Ordine di demolizione e sanatoria edilizia: è onere del privato la prova della data di realizzazione dell'opera

Consiglio di Stato: "La prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie è posta sul privato e non sull'amministrazione, atteso che solo il privato può fornire inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto".

di Redazione tecnica - 03/04/2021

Ordine di demolizione, procedure e data di realizzazione dell'abuso edilizio. Tutti concetti che, purtroppo, sono spesso affrontati dalla giurisprudenza, sempre più spesso interpellata quando si parla di normativa edilizia.

Ordine di demolizione e data di realizzazione dell'opera

Come nel caso della sentenza 31 marzo 2021, n. 2687 nella quale il Consiglio di Stato risponde al ricorso presentato per l'annullamento di una decisione di primo grado che a sua volta aveva confermato l'ordine di demolizione emesso dal Comune a seguito di un controllo del Comando di Polizia Municipale che aveva contestato la realizzazione di un manufatto abusivo.

Nel caso di specie, le motivazioni del ricorso si basano su due presupposti principali:

  • il primo riguarda l'attività istruttoria del Comune che, secondo il ricorrente, sarebbe carente;
  • il secondo è relativo alla data di realizzazione dell'abuso, "risalente nel tempo".

Speciale Testo Unico Edilizia

Il caso di specie

Nel caso di specie, la decisione del Comune di emanare l'ordine di demolizione arrivato dopo aver rilevato che le opere per cui è causa sono state eseguite:

  • in assenza del prescritto permesso di costruire;
  • in assenza di autorizzazione paesaggistica;
  • nella zona classificata dal vigente PRG come  subzona ad uso di spazi pubblici di progetto, per attività collettive, verde attrezzato o parcheggi o ad attrezzature pubbliche, in cui è impedita l’edificazione in qualsiasi forma, sia pubblica che privata;
  • in zona sottoposta a vincolo idrogeologico ai sensi del R.D. n. 3267/1923 e in assenza della relativa autorizzazione di svincolo;
  • senza rispettare le norme e prescrizioni per le zone sismiche.

Fatti incontestati.

Ciò premesso, come più volte chiarito da tutti i tribunali di ogni ordine e grado "l’ordine di demolizione configura un atto vincolato, dal contenuto interamente predeterminato dal legislatore, da assumere previo accertamento della natura abusiva dell’opera in concreto realizzata, in ragione della sua edificazione in assenza del prescritto permesso di costruire".

Proprio per questo "Non occorre una motivazione specifica in relazione al tempo intercorso o alla proporzionalità della sanzione ripristinatoria all’uopo da emettere, non risultando l’Amministrazione procedente titolare di un potere discrezionale, implicante una scelta in ordine alla tipologia di sanzione in concreto da assumere".

L'ordine di demolizione di un manufatto abusivo è un provvedimento vincolato, come tutti gli atti sanzionatori in materia edilizia, tale da non richiedere una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione.

Ne deriva che l'ordinanza di demolizione costituisce atto dovuto e rigorosamente vincolato, affrancato dalla ponderazione discrezionale del configgente interesse al mantenimento in loco della res, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato. Pertanto, essa è da ritenersi sorretta da adeguata e sufficiente motivazione, quando l’Amministrazione provvede alla compiuta descrizione delle opere abusive e alla constatazione della loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo edilizio.

Ordine di demolizione e attività istruttoria

Nel caso di specie, l'attività istruttoria dell'Amministrazione comunale è stata la seguente:

  • ha accertato i fatti di causa, attraverso apposita verifica svolta dalla Polizia Municipale del medesimo Comune, attestata dall’informativa e dal verbale di sequestro espressamente richiamato nell’ordine di demolizione;
  • ha descritto in maniera puntuale le opere edificate;
  • ha precisato che tali opere erano state edificate in assenza del permesso di costruire prescritto dalle vigenti disposizioni di legge in materia urbanistica DPR n. 380/01 e L.R. n. 19/2001.

