Equo compenso e incarichi presso PA: attenzione alle soglie tariffarie

di Redazione tecnica - 22/02/2022

Una Pubblica Amministrazione non può affidare degli incarichi a professionisti esterni i cui compensi siano al di sotto dei minimi stabiliti in violazione della normativa sul c.d. "equo compenso" prevista dalla legge n. 247/2012. Lo ha ribadito il Tar Campania, sez. Prima, con la sentenza n. 1114/2022, relativo al ricorso proposto da un Ordine provinciale degli avvocati per l'annullamento di un Avviso pubblico, nella parte in cui ha stabilito delle norme per il compenso professionale.

Incarichi professionali e violazione equo compenso: la sentenza del TAR

Il bando prevedeva la costituzione di un elenco di avvocati per l’affidamento di incarichi di patrocinio legale e di domiciliazione con relativo regolamento ai sensi delle Linee Guida ANAC n. 12 (affidamento dei servizi legali) e ss.mm.ii. Secondo l'avviso, “Il compenso spettante al professionista sarà determinato nel disciplinare di incarico in considerazione del valore e della complessità del giudizio e non potrà in ogni caso superare il valore minimo calcolato in relazione ai parametri forensi minimi di cui al D.M. n. 55/2014, così come modificato dal D.M. n.37 del 08.03.2018, oltre spese generali, iva e cpa. Per gli incarichi di domiciliazione il compenso per singola controversia è predeterminato in € 250,00, presso le magistrature superiori ed € 150,00 per le altre”.

Secondo l’Ordine, con quanto disposto nel bando è stata violata la normativa sul c.d. equo compenso: gli onorari professionali degli avvocati sono stati quantificati in violazione dei parametri stabiliti dal D.M. n. 55/2014. L’Ordine inoltre ha sottolineato che l’Avviso impugnato avrebbe determinato in via unilaterale che il compenso massimo previsto sarebbe stato al massimo pari al c.d. minimo di parametro, mentre, per quanto riguarda l’attività di domiciliazione, avrebbe determinato in materia arbitraria dei compensi in misura fissa, forfettaria ed onnicomprensiva.

Legittimazione degli ordini professionali ad agire

In primo luogo il Collegio ha sottolineato che, come più volte affermato dalla giurisprudenza, gli ordini professionali sono legittimati ad agire per la tutela di posizioni soggettive proprie o di interessi unitari della collettività da loro istituzionalmente espressa, nel secondo caso sia per reagire alla violazione delle norme poste a tutela della professione, sia per perseguire vantaggi, anche strumentali, riferibili alla sfera della categoria nel suo insieme, con il solo limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni relative ad attività non soggette alla disciplina o potestà degli ordini medesimi.

Nel caso di ordini professionali individuati su base territoriale, la legittimazione al ricorso va ricondotta all'ambito territoriale nel quale il provvedimento impugnato è destinato a produrre effetti.

Quindi secondo il TAR l’Ordine in questione è legittimato ad agire perché lo fa nella tutela di un interesse istituzionalizzato della categoria, nonostante in concreto i provvedimenti ritenuti lesivi potrebbero anche risultare “vantaggiosi” per singoli professionisti. L’interesse oltretutto è concreto ed attuale, dato che oggetto di contestazione è la clausola del bando con cui viene fissato a priori il limite ai compensi concretamente erogabili ai professionisti incaricati, con la conseguenza che la vigenza della previsione contestata precluderebbe la pattuizione di compensi in misura maggiore rispetto alla soglia fissata.

L'equo compenso 

Come i presupposti su cui si basa, il ricorso è stato analogamente considerato fondato dal TAR. Il giudice ha richiamato la legge n. 172/2017 che, nella conversione del D.L. n. 148/2017 ha inserito l’art. 19 quaterdecies, con cui si è provveduto ad introdurre l’art. 13 bis nella legge n. 247/2012. La norma disciplina il compenso spettante agli avvocati iscritti all’albo, nei rapporti professionali in favore di “imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003 ... con riferimento ai casi in cui le convenzioni sono unilateralmente predisposte dalle predette imprese”.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 13 bis citato - reso applicabile a tutti i professionisti proprio dal menzionato art. 19 quaterdecies - il compenso si intende equo se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione.Nell'ordinamento vige quindi la tutela anche del lavoratore autonomo, perché gli sia assicurata na retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, anche nel caso di rapporti con i contraenti cosiddetti “forti” e nell’ambito di convenzioni unilateralmente predisposte da questi ultimi - tra i quali è stata annoverata anche la pubblica amministrazione.

Per questo motivo è prevista la vessatorietà delle clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 dell’art. 13 bis della legge n. 247 del 2012, le quali determinino, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista e stabilendone la nullità, fermo restando il contratto per il resto (cfr., art. 13 bis, citato, commi da 4 a 8).

Come specificato infatti al comma 3 dell’art. 13-bis, “La pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisce il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”: quindi anche le pubbliche amministrazioni devono applicare la disciplina dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi da esse conferiti.

Trattativa tra le parti

La disposizione non trova invece applicazione quando la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nei casi in cui la volontà dell’amministrazione si formi secondo i principi dell’evidenza pubblica, quando l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare. Tutto questo perché nel caso in cui il professionista non sia costretto ad accettare supinamente il compenso predeterminato unilateralmente dall’amministrazione, ma contratti liberamente il proprio compenso su un piano paritetico con la committente, viene meno quella speciale esigenza di protezione del professionista, quale parte debole del rapporto contrattuale, su cui si fonda la ratio dell’istituto dell’equo compenso.

In questo caso le clausole riportate non sono in linea con il quadro normativo delineato perché la trattativa individuale tra Stazione Appaltante e professionista incaricato si è limitata alla fissazione di un compenso che si attesta sistematicamente e necessariamente al di sotto della soglia minima fissata dal DM n. 55/2014. L’ordine ha agito non per l’imposizione di una soglia minima, ma per l’eliminazione di una clausola che impone una soglia massima assoluta coincidente con la tariffa minima per aversi un “equo compenso”.

Sostanzialmente resta precluso alle Amministrazioni aggiudicatrici l’introduzione di una regola che, come nel caso in esame, impedisca sistematicamente ex ante il riconoscimento di un corrispettivo professionale da corrispondere ai professionisti incaricati che sia di importo pari o superiore all’equo compenso.

Il ricorso è stato quindi accolto: il bando di gara è stato annullato perché adottato in violazione dei principi di cui alla l. n. 247/2012. In sede di riedizione, l'Amministrazione dovrà tenere conto dei principi sull'equo compenso, ferma restando la possibilità di elaborare soluzioni che ai fini del contenimento della spesa fissino tetti massimi ai compensi erogabili, tenendo tuttavia conto dell’esigenza di derogare sistematicamente ai minimi fissati dalla disciplina in materia di compenso.



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