Direttiva Ue e Case Green: la transizione energetica non è rimandabile

Il commento di Rete Irene: basta con i sensazionalismi, nessuna patrimoniale contro gli Italiani. La riqualificazione energetica va sostenuta con strategia a lungo termine

di Redazione tecnica - 25/01/2023

È diretta alla cattiva informazione e al sensazionalismo che imperversa tra le notizie in circolazione la critica di Rete Irene sulle dichiarazioni relative alla Direttiva UE per le cd. “Case Green”.

Direttiva UE case green: il commento di Rete Irene

Come spiega l’Associazione di imprese, si tratta di una Direttiva nota da anni ad operatori del settore e della politica, motivo per cui ritiene "costernante” come si stiano facendo passare le indicazioni dell’Unione Europea in un'operazione a danno dei cittadini italiani, “senza curarsi delle conseguenze e di ciò che significherà per famiglie, imprese, industria e professionisti e senza un supporto serio di dati ed un’analisi reale e concreta”.

Sul punto, Rete Irene ricorda che la Direttiva UE 2018/844 EPBD (Energy Performance of Buildings Directive – Direttiva sulle Prestazioni Energetiche degli Edifici, fa parte di un pacchetto legislativo di azioni (“Fit for 55”) propedeutiche alla realizzazione degli obiettivi di riduzioni delle emissioni climalteranti del 55% entro il 2030, percentuale necessaria a raggiungere l’ambizioso obiettivo di “zero emissioni” nel 2050.

Nel 2021, la Commssione Europea ha varato il “Piano “Fit for 55”, con il voto positivo dell’Italia; il prossimo 9 febbraio si voterà sulla revisione della Direttiva, che introdurrebbe una serie di obblighi per avere edifici sempre più ambientalmente sostenibili, sia per quelli nuovi che per quelli esistenti.

Le modifiche previste per la Direttiva

La proposta di modifica riguarda l’introduzione di obblighi per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici con i seguenti criteri e scadenze:

  • classe energetica “E” dopo il 2030
  • classe energetica “D” dopo il 2033

Nonostante se ne parli poco, ribadisce Rete Irene, non sono previste limitazioni sulla possibilità di vendere o affittare gli edifici non riqualificati. Non solo: altro aspetto poco “raccontato” e che recentemente è stato sottolineato anche dal MASE, è che la Direttiva UE chiede agli Stati Membri di predisporre adeguati strumenti finanziari e fiscali per rendere più efficiente il patrimonio immobiliare esistente, motivo per cui l’obbligo ricadrebbe sullo Stato e non sul cittadino.

Dopo il voto del 9 febbraio, a marzo inizierà il negoziato tra le istituzioni per arrivare al testo definitivo che sarà pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Ciò significa che ogni Stato membro dovrà presentare il piano Nazionale di ristrutturazione del patrimonio edilizio residenziale e non residenziale per raggiungere gli obiettivi al 2030 e al 2033.

L'importanza della riqualificazione energetica

Come spiega Rete Irene, non è possibile rimandare oltre le modifiche e l’applicazione della Direttiva, considerando che attualmente l’energia per climatizzare gli edifici è responsabile di circa il 40% del consumo totale di energia e del 36% delle emissioni di gas serra dell’Unione Europea.

Senza dimenticare la crisi energetica e la crisi climatica: “due temi vitali sia per la necessità di arrestare i cambiamenti climatici sempre più repentini, sia per combattere una sempre più diffusa povertà energetica tra milioni di europei”.

Di conseguenza, è impossibile continuare a rimandare la riqualificazione energetica di un patrimonio immobiliare vetusto: secondo Rete Irene, la Direttiva UE è un’opportunità per rinnovare gli edifici, renderli più efficienti e garantire il comfort abitativo alle persone che vi risiedono, non rappresenta quindi una penalizzazione né andrà a ricadere sui proprietari degli immobili. 

Strategia e pianficazione degli interventi: il ruolo degli incentivi fiscali

Come agire quindi? La proposta è quella di una vera strategia Nazionale per pianificare la ristrutturazione del parco edifici nazionale. Richiamando le cifre di una stima fatta da ANCE, si parla di migliorare la prestazione energetica di oltre 1,8 milioni di edifici in 7 anni, con una media di circa 182.000 interventi ogni anno.

La pianificazione deve tenere conto di questi 3 aspetti:

  • Finanza
  • Fiscalità
  • Capacità produttiva

Si ritorna a parlare così di Superbonus: spiega Rete Irene che l’Italia è stato il primo tra gli stati membri del sud Europa a studiare una formula incentivante con una forte impatto trainante sugli interventi di efficientamento e sul sistema Paese come dimostrato dai principali studi del settore.

Benché sia un sistema da perfezionare e strutturare, “esso non meritava di essere demolito dagli ultimi 2 governi e da una gogna mediatica senza precedenti che ha consentito di raggiungere il solo obiettivo di generare un forte innalzamento dei costi ed una violenta speculazione finanziaria a danno di cittadini, imprese, industria e professionisti”. E tornano i toni duri: “una visione miope, senza alcuna programmazione, senza una base culturale adeguata e dettata da logiche distanti dalla realtà in cui viviamo noi oggi e vivranno domani i nostri figli”.

Viene così rivolto un appello alla filiera del settore, affinché faccia fronte comune nel presentare al legislatore delle proposte sostenibili in termini di incentivi fiscali, per creare un percorso virtuoso di benefici economici e sociali all’intero paese.

In sostanza, quel che serve per Rete Irene è una strategia stabile e a lungo termine che sostenga e guidi il paese verso le prossime sfide energetiche: la vera transizione energetica non può prescindere dalla riduzione del fabbisogno energetico degli edifici, senza compromessi ma soprattutto senza sensazionalismi di parte.

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