L'ok su un'attività commerciale dipende dalla conformità edilizia?

di Redazione tecnica - 27/10/2021

Quali sono le condizioni per potere portare avanti legittimamente un’attività commerciale? Nelle tante pieghe della burocrazia, c’è un punto importante che a prima vista può sembrare inutile, ma invece ha una sua logica: la presentazione (e la concessione) della SCIA o di un permesso di costruire in sanatoria.

Attività commerciale e conformità edilizia: la sentenza del Consiglio di Stato

Lo spiega bene la sentenza n. 6912/2021 della Sez. Seconda del Consiglio di Stato, a seguito del ricorso per la riforma della sentenza di primo grado inerente l’ordine di demolizione di una struttura per somministrazione di alimenti e bevande situata in area demaniale e con vincolo paesaggistico.

Sulla questione, il TAR ha precisato che l’azione demolitoria complessivamente proposta dall’amministrazione poggia su due elementi:

  • non conformità urbanistico-edilizia delle opere realizzate strumentali all'attività di somministrazione di alimenti e bevande;
  • conseguente illegittimità di tale attività.

Il diniego di sanatoria edilizia espresso ai sensi dell’art 36 D.P.R. n. 380/2001 (accertamento della conformità) poggia infatti su una duplice condizione: non è possibile autorizzare un’attività che poi si dovrebbe reprimere sul piano edilizio. Da questo punto di vista, la normativa statale di riferimento in materia di attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande è chiara nel richiedere un coordinamento tra l’attività amministrativa di autorizzazione commerciale e quella di verifica della conformità urbanistico edilizia in sede di rilascio dei titoli abilitativi di cui al d.p.r. 380/2001, alla stregua di un vero e proprio “collegamento provvedimentale”.

Attività commerciale e conformità edilizia sono complementari

Quindi il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato alla conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, non soltanto in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per l'intera durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali non conformi alla disciplina urbanistica.

In questo caso per altro non era possibile rilasciare un permesso di costruire in sanatoria, perché le opere sono state realizzate su un’area in concessione demaniale e con vincolo paesaggistico ai sensi del decreto legislativo 42/2004: in particolare, è stato constatato l’aumento di volume e superficie utile del chiosco, una struttura chiusa su tre lati.

Consiglio di Stato: manufatto non precario prevede un uso reiterato, anche se stagionale

Non solo: Palazzo Spada afferma che «i manufatti non precari, ma funzionali a soddisfare esigenze permanenti, vanno considerati come idonei ad alterare lo stato dei luoghi, con un sicuro incremento del carico urbanistico, a nulla rilevando la precarietà strutturale del manufatto, la rimovibilità della struttura e l’assenza di opere murarie, posto che il manufatto non precario (es.: gazebo o chiosco) non è deputato ad un suo uso per fini contingenti, ma è destinato ad un utilizzo destinato ad essere reiterato nel tempo in quanto stagionale».

Ne discende che la realizzazione di interventi non meramente manutentivi, ma determinanti la creazione di superfici utili o volumi, con conseguente aumento di carico urbanistico, richiede la previa acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, che è un titolo autonomo non conseguibile a sanatoria ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 146 e 167, commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 42/2004.

Abusi su area in concessione demaniale non sono sanabili

In questo caso, la variazione dello stato dei luoghi è stata determinata, oltre che da un aumento volumetrico e di superficie, anche da uno scavo per la realizzazione della fossa di tipo Imhoff, non prevista dalle concessioni demaniali e dal permesso di costruire. Opere simili, realizzate abusivamente su area demaniale, non sono sanabili anche perché si aggirerebbe l’obbligo di una procedura di evidenza pubblica aperta a tutti gli operatori economici interessati all’affidamento della concessione.

Ne deriva che l’amministrazione comunale non avrebbe potuto in alcun modo accogliere l’istanza di sanatoria edilizia, stante la natura vincolata del predetto parere negativo di compatibilità paesaggistica poiché, «nel procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica il previo parere della Soprintendenza ha natura vincolante».

Il ricorso quindi è stato respinto in ogni sua parte, confermando l’ordine di demolizione espresso con la sentenza di primo grado.

 



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