e degli enti concedenti, l’affidamento a terzi, estranei o a sé riconducibili, di quella che originariamente costituiva il proprium dell’unitaria concessione affidata dall’amministrazione».

La concessione sarebbe svuotata e ciò determinerebbe una vera e propria disgregazione del sottostante compendio aziendale, svilendo anche il l patrimonio di conoscenze tecniche e tecnologiche e di professionalità maturate dal concessionario nello svolgimento di un rapporto diretto a perseguire non solo il profitto privato, ma anche l’interesse pubblico attuato dalla concessione.

Corte Costituzionale:necessario bilanciamento tra libertà di iniziativa economica e suoi limiti

Nell’affrontare la questione, la Corte Costituzionale ha ricordato che la libera iniziativa economica e i limiti al suo esercizio devono costituire oggetto, nel quadro della garanzia offerta dall’art. 41 Cost., commi 1, 2 e 3, di una complessa operazione di bilanciamento.

In essa vengono in evidenza:

  • da una parte, il contesto sociale ed economico di riferimento e le esigenze generali del mercato in cui si realizza la libertà di impresa;
  • dall’altra, le legittime aspettative degli operatori, in particolare quando essi abbiano dato avvio, sulla base di investimenti e di programmi, a un’attività imprenditoriale in corso di svolgimento.

Uno degli aspetti caratterizzanti della libertà di iniziativa economica è costituito dalla possibilità di scelta spettante all’imprenditore: scelta dell’attività da svolgere, delle modalità di reperimento dei capitali, delle forme di organizzazione della stessa attività, dei sistemi di gestione di quest’ultima e delle tipologie di corrispettivo.

Se, dunque, legittimamente in base a quanto previsto all’art. 41 Cost., il legislatore può intervenire a limitare e conformare la libertà d’impresa in funzione di tutela della concorrenza, nello specifico ponendo rimedio ex post al vulnus conseguente a passati affidamenti diretti avvenuti al di fuori delle regole del mercato, il perseguimento di tale finalità (nello specifico perseguita dall’art. 177 del Codice dei Contratti) incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti.

La libertà d’impresa non può subire infatti, nemmeno in ragione del doveroso obiettivo di piena realizzazione dei principi della concorrenza, interventi che ne determinino un radicale svuotamento, come avverrebbe nel caso di un completo sacrificio della facoltà dell’imprenditore di compiere le scelte organizzative che costituiscono tipico oggetto della stessa attività d’impresa.

Obbligo di affidamento esterno è sproporzionato e irragionevole

In particolare, la Corte ha ritenuto che la previsione dell’obbligo a carico dei titolari di concessioni già in essere, non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure a evidenza pubblica, di affidare completamente all’esterno l’attività oggetto di concessione - mediante appalto a terzi dell’80 per cento dei contratti inerenti alla concessione stessa e mediante assegnazione a società in house o comunque controllate o collegate del restante 20 per cento – costituisce una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito, in quanto tale lesiva della libertà di iniziativa economica.

L’irragionevolezza dell’obbligo censurato si collega innanzitutto alle dimensioni del suo oggetto e all’imprenditore concessionario non ha un minimo di residua attività operativa per cui diventa semplicemente un soggetto preposto ad attività esclusivamente burocratica di affidamento di commesse, cioè, nella sostanza, una stazione appaltante.

Secondo la Corte, non vale nemmeno considerare che resterebbero comunque garantiti i profitti della concessione, perché la garanzia della libertà di impresa non investe soltanto la prospettiva del profitto, ma attiene anche e soprattutto alla libertà di scegliere le attività da intraprendere e le modalità del loro svolgimento.

Per altro il legislatore non ha considerato l’interesse dei concessionari che, per quanto possano godere tuttora di una posizione di favore derivante dalla concessione ottenuta in passato, un’attività di impresa per la quale hanno sostenuto investimenti e fatto programmi, riponendo un relativo affidamento nella stabilità del rapporto instaurato con il concedente.

Un ulteriore indice della irragionevolezza del vincolo, è costituito dalla sua mancata differenziazione o graduazione in ragione di elementi rilevanti come le dimensioni della concessione, le dimensioni e i caratteri del soggetto concessionario, l’epoca di assegnazione della concessione, la sua durata, il suo oggetto e il suo valore economico.

Per tutti questi motivi la Corte Costituzionale ha stabilito l’illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 1, lettera iii) della legge n. 11/2016 e dell’art. 177, comma 1, del d.lgs. n. 50/2016. Da quest'ultimo deriva l’illegittimità costituzionale anche dei successivi commi 2 e 3 perché essi integrano la normativa prevista al comma 1 e costituiscono un insieme organico.



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