Condono edilizio: nuovo no della Cassazione al frazionamento artificioso

di Redazione tecnica - 10/10/2023

La normativa sul condono edilizio impone delle condizioni ben precise per potere sanare un immobile abusivo. Limiti che riguardano il termine dei lavori, la consistenza dell’ampliamento volumetrico o comunque la cubatura, nel caso di nuove costruzioni.

Condono edilizio e frazionamento artficioso: il no della Cassazione

Condizioni che valgono naturalmente anche per la legge n. 724/1994 (c.d. "Secondo Condono Edilizio") e chge sono stati i paramentri per dichiarare, ancora una volta, l’inammissibilità del ricorso in Cassazione presentato dai proprietari di un edificio abusivo, artificiosamente frazionato in due unità immobiliari distinte e per le quali erano state presentate due diverse istanze di condono.

Già una volta gli ermellini, con la sentenza n. 6727/2023 avevano dichiarato la legittimità della decisione del Tribunale nel rigettare la richiesta di revoca o sospensione dell’ordine di demolizione dell'edificio, adesso riconfermata con la sentenza n. 36025/2023.

Nel dettaglio, il Tribunale aveva confermato che non si trattava di due immobili distinti ma di uno soltanto, eccedente la volumetria di 750 mc concessa dalla legge n. 724/1994 per le nuove costruzioni, e che per altro non era stato rispettato il termine previsto per il termine dell'esecuzione al rustico delle opere (31 dicembre 1993).

Ricordano i giudici di piazza Cavour che, ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi a una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso.

La suddivisione delle istanze non può essere considerata corretta, posto che uno stesso soggetto non può utilizzare separate domande di sanatoria per aggirare il volume di volumetria, dovendo le richieste essere valutate in maniera unitaria quando si riferiscono alla stessa costruzione.

Diritto all'abitazione ed edifici abusivi

Nessuna violazione inoltre degli artt. 6 e 8 della CEDU: in tema di reati edilizi, l'esecuzione dell'ordine di demolizione di un immobile abusivo non contrasta con il diritto al rispetto della vita privata e familiare e del domicilio di cui all'art. 8 C.E.D.U., posto che, non essendo desumibile da tale norma la sussistenza di alcun diritto "assoluto" a occupare un immobile, anche se abusivo, solo perché casa familiare, il predetto ordine non viola in astratto il diritto individuale a vivere nel proprio legittimo domicilio, ma afferma in concreto il diritto della collettività a rimuovere la lesione di un bene o interesse costituzionalmente tutelato e a ripristinare l'equilibrio urbanistico edilizio violato.

Più di recente, è stato altresì affermato che il giudice, nel dare attuazione all'ordine di demolizione di un immobile abusivo adibito ad abituale abitazione di una persona, è tenuto a rispettare il principio di proporzionalità enunciato dalla giurisprudenza convenzionale nelle sentenze della Corte EDU Ivanova e Cherkezov c. Bulgaria del 21/04/2016 e Kaminskas c. Lituania del 04/08/2020, valutando la disponibilità, da parte dell'interessato, di un tempo sufficiente per conseguire, se possibile, la sanatoria dell'immobile o per risolvere, con diligenza, le proprie esigenze abitative, la possibilità di far valere le proprie ragioni dinanzi a un tribunale indipendente, l'esigenza di evitare l'esecuzione in momenti in cui sarebbero compromessi altri diritti fondamentali, come quello dei minori a frequentare la scuola, nonché l'eventuale consapevolezza della natura abusiva dell'attività edificatoria.

Per altro, sottolineano i giudici, l'ordine di demolizione non riveste, nel nostro ordinamento, una funzione punitiva, quale elemento di pena da irrogare al colpevole, ma, diversamente, una funzione ripristinatoria del bene interesse tutelato, per cui l'ordine, quando imposto dall'Autorità giudiziaria in uno con la sentenza di condanna, non si pone in rapporto alternativo con l'omologo ordine emesso dall'Autorità amministrativa, ferma restando la necessità di un coordinamento tra le due disposizioni in sede esecutiva; da ciò consegue che, essendo privo di finalità punitive, l'ordine di demolizione non è soggetto alla prescrizione stabilita dall'art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall'art. 28 della legge n. 689 del 1981 che riguarda soltanto le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva.

No a sanatoria condizionata

Tornando al ricorso specifico, la Cassazione lo ha ritenuto inammissibile perché ha riproposto le stesse questioni di quello precedente, con la differenza che è stato richiesto un nuovo incidente di esecuzione, in ragione della volontà manifestata dalla ricorrente di demolire un manufatto al fine di rientrare nella cubatura assentibile.

Spiegano gli ermellini che l'eventuale demolizione di uno dei manufatti che determina il superamento della volumetria assentibile sarebbe stato inutile ai fini della regolarità della procedura di condono, posto che, da un lato, i condoni erano stati emessi sulla base di una situazione di fatto illegittima, dall'altro, sono da ritenere ininfluenti le variazioni successive alla data ultima prevista dalla legge che ha previsto il beneficio (31 dicembre 1993).

Questo alla luce del consolidato principio elaborato dalla Cassazione stessa per cui, in tema di condono edilizio, la volumetria eccedente i limiti previsti dall'art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ai fini della condonabilità delle opere abusive ultimate entro il 31 dicembre 1993 non è suscettibile di riduzione mediante demolizione eseguita successivamente allo spirare di detto termine, integrando la stessa un intervento, oltre che di per sé abusivo, volto ad eludere la disciplina di legge.



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