Interventi di ristrutturazione pesante: una SCIA non basta

di Redazione tecnica - 27/03/2024

I lavori edilizi che comportano un incremento, anche modesto, della superficie utile residenziale, non possono essere ritenuti urbanisticamente irrilevanti e devono essere considerati a tutti gli effetti come interventi di ristrutturazione “pesante”, soggetti quindi a permesso di costruire.

La stessa cosa vale anche per i lavori che comportano modifiche all’aspetto esteriore dell’edificio che vengono conseguiti in aree sottoposte a tutela paesaggistica. A prescindere dall’entità, si tratta di lavori che non possono essere realizzati in edilizia libera o mediante SCIA, in quanto necessitano sempre del titolo abilitativo ex art. 10 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia).

Ristrutturazione “pesante”: quando è obbligatorio il permesso di costruire?

A chiarirlo è stato il TAR Lazio con la sentenza del 1° marzo 2024, n. 4180 con cui è stato rigettato il ricorso presentato contro l’ordine di demolizione disposto dal Comune per la realizzazione di opere abusive senza i titoli obbligatori.

Il d.P.R. n. 380/2001 dispone infatti all’art. 10 (“Interventi subordinati a permesso di costruire”), che sono soggetti al rilascio del Permesso di Costruire tutti gli interventi di nuova costruzione e quelli di ristrutturazione urbanistica, nonché i lavori di ristrutturazione edilizia che comportano modifiche alla volumetria complessiva dell’immobile o, per edifici ricompresi nelle zone omogenee A, anche modificazioni alla destinazione d’uso.

Sono obbligati alla richiesta del titolo, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia condotti all’interno di aree sottoposte a tutela paesaggistica ai sensi del d.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), se includono:

  • modificazioni della sagoma, della volumetria complessiva o dei prospetti;
  • lavori di demolizione e ricostruzione, o di ripristino di edifici crollati o demoliti, qualora si conseguano incrementi di volumetria oppure modifiche alla sagoma, ai prospetti, al sedime o alle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche.

Interventi in area vincolata: ci vuole l'autorizzazione paesaggistica

Le opere oggetto dell’ordinanza di demolizione hanno riguardato nello specifico l’ampliamento di due bagni posti su piani differenti dello stesso edificio, mediante accorpamento dei vani tombati adiacenti, con conseguente incremento complessivo della superficie utile residenziale pari a circa 3 mq rispetto alla condizione preesistente.

A prescindere dall’entità dell’ampliamento, il Collegio osserva che si tratta di opere che necessitano del permesso di costruire, e non possono quindi essere conseguite, come sostenuto dalla ricorrente, né in edilizia libera né mediante SCIA; che comunque, nel caso in esame, era stata richiesta solo in sanatoria.

Neanche l’ulteriore intervento di installazione di un nuovo infisso (parapetto in parte in vetro e in parte chiuso con zanzariera) è risultato conseguibile nel regime dell’edilizia libera, che contempla in riferimento ai parapetti solo le opere di “riparazione, sostituzione, rinnovamento, messa a norma”, mentre non include la nuova installazione.

Autorizzazione paesaggistica necessaria anche per l'edilizia libera

I giudici sottolineano tra l’altro che gli interventi sono stati realizzati all’interno di un’area sottoposta a vincoli paesaggistici secondo il Codice dei beni culturali, pertanto, oltre ai dovuti titoli edilizi, era necessario, per poter procedere con i lavori, ottenere anche la relativa autorizzazione paesaggistica con procedura semplificata di cui al Capo II del d.P.R. n. 31/2017, il cui allegato B prevede tra gli interventi di lieve entità, al punto B.3., la “modifica delle facciate mediante realizzazione o riconfigurazione di aperture esterne, ivi comprese vetrine e dispositivi di protezione delle attività economiche, o di manufatti quali cornicioni, ringhiere, parapetti”, con conseguente legittimità, stante l’assenza di titolo paesaggistico, del provvedimento demolitorio.

Da un lato, infatti, l’art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, nell’individuare le attività edilizie che possono essere eseguite senza titolo abilitativo, impone comunque il rispetto delle “normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”, tra cui le “disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio”, il che comporta la necessità di acquisire comunque, pur a fronte di attività libera sotto il profilo urbanistico-edilizio, l’autorizzazione paesaggistica.

Dall’altro lato, precisa il TAR, la carenza di autorizzazione paesaggistica comporta necessariamente, ex art. 27, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, l’irrogazione della più grave sanzione prevista dal medesimo decreto, vale a dire quella demolitoria, e ciò, per l’appunto, a prescindere da quale sia il regime autorizzatorio edilizio disatteso e persino ove si verta in materia di attività edilizia libera.

In conclusione gli interventi conseguiti hanno comportato, se valutati in un’ottica complessiva e non atomistica, in riferimento all’ampliamento, l’alterazione dell’originaria consistenza dell’immobile, e in riferimento all’installazione del nuovo parapetto, modifiche all’aspetto esteriore dell’edificio, per giunta all’interno di un’area sottoposta a vincoli paesistici.

Il ricorso è stato quindi respinto, confermando la legittimità dell’ordinanza di demolizione, nonché delle sanzioni ripristinatoria e pecuniaria disposte, in quanto i lavori realizzati sono qualificabili a tutti gli effetti come interventi di ristrutturazione “pesante” di cui all’art.10, comma 1, lettera c), del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 16 della l.r. n. 15 del 2008.



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