Corte Costituzionale: nessuna deroga ai principi del Testo Unico Edilizia

di Redazione tecnica - 04/02/2022

Le norme nazionali sul condono edilizio e sulla sanatoria non prevedono deroghe, nemmeno per le Regioni a Statuto Speciale: lo ha ricordato la Corte costituzionale con la sentenza n. 24/2022, con cui ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcuni articoli della l.r. Sardegna n. 1/2021.

Corte Costituzionale: nessuna deroga ai principi del Testo Unico Edilizia

La legge regionale, apportando alcune modifiche alle leggi regionali n. 8 del 2015, n. 23 del 1985, n. 24 del 2016 e n. 16 del 2017 ha introdotto deroghe alla pianificazione urbanistica comunale e a quella paesaggistica, tali da agevolare "la massiccia trasformazione edificatoria del territorio, anche in ambiti di pregio", con il conseguente "grave abbassamento del livello della tutela del paesaggio".

Nell’analizzare il complesso ricorso presentato dal Governo, la Corte Costituzionale ha preliminarmente ricordato che l’art. 3, lettera f) dello statuto speciale assegna alla Regione la potestà legislativa primaria nella materia «edilizia e urbanistica». Fra i limiti generali che tale potestà incontra si annovera il rispetto delle norme fondamentali di riforma economico-sociale stabilite dal legislatore statale nella specifica materia, ossia quanto previsto dal d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico per l’edilizia).

Completamento edifici: decadenza del permesso di costruire

A essere contestata innanzitutto è la riforma dell’art. 26 -bis della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015, che consente il completamento degli edifici, le cui opere sono state legittimamente avviate e il cui titolo abilitativo è scaduto o dichiarato decaduto e non può essere rinnovato a seguito dell’entrata in vigore di contrastanti disposizioni entro il 31 dicembre 2023.

Ad avviso del ricorrente, nel prolungare il termine entro il quale è possibile avvalersi di titoli decaduti anche da lungo tempo, la norma è in contrasto con l’art. 15 del d.P.R. n. 380 del 2001, che disciplina l’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire.

Secondo l’art. 15 del Testo Unico Edilizia, il permesso di costruire decade quando i lavori non siano cominciati entro un termine, che non può essere superiore a un anno dal rilascio del titolo, o non siano ultimati entro un termine che non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Prima della scadenza può essere richiesta una proroga, che l’amministrazione accorda con provvedimento motivato. Il legislatore statale, infine, prevede la decadenza del permesso di costruire in conseguenza dell’entrata in vigore “di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio”.

Come sottolinea la Corte, nel delimitare l’arco temporale di validità dei titoli edilizi, la normativa statale detta standard uniformi e non può tollerare difformità tra Regioni con riguardo all’aspetto prioritario della durata e dell’efficacia dei titoli edilizi.

La disposizione regionale è difforme dalla normativa statale: essa infatti nel prolungare i termini entro i quali è possibile richiedere il permesso di costruire per completare le costruzioni anche quando il titolo sia decaduto e non possa essere rinnovato, deroga in maniera indiscriminata alla decadenza sancita dalla legislazione statale, senza richiedere le tassative condizioni individuate dal testo unico dell’edilizia.

Volumetrie premiali per edifici condonati

Allo stesso modo, è stato dichiarato incostituzionale l’art. 11 comma 1, lettera a) , della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che modifica l’art. 36 della legge reg. Sardegna n. 8 del 2015.

Esso fa sì che anche i volumi oggetto di condono edilizio siano computati nella determinazione del volume urbanistico al quale commisurare l’incremento volumetrico. Questa previsione sovvertirebbe il caposaldo della legislazione sul “Piano casa”, che vieta l’applicazione della normativa di favore agli immobili condonati.

In proposito, la Corte Costituzionale ricorda che nel 2009 con l’intesa Governo, Regioni ed enti locali, le istituzioni si sono impegnate a regolamentare interventi di demolizione e ricostruzione con ampliamento per edifici a destinazione residenziale entro il limite del 35 per cento della volumetria esistente, con finalità di miglioramento della qualità architettonica e dell’efficienza energetica. L’intesa puntualizza che gli interventi edilizi non possono riferirsi a edifici abusivi, oppure ubicati nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta.

Sul merito la Corte ha evidenziato che il titolo in sanatoria, che rileva agli effetti della concessione di premialità volumetrica, differisce dal condono valorizzato dal legislatore regionale.

Mentre il condono ha per effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia, il titolo in sanatoria presuppone la conformità alla disciplina urbanistica e edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’immobile sia al momento della presentazione della domanda.

Il legislatore regionale, nell’annettere rilievo anche ai volumi condonati, ha infranto il divieto contenuto in una prescrizione della legge statale, idonea a vincolare la potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna nella materia dell’urbanistica e dell’edilizia.

Violazione del limite di tolleranza del 2 percento

Un altro aspetto interessante affrontato nella sentenza è l’illegittimità dell’art. 19 della stessa legge, che contrasta con l’art. 34-bis t.u. edilizia. Esso stabilisce che non si tratta di violazione edilizia “il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari”, quando lo scostamento sia contenuto nella misura del 2 per cento di quanto è sancito dal titolo abilitativo.

Tale limite del 2 per cento è stato innalzato in maniera immotivata al 5 per cento da parte del legislatore regionale.

Accertamento di conformità

Infine, una nota sull’accertamento di conformità, violato dall’art. 21 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, che ha aggiunto il comma 1 -bis all’art. 16 della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985.

La previsione impugnata dispone che il permesso di costruire o l’autorizzazione all’accertamento di conformità possano essere ottenuti «qualora gli interventi risultino conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della presentazione della domanda». Tale disciplina - precisa il legislatore regionale - vale «ai soli fini amministrativi» e restano dunque impregiudicati «gli effetti penali dell’illecito».

La norma deroga al principio della doppia conformità, che invece presuppone la conformità dell’intervento realizzato senza titolo sia alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell’abuso, che a quella in vigore al momento della presentazione della domanda.

Nel richiedere la conformità alla sola disciplina vigente al tempo della presentazione della domanda, la disposizione impugnata amplia in maniera indebita l’ambito applicativo della sanatoria e si pone in contrasto, pertanto, con il principio richiamato. Né tale contrasto può essere escluso sol perché sono fatti salvi gli effetti penali degli illeciti, in quanto la rilevanza della doppia conformità, principio cardine di un razionale governo del territorio, non si esaurisce nelle sue implicazioni su quegli illeciti.

Di conseguenza, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 21 della legge reg. Sardegna n. 1 del 2021, per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale: il principio sancito dall'art. 36 del Testo Unico Edilizia, nel delimitare presupposti e limiti della sanatoria, riveste importanza cruciale nella disciplina edilizia e, in quanto riconducibile alle norme fondamentali di riforma economico-sociale, vincola anche la potestà legislativa della Regione autonoma Sardegna.



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