In tal senso, l’Amministrazione ha correttamente e sufficientemente motivato la propria decisione, descrivendo compiutamente le opere abusive e constatando la loro esecuzione in assenza del necessario titolo abilitativo edilizio.

Ordine di demolizione e data di realizzazione dell'abuso edilizio

In riferimento alla censura relativa alla data di realizzazione dell'abuso, il Consiglio di Stato ha specificato che "il privato è onerato a provare la data di realizzazione dell'opera edilizia, non solo per poter fruire del beneficio del condono edilizio, ma anche - in generale - per potere escludere la necessità del previo rilascio del titolo abilitativo, ove si faccia questione di opera risalente ad epoca anteriore all’introduzione del regime amministrativo autorizzatorio dello ius aedificandi".

La prova circa il tempo di ultimazione delle opere edilizie, è infatti, posta sul privato e non sull'amministrazione, atteso che solo il privato può fornire (in quanto ordinariamente ne dispone) inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto; mentre l'Amministrazione non può, di solito, materialmente accertare quale fosse la situazione all'interno del suo territorio.

Tale prova deve, inoltre, essere rigorosa e deve fondarsi su documentazione certa e univoca e comunque su elementi oggettivi, “dovendosi, tra l'altro, negare ogni rilevanza a dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà o a semplici dichiarazioni rese da terzi, in quanto non suscettibili di essere verificate.

Nel caso di specie, è irrilevante la circostanza per cui il manufatto sia stato edificato in periodo anteriore all’adozione e all’approvazione del piano regolatore generale del Comune, tenuto conto che, anche in assenza di piano regolatore generale, pure per le opere non ricadenti nel centro abitato, a far data dall’entrata in vigore della Legge n. 761/1967, l’attività edilizia, suscettibile di tradursi nella nuova edificazione, non poteva ritenersi libera, risultando comunque soggetta al previo controllo amministrativo, da esercitare in sede di rilascio del prescritto titolo edilizio abilitativo.

Come precisato dal Consiglio di Stato “se è vero, infatti, che con la legge urbanistica nazionale (n. 1150 del 1942) viene introdotto l’obbligo del previo titolo edilizio per i centri abitati, esso – salve le molteplici ulteriori fonti legislative e regolamentari, che qui non rilevano, che avevano già previsto per molteplici comuni la l’indefettibile rilascio della licenza - veniva esteso a tutto il territorio nazionale con la legge n. 765 del 1967”.

La prova della realizzazione dell'abuso

Nel caso in esame, l'appellante non ha dimostrato l’effettiva data di realizzazione delle opere edilizie in contestazione nell’odierno giudizio, al fine di poter escludere la necessità del previo rilascio del titolo edilizio. Viene solo richiamata una consulenza tecnica di parte prodotta in giudizio, la quale, tuttavia, non configurando un mezzo di prova, non può ritenersi sufficiente per assolvere l’onere probatorio in subiecta materia gravante sul privato.

Le relazioni di parte non costituiscono un mezzo di prova, traducendosi in deduzioni tecniche a loro volta da sottoporre a riscontro probatorio. “Una perizia di parte, ancorché giurata, non è dotata di efficacia probatoria e pertanto non è qualificabile come mezzo di prova” con la conseguente necessità che il privato, nella ricostruzione dei fatti di causa, non può limitarsi ad un rinvio ad eventuali relazioni tecniche acquisite in atti, dovendo fornire inconfutabili atti, documenti o altri elementi probatori idonei a radicare la ragionevole certezza dell'epoca di realizzazione del manufatto; il che non risulta nella specie avvenuto.

L’appellante, dunque, non ha dimostrato che le opere preesistessero rispetto all'epoca di introduzione del regime autorizzatorio dello ius aedificandi (1967); non potendo, dunque, ritenersi provata la natura legittima delle opere puntualmente descritte nell’ordinanza demolitoria. Per questo l'appello è stato rigettato.

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