Il nuovo Codice dei contratti: questo Illustre Sconosciuto

Tra principi e obbligazioni, la bozza di riforma del Codice dei contratti presenta ancora delle complessità tra le quali le norme sull’arbitrato, sul subappalto, l’appalto integrato, le tariffe e l’equo compenso

di Marco Abram - 21/02/2023

In questa fine di inverno ed inizio di primavera 2023 dovrebbe essere emesso il Nuovo Codice degli Appalti, il condizionale è d’obbligo, ma ahimè è un “illustre sconosciuto”; non perché non sia noto (la bozza in esame del Parlamento è già in giro da qualche mese), ma perché i contenuti soprattutto della parte regolamentare ed in particolare in corso d’esecuzione, sono a mio modestissimo avviso un po’ carenti ed andrebbero migliorati prima di metterlo, passatemi il termine “nel mercato”.

Codice dei contratti: l'Illustre Sconosciuto

Quindi “sconosciuto” non tanto perché ignoto agli altri ma perché ignoto a sé stesso, visto che certe parti non le ”conosce” o meglio non le contempla.

Questo “incipit” potrebbe sembrare molto critico, in realtà apprezzo molto lo sforzo che ha fatto il Governo per accelerare e dotare il Paese di uno strumento codicistico che ormai da circa cinque-sei anni il settore degli Appalti Pubblici sta aspettando con tanta attesa e tante aspettative e di cui ha davvero bisogno.

Nel corso degli anni siamo stati abituati a vedere Leggi Quadro e Regolamenti che si rincorrevano, lasciando nel mezzo tempi di attesa, che non poche difficoltà hanno creato agli operatori, siano questi pubblici che privati.

L'evoluzione normativa sugli appalti pubblici

La Legge n. 109/94 (Legge Quadro, cd. Merloni) ha dovuto aspettare cinque anni per vedere il Regolamento (D.P.R. 554/99) e l’anno successivo per il Capitolato Generale (D.M. 145/00).

Il D.Lgs. n. 163/06 (Legge Quadro) ha dovuto aspettare quattro anni per vedere il Regolamento (D.P.R. 207/10).

Il D.Lgs. n. 50/16 (Legge Quadro) si può dire che il Regolamento non l’abbia mai visto a parte qualche Linea Guida ed il D.M. n. 49/18.

E proprio in virtù di questa genesi e di queste aspettative che occorre dotare presto il Paese ed il mercato di uno strumento che funziona.

A mio parere l’obiettivo deve essere emetterlo entro il 2023, poi se ci vuole qualche mese in più per apportare e concertare le opportune modifiche, non sarà la “morte” di nessuno.

Lo dico come professionista impegnato quotidianamente nel settore, che non vorrebbe rivivere un altro D.Lgs. n. 81/08 (Testo Unico Sicurezza Lavoro) di cui ormai ho perso anche il conto delle modifiche ed integrazioni intervenute.

Il mio timore più grande è che questa corsa alla sua pubblicazione diventi l’ennesima emissione di una norma che sia più di preludio e base per contenziosi che strumento di lavoro per gli operatori.

Comunque io