Condono edilizio e ultimazione opere: criteri di valutazione

di Redazione tecnica - 02/10/2023

Una domanda di condono non può essere perfezionata quando è evidente che le opere per le quali è stata presentata l’istanza non siano di rifinitura, ma siano lavori nuovi e diversi rispetto a quelli oggetto della richiesta di sanatoria.

Condono edilizio e opere difformi: il no del Consiglio di Stato

La difformità tra quanto dichiarato e tra quanto realizzato è un fatto abbastanza comune, in materia di condono, con l’obiettivo da parte dei responsabili degli abusi edilizi di ottenere una sanatoria "preventiva" di opere ancora non realizzate, affermando invece di averle già eseguite entro il termine previsto dalla normativa. Prova ne è il caso affrontato dal Consiglio di Stato con la sentenza del 22 settembre 2023, n. 8469con la quale ha respinto il ricorso presentato dal proprietario di un fabbricato sul quale aveva realizzato, abusivamente, lo scheletro di un secondo piano, prima che il manufatto fosse sottoposto a sequestro.

A quel punto il proprietario ha presentato una domanda di condono ai sensi della legge n. 326/2003 (c.d. "Terzo Condono Edilizio") dichiarando di volere procedere, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 47/1985 ("Primo Condono Edilizio") al completamento delle opere.

Dal sopralluogo però il Comune ha riscontrato che lo stato avanzamento lavori era molto diverso da quanto dichiarato e che non si trattava di una semplice ultimazione lavori. Il cantiere è stato quindi sequestrato di nuovo, accertando la difformità dell’intervento rispetto a quello oggetto della richiesta di completamento, e veniva contestualmente ordinata, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, la demolizione delle opere abusive.

Modifica opere oggetto di condono: si reitera l'abusitività dell'intervento

Spiega il Consiglio di Stato che in termini generali è tassativamente impedita la modificazione delle opere oggetto della domanda di condono, se non con l’osservanza delle cautele previste dall’art. 35 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, il quale disciplina le modalità e le condizioni in base alle quali è consentito al presentatore dell’istanza di sanatoria di completare, sotto la propria responsabilità e a proprio rischio, i manufatti abusivi .

In particolare la disposizione prevede che, «decorsi centoventi giorni dalla presentazione della domanda e, comunque, dopo il versamento della seconda rata dell'oblazione, il presentatore dell’istanza di concessione o autorizzazione in sanatoria può completare sotto la propria responsabilità» le opere oggetto della domanda; a tal fine, «l’interessato notifica al Comune il proprio intendimento, allegando perizia giurata ovvero documentazione avente data certa in ordine allo stato dei lavori abusivi, ed inizia i lavori non prima di trenta giorni dalla data della notificazione»).

Fuori da questa ipotesi, resta fermo che, in presenza di manufatti abusivi non sanati né condonati, gli interventi ulteriori, ripetono le caratteristiche d’illiceità dell’opera abusiva cui ineriscono strutturalmente.

Qualora il soggetto che ha presentato la domanda di condono abbia realizzato opere non di rifinitura ma nuovi e diversi rispetto a quelli oggetto della richiesta di sanatoria, le stesse andranno quindi considerate, ai fini sanzionatori, come ‘autonomamente’ abusive.

La realizzazione di interventi ulteriori non giustifica, di per sé, il diniego del condono, a meno che, avendo inciso in modo radicale sullo stato dei luoghi, rendano impossibile all’Amministrazione di valutare la consistenza delle opere abusive originarie.

Su queste basi, il presupposto logico-necessario per l’accoglimento dell’istanza di completamento delle opere abusive da condonare, è che queste ultime siano state ultimate, altrimenti si consentirebbe la surrettizia elusione della barriera temporale per l’applicazione della sanatoria straordinaria. In questo caso è stato accertato che i lavori eseguiti non erano congrui rispetto a quanto dichiarato e documentato nella perizia tecnica allegata alla pratica, dato che il manufatto abusivo non era stato neppure ultimato, trattandosi di una struttura in cemento armato senza tamponatura.

Condono edilizio e ultimazione lavori: criteri di verifica

Il legislatore (cfr. l’art. 39, comma 1, della legge n. 724 del 1994 in combinato disposto con l’art. 31 della legge n. 47 del 1985) prevede due criteri alternativi per la verifica del requisito dell’ultimazione, rilevante ai fini del rilascio del condono:

  • il criterio strutturale, che vale nei casi di nuova costruzione;
  • il criterio funzionale, che opera, invece, nei casi di opere interne di edifici già esistenti oppure di manufatti con destinazione diversa da quella residenziale.

Quanto al criterio strutturale del completamento del rustico, per edifici «ultimati», si intendono quelli completi almeno al «rustico», espressione con la quale si intende un’opera mancante solo delle finiture (infissi, pavimentazione, tramezzature interne), ma necessariamente comprensiva delle tamponature esterne, che realizzano in concreto i volumi, rendendoli individuabili e esattamente.

La nozione di completamento funzionale implica, invece, uno stato di avanzamento nella realizzazione tale da consentirne potenzialmente, e salve le sole finiture, la fruizione; in altri termini l’organismo edilizio, non soltanto deve aver assunto una sua forma stabile nella consistenza planivolumetrica (come per gli edifici, per i quali è richiesta la c.d. ultimazione “al rustico”, ossia intelaiatura, copertura e muri di tompagno), ma anche una sua riconoscibile e inequivoca identità funzionale che ne connoti con assoluta chiarezza la destinazione d’uso.

Inoltre, ricorda Palazzo Spada, ricade in capo al proprietario o al responsabile dell’abuso l’onere di provare la data di ultimazione delle opere edilizie, dal momento che solo l’interessato può fornire inconfutabili atti, documenti ed elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’epoca di realizzazione di un manufatto.In questo caso l’appellante non ha assolto all’onere probatorio su di lui gravante.

Deroghe al divieto di prosecuzione lavori: l'impossibilità giuridica 

Neppure può essere invocata l’impossibilità giuridica, dovuta al sequestro del cantiere, di ultimare le opere nel termine di legge: l’art. 43, comma 5, primo periodo della legge n. 47 del 1985, prevede che «Possono ottenere la sanatoria le opere non ultimate per effetto di provvedimenti amministrativi o giurisdizionali limitatamente alle strutture realizzate e ai lavori che siano strettamente necessari alla loro funzionalità. Il tempo di commissione dell'abuso e di riferimento per la determinazione dell’oblazione sarà individuato nella data del primo provvedimento amministrativo o giurisdizionale».

Tale deroga ‒ va interpretata in termini strettamente circostanziati. Sebbene la disposizione utilizzi la più elastica nozione di ultimazione delle «strutture realizzate», essa non consente certo il completamento delle strutture in qualsiasi stato si trovino realizzate.

Il grado di completamento dell’opera abusiva deve essere tale, spiegano i giudici d’appello, da consentire di percepire la concreta fisionomia e destinazione dell’opera da sanare e da completare. La norma può quindi essere invocata soltanto per eseguire interventi funzionali e accessori a quanto già costruito, mentre deve ritenersi preclusa la possibilità di sanatoria per opere il cui grado, appena iniziale, di realizzazione non consenta di riconoscerne la funzione e la configurazione generale.

In questo caso, i locali abusivi in costruzione non avevano raggiunto un sufficiente grado di ultimazione plano-volumetrica, per entrare nel campo applicativo dell’43, comma 5, primo periodo della legge n. 47 del 1985.

Conclude il Consiglio che non coglie quindi nel segno il richiamo alla giurisprudenza sulla sospensione del procedimento sanzionatorio in conseguenza della pendenza di una pratica di condono, che non può ritenersi perfezionabile su un edificio ancora praticamente inesistente e non semplicemnete da completare.



© Riproduzione riservata

Documenti Allegati

Sentenza