Secondo condono edilizio: la Cassazione sulla revoca dell'ordine di demolizione

di Redazione tecnica - 07/04/2023

Il giudice dell’esecuzione non può confermare o revocare un ordine di demolizione senza avere conferma da parte di un’Amministrazione sui tempi di espletamento di una pratica, aegndo quindi solo sulla base di supposizioni. Lo conferma la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13819/2023 della IV sez. penale, con la quale ha accolto il ricorso contro il rigetto operato da parte di una Corte d’appello sull’istanza di revoca di un ordine di demolizione.

Revoca ordine di demolizione: la Cassazione sui doveri del giudice dell'esecuzione

Nel dettaglio, il giudice d’appello aveva ritenuto insussistenti i presupposti per disporre la revoca dell'ordine di demolizione, osservando come – pure in presenza della documentata presentazione di una domanda di condono ai sensi della legge n. 724/1994 - rientrasse comunque nell'ambito di discrezionalità del giudice dell'esecuzione penale la valutazione sul possibile esito positivo del procedimento amministrativo; ha quindi ritenuto, che il silenzio "ostinato e protratto da parte dell'ente comunale" in relazione alla documentazione doveva ritenersi indicativo in ordine al carattere non imminente della definizione della pratica.

Da qui il ricorso in Cassazione: come ha specificato il ricorrente, la procedura era connotata dalla convergenza dei pareri di tutti gli uffici coinvolti verso la sanabilità dell'opera, mentre il giudice dell'esecuzione aveva rigettato l'istanza sulla base del solo dato rappresentato dalla mancata risposta dell'ufficio interpellato; per altro non sussisteva prova in ordine all'effettiva ricezione di tale richiesta, trasmessa all'Ufficio antiabusivismo del Comune e non a quello direttamente preposto al rilascio del condono edilizio.

Non era quindi stato adempiuto il dictum imposto nel provvedimento di annullamento con rinvio, non essendo stata effettuata concretamente un'indagine sull'effettiva superabilità in tempi brevi della situazione di stasi del procedimento amministrativo.

La sentenza della Corte di Cassazione

Gli ermellini hanno dato ragione al ricorrente: costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della stessa Cassazione quello in base al quale l'ordine di demolizione, costituendo una sanzione amministrativa caratterizzata dalla natura giurisdizionale dell'organo istituzionale al quale ne è attribuita l'applicazione, non è suscettibile di passare in giudicato ed è riesaminabile in fase esecutiva, atteso che compete al giudice dell'esecuzione:

  • valutare la compatibilità dell'ordine di demolizione con i provvedimenti eventualmente emessi dall'autorità o dalla giurisdizione amministrativa;
  • disporre eventualmente la revoca in caso di contrasto insanabili,ovvero la sospensione se può ragionevolmente presumersi, sulla base di elementi concreti, che tali provvedimenti stanno per essere emessi in tempi brevi, non essendo peraltro sufficiente la mera possibilità di una loro adozione.

Ne consegue che il giudice dell'esecuzione, pertanto, deve revocare l'ordine di demolizione impartito con la sentenza di condanna o di patteggiamento quando siano già sopravvenuti atti amministrativi del tutto incompatibili con esso e può altresì sospendere tale ordine quando sia concretamente prevedibile e probabile remissione, entro breve tempo, di atti amministrativi.

Costituisce quindi compito del giudice dell'esecuzione quello di valutare il rispetto della normativa sostanziale di riferimento, rappresentata, in questo caso, dall'art. 39 della Iegge n. 724/1994 (c.d. "Secondo Condono Edilizio”) tenendo conto di:

  • a) tempestività e proponibilità della domanda;
  • b) effettiva ultimazione dei lavori entro il termine previsto per l'accesso al condono;
  • c) tipo di intervento e dimensioni volumetriche;
  • d) insussistenza di cause di non condonabilità assoluta;
  • e) avvenuto integrale versamento della somma dovuta ai fini dell'oblazione;
  • f) eventuale rilascio di un permesso in sanatoria o la sussistenza di un permesso in sanatoria tacito.

L'inerzia dell'Amministrazione non è un silenzio significativo

Secondo la Cassazione, il giudice dell'esecuzione non ha fatto adeguato governo dei predetti principi, in violazione anche dell’art. 666, comma 5, c.p.p., il quale attribuisce al giudice dell'esecuzione il potere di richiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni necessarie, oltre a quello di assumere prove nel rispetto del principio del contraddittorio, previo adempimento della parte interessata all'onere di indicazione dei fatti sui quali la relativi richiesta si fonda incombendo sull'autorità giudiziaria il compito di procedere ai relativi accertamenti.

Difatti, il giudice dell'esecuzione, dopo avere preso atto preso atto della sussistenza di tutti i presupposti per il rilascio del provvedimento autorizzativo in sanatoria, pure in presenza della valutazione di astratta condonabilità operata dall'Ufficio tecnico del Comune, ha apoditticamente ritenuto che la definizione stessa non sarebbe stata imminente sulla base del mero dato rappresentato dal silenzio dell'amministrazione comunale di fronte alle richieste di conoscere i presumibili tempi di definizione della pratica; questo giudizio si è quindi fondato su presupposti non adeguati e privi della necessaria logicità intrinseca.

Ne consegue che il giudice dell'esecuzione, avrebbe invece dovuto verificare gli effettivi tempi di definizione del procedimento amministrativo attraverso l'esperimento di ulteriori mezzi di prova, ai sensi dell'art.666, comma 5, cod.proc.pen., mediante l'assunzione di specifiche informazioni da parte dei soggetti responsabili del procedimento anche tramite convocazione.

L’ordinanza è stata quindi annullata, con rinvio alla Corte d’Appello per nuovo esame.



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