Superbonus 110% e limiti di spesa: conviene recuperare o demolire?

di Gianluca Oreto - 27/12/2021

La recente risposta n. 806/2021 dell'Agenzia delle Entrate ha messo sotto i riflettori un particolare che a molti (anche a me) era in prima battuta sfuggito. Mi riferisco al calcolo dei limiti di spesa disponibili per un intervento di superbonus 110%.

Sismabonus ordinario e bonus casa

Entrando nel dettaglio, l’Agenzia delle Entrate ha ammesso (ed in effetti era facilmente comprensibile) che in un intervento di sismabonus 110% rientrano nella superagevolazione anche i lavori “accessori” e direttamente collegati all’intervento principale.

Lo abbiamo letto nelle risposte del Fisco allo sfinimento, le detrazioni fiscali del 110% “si affiancano a quelle già vigenti che disciplinano le detrazioni spettanti per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici (c.d. "ecobonus") nonché per quelli di recupero del patrimonio edilizio, inclusi quelli antisismici (cd. "sismabonus"), attualmente disciplinate, rispettivamente, dagli articoli 14 e 16 del decreto legge 4 giugno 2013, n. 63”.

Nella pratica, l’Agenzia delle Entrate ha correttamente inquadrato questo concetto all’interno della risposta n. 806/2021 che ha messo in luce un limite di spesa per gli interventi sulle parti comuni e uno per gli interventi sulle parti private. È chiaro che quando gli interventi sulle parti private siano direttamente collegati a quelli sulle parti comuni, le spese dovrebbero rientrare nel massimale di spesa del superbonus e quindi andare in detrazione al 110%.

È anche chiaro che in questo “gioco” il ruolo del tecnico assume una rilevanza molto particolare sulla tipologia di intervento scelto.

Ne ho discusso con il nostro esperto di Sismabonus, Ing. Cristian Angeli.

Sismabonus e lavori correlati/collegati

1. Ci spieghi meglio questa cosa dei lavori correlati/collegati che rientrano nella detrazione principale, mentre gli altri avrebbero un autonomo limite di spesa.

È uno degli argomenti più inesplorati nell’ambito del Superbonus, quasi un tabù.

Anzitutto occorre inquadrare l’argomento dal punto di vista edilizio, prima che fiscale, poiché non si tratta di un principio universale, bensì di una regola che vale solo nel caso di fabbricati plurifamiliari costituiti da due a quattro unità residenziali o condominiali, che sono gli unici che presentano parti comuni.

Una “regola” che si compone di due addendi.

Il primo è quello relativo ai lavori antisismici sulle parti comuni condominiali e relative pertinenze interne all’edificio, che hanno un autonomo massimale di spesa e trascinano entro di esso i lavori accessori di completamento, con detrazione al 110% (il cosiddetto effetto assorbente).

Il secondo è invece quello relativo ai lavori di manutenzione, diversi da quelli sopra descritti, eseguiti sulle parti di proprietà esclusiva. Se sono fatti nelle unità immobiliari interne all’edificio e relative pertinenze godono della detrazione ordinaria al 50%.

Ma il bello è che per questo secondo “addendo” si deve fare riferimento a un massimale distinto e ulteriore rispetto a quello riferito alle parti comuni, pari ad ulteriori 96.000euro iva compresa per ogni unità.

Sono concetti che io mi limito a raccontare, perché in realtà sono stati ufficializzati dall’Agenzia delle Entrate già da molti anni.

Per quanto riguarda l’effetto assorbente degli interventi di categoria superiore rispetto a quelli di categoria inferiore esso è stato espresso in modo chiaro nella circolare n. 7 del 2017, che recita “È il caso di rilevare che gli interventi previsti in ciascuna delle categorie sopra richiamate sono, di norma, integrati o correlati ad interventi di categorie diverse; ad esempio, negli interventi di manutenzione straordinaria sono necessarie, per completare l'intervento edilizio nel suo insieme, opere di pittura e finitura ricomprese in quelle di manutenzione ordinaria. Pertanto occorre tener conto del carattere assorbente della categoria "superiore" rispetto a quella "inferiore", al fine dell'esatta individuazione degli interventi da realizzare e della puntuale applicazione delle disposizioni in commento”.

Per quanto riguarda invece i limiti di spesa disgiunti per opere su parti comuni e per opere su parti di proprietà esclusiva vale la risoluzione n. 206 del 03/08/2007, che poi trova conferma nella circolare num. 7 del 25/06/2021 in base alla quale “Le spese relative ai lavori sulle parti comuni dell’edificio, essendo oggetto di un’autonoma previsione agevolativa, devono essere considerate, dal condomino o dall’unico proprietario dell’intero edificio, in modo autonomo ai fini dell’individuazione del limite di spesa detraibile. Pertanto, nel caso in cui vengano effettuati dal medesimo contribuente, anche nello stesso edificio, sia lavori sulle parti comuni che lavori sul proprio appartamento, la detrazione spetta nei limiti di spesa precedentemente riportati, applicabili disgiuntamente per ciascun intervento”.

