Equo compenso: pressing degli ordini sulla proposta di legge

Anche l’Ordine dei Commercialisti rivolge un appello al MEF perché si risolva lo standby sulla proposta di legge

di Redazione tecnica - 16/09/2021

La proposta di legge sull’equo compenso (la C. 3179-A) continua a fare discutere, soprattutto perché ancora non vede luce. Molti gli interessi in gioco, molti i dubbi sulle competenze, molti quelli sugli ambiti di applicazione. Una situazione di stallo su cui recentemente l’Ordine dei Commercialisti si è espresso, con l’invito rivolto al MEF a fornire quanto prima la relazione sulla quantificazione degli oneri derivanti dalle ipotesi di revisione della norma.

Equo compenso: la proposta di legge

Per equo compenso si intende la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:

  • per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
  • per i professionisti di cui all’articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81, anche iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.

La proposta di legge, presentata a giugno 2021, è volta proprio a reintrodurre l’equo compenso in favore di tutte le categorie di professionisti. Con questo scopo si prevede di inserire nel codice civile nella parte che disciplina le professioni intellettuali, disposizioni analoghe a quelle già inserite nell’ordinamento forense, per rendere effettiva la norma civilistica e per garantire un’equa e giusta retribuzione anche a tutti gli altri lavoratori professionisti.

A chi spetta l’equo compenso

Uno degli aspetti più controversi della proposta di legge riguarda l’ambito di applicazione: l’equo compenso si applicherebbe infatti ai rapporti professionali regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte solo in favore di:

  • imprese bancarie e assicurative;
  • imprese che nel triennio precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di sessanta lavoratori;
  • imprese che hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro.

In sostanza l’equo viene applicato solo in presenza di realtà con forte potere contrattuale ed economico. Questo è uno dei nodi da sciogliere: gli Ordini richiedono invece che l’equo compenso possa essere applicato in ogni possibile rapporto committente-cliente.

Rappresentanza: Ordini professionali vs Sindacati

L’altra questione fortemente dibattuta riguarda i poteri di rappresentanza attribuiti agli Ordini e ai Consigli Nazionali con gli articoli 7 (“Azione di classe”) e 8 (“Osservatorio nazionale sull’equo compenso”). Ne avevamo già parlato, sottolineando come per la prima volta venga ufficializzata la possibilità per i Consigli nazionali di incidere sulla rappresentanza dei loro iscritti.

Un’ipotesi che i Sindacati non hanno gradito, rimarcando in una nota congiunta a firma di Ala Assoarchitetti, Antec, Asso Ingegneri ed Architetti, Fidaf e Inarsind il proprio ruolo e quello degli Ordini:

“Gli Ordini professionali ricoprono un ruolo di controllo e di gestione della professione sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia del quale sono emanazione e sono quindi Enti Pubblici ai quali tutti i professionisti che vogliono esercitare la professione sono, ripetiamo, obbligati ad iscriversi: è evidente che l’obbligatorietà dell’iscrizione è la negazione del fondamento democratico sul quale si fonda la rappresentanza, che presuppone assolutamente la volontarietà di adesione:” e che "gli unici organismi cui compete la rappresentanza dei professionisti sono i loro sindacati e le libere associazioni cui essi hanno aderito liberamente".

Su due punti c’è comunque accordo su tutti i fronti: il primo, l’auspicio che il Ministero dell’Economia e delle Finanze riesca a quantificare gli oneri e il Parlamento a trovare le coperture necessarie per potere fare approvare la legge; il secondo, che l’equo compenso venga esteso anche a incarichi professionali con piccole e medie imprese.

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