Sono regole ormai consolidate quindi, non è un prodigio di oggi.

In particolare il concetto dei due limiti di spesa autonomi (per lavori eseguiti sulle parti comuni dell'edificio e per lavori sulle singole abitazioni) esiste dal 2007… Forse ce l’eravamo un po' dimenticato perché la specifica fattispecie non era mai stata posta in evidenza in modo esplicito prima dell’interpello 806.

Attenzione però a non illuderci. Da questi ragionamenti sono esclusi gli edifici unifamiliari, quelli che al telegiornale chiamano villette, anche se includono pertinenze, poiché in tal caso sono assenti le parti comuni. Per essi l’ammontare complessivo delle spese non può superare 96mila euro per unità immobiliare e per singolo intervento (sismabonus).

Dal Supersismabonus al Bonus casa

2. Sostanzialmente una spesa si può fare rientrare nel 110% ma entro il limite di spesa di 96.000 euro coincidente con quello del superbonus “parti comuni”, oppure può essere detratta al 50% (con il classico bonus ristrutturazioni o bonus casa) ma attingendo a un altro massimale di 96.000 euro distinto dal primo. Corretto?

Non è del tutto esatto dire così, perché le spese non possono essere spostate a piacimento tra bonus casa e Superbonus a seconda della capienza disponibile.

Ciò che comanda è sempre l’intervento di categoria superiore, ovvero il Sismabonus eseguito sulle parti comuni con il fine di aumentare la sicurezza del fabbricato. Per il raggiungimento di questo fine la maggior parte delle opere devono riguardare le parti comuni, come ad esempio le fondazioni, le pareti perimetrali e il tetto, mentre altre possono riguardare parti di proprietà esclusiva, come effetto “indotto” dalle prime.  Caso tipico quello in cui si demolisce un pavimento interno a un appartamento per andare a rinforzare il solaio. Ad esempio questo intervento, che rientra tra quelli definiti “di completamento” dalla circolare del 2017, deve essere per forza inserito nel conto del Superbonus e pertanto andrà a erodere il massimale relativo alle parti comuni.

Può esistere però anche il caso in cui, nell’ambito dello stesso intervento edilizio, il proprietario decida di rinnovare il bagno di un appartamento, indipendentemente dall’intervento antisismico eseguito sulle parti comuni.

È in questa circostanza che, per la quota parte di intervento interno, si accende il bonus casa, con il suo massimale di spesa (ulteriori 96000euro per ogni appartamento) e con detrazione ordinaria e non potenziata.

Sono dettagli importanti, che possono permettere di far brillare il quadro economico anche nelle situazioni più difficili.

Doppio massimale: il sismabonus per la demolizione e ricostruzione

3. Chiaro il principio in caso di interventi di recupero dell’edificio. Ma qualora si effettui la demolizione come funziona?

La demolizione con ricostruzione non è altro che un caso particolare di ristrutturazione edilizia, introdotto dalla legge n. 120 del 11/09/2020 di conversione del DL 16/07/2020 n. 76 (cosiddetto Decreto Semplificazioni) che ha apportato modifiche al D.P.R. 380/01 (Testo Unico dell’Edilizia).

In particolare, al fine di semplificare e accelerare le procedure edilizie e ridurre gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese, l’art. 10 della Legge n. 120/2020 ha ampliato il campo degli interventi di ristrutturazione edilizia definiti all’art. 3, introducendo al comma 1, lettera d) del D.P.R. 380/2001 quanto segue:

“Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica…”

Quindi trattandosi della stessa tipologia di intervento (ristrutturazione edilizia), in linea di principio, non dovrebbero esserci differenze in termini di attribuzione dei massimali di spesa detraibile tra il caso di recupero dell’edificio e di demolizione con successiva ricostruzione. A mio parere dovrebbe risultare valido quanto ho scritto nelle risposte precedenti circa i massimali applicabili disgiuntamente per le opere eseguite sulle parti comuni e per le opere eseguite sulle parti di proprietà esclusiva. Del resto i limiti di spesa attribuiti per le opere sulle parti comuni sono certi e quelli sulle parti private sono intrinsechi ad esse, quindi perché mai dovrebbero “sparire” se si demolisce (e si ricostruisce) l’edificio? Per questo dico che non dovrebbe cambiare nulla.

Uso il condizionale per tre motivi importanti.

In primo luogo l’Agenzia delle Entrate non si è mai espressa in modo chiaro su questo punto (e per quanto mi risulta non gli è neanche mai stato chiesto). In secondo luogo non è chiaro come gestire il criterio dell’assorbenza degli interventi di categoria superiore rispetto a quelli di categoria inferiore (quello descritto dalla Circolare n.7/2017 di cui ho parlato prima) nel momento in cui la demolizione si porta dietro inevitabilmente tutte le opere ricostruttive anche delle parti private.

Poi c’è da dire che la demolizione ricomprende un ventaglio veramente molto ampio di casi, essendo ammessi anche i cambi di destinazione d’uso e le ricostruzioni con diversa sagoma o con ampliamento.

Riferendoci alla situazione più semplice, ovvero alla demolizione con (pressoché) fedele ricostruzione, l’applicazione dello stesso criterio descritto per i recuperi consentirebbe di portare in detrazione al 110%, nell’ambito dei massimali “condominiali” (corrispondenti a 96.000*n) di sicuro tutte le opere di demolizione e quelle di rifacimento delle parti comuni (fondazioni, pareti, solai, tetto, scale, etc.), nonché della finitura delle stesse (ad esempio gli intonaci delle pareti, i coppi o le grondaie). Per quanto riguarda le opere interne alle unità immobiliari ritengo che dovrebbero essere ricomprese quelle preesistenti (ad esempio i pavimenti, i massetti, gli impianti elettrici, etc.), poiché necessarie per “completare” l’intervento, ma su quelle che si configurano come innovazioni, ad esempio la realizzazione di pareti di tramezzatura aggiuntive o l’inserimento di un bagno in più, nutro qualche dubbio.

Per queste opere, che prima non esistevano e che nascono in sostanza per volontà del singolo (o unico) proprietario al fine dell’adeguamento funzionale della propria unità immobiliare, potrebbe essere messa in discussione la detrazione al 110%, poiché non c’è una attinenza diretta con l’intervento antisismico, tantomeno si configurano come completamento dello stesso. Queste ultime potrebbero pertanto rientrare nel bonus casa ordinario che, a fronte di una percentuale di detrazione fiscale inferiore, accende la luce verde per un ulteriore massimale di spesa pari a 96.000euro per ogni singola unità.

Sono argomenti in cui la prudenza è d’obbligo in assenza di chiarimenti ufficiali. Io, in questi casi, consiglio sempre di interpellare l’Agenzia delle Entrate, anche perché la responsabilità di classificare le spese in una categoria o nell’altra è del tecnico asseveratore e, ovviamente, del committente.

Sismabonus, demolizione e ricostruzione edificio unifamiliare: il ruolo delle parti “comuni”

4. Ing. Angeli, con questo ragionamento sembrerebbe sbagliato, seppur da un certo punto di vista più cautelativo, ricomprendere tutte le spese di ricostruzione di un edificio plurifamiliare nei massimali inerenti alle parti comuni. Ce lo conferma?

Come ho già detto non siamo nell’ambito di una scienza esatta e speriamo davvero che la legge di bilancio 2022, oltre alle proroghe, ci porti anche chiarimenti in tal senso.

Quello che sostengo, e che ripeto, è che bisogna stare attenti alle parole e a fare “un conto unico”.

La circolare num. 7 del 2017 è chiara nel dire che il principio dell’assorbenza vale per gli interventi “integrati o correlati” e per le opere necessarie “per completare l'intervento edilizio nel suo insieme”…

Il soggetto di questi ragionamenti, quando si parla di Sismabonus 110%, è rappresentato dalle opere finalizzate all’aumento della sicurezza sismica, che possono arrivare fino alla demolizione e alla ricostruzione dell’edificio. Se il progetto, al fine di sostituire o rinforzare una trave portante prevede la demolizione del sovrastante tramezzo, è chiaro che il ripristino di quest’ultimo rappresenta un intervento integrato, correlato e di completamento di quello strutturale riguardante le parti comuni (la trave dell’esempio). Se però è prevista la realizzazione di un tramezzo più lungo o diverso per mere esigenze architettoniche, la “correlazione” con l’intervento principale io la vedo più sfumata.

Stesso ragionamento vale (anzi potrebbe valere perché il condizionale resta d’obbligo) nel caso della demolizione e ricostruzione dell’intero edificio. Sempre con riferimento al caso basilare della demolizione con fedele ricostruzione, faccio fatica a pensare che possano rientrare nei massimali relativi alle parti comuni (96.000*n) i costi necessari per la realizzazione di tre bagni, se l’unità immobiliare, ante demolizione, ne aveva uno solo.

Forse è più corretto portare in detrazione le spese inerenti alla realizzazione degli eventuali servizi aggiuntivi (bagni ma non solo) al 50%, nell’ambito dell’autonomo massimale di spesa relativo alla ristrutturazione edilizia ordinaria?

Anche perché non è detto che questo approccio di esclusione dal 110% sia penalizzante per il contribuente, considerando che in molti casi i massimali per le parti comuni non bastano a coprire le spese strutturali.

Tutto ciò, lo ripeto, rappresenta una mia personale - e parziale - interpretazione di un punto molto lacunoso della norma, che richiede particolare cura nella descrizione dello stato ante, soprattutto se si demolisce l’edificio, e una analiticità molto spinta nella rendicontazione delle spese.   

Ringraziamo l’ing. Cristian Angeli per il prezioso contributo e restiamo come sempre a disposizione per vostri commenti.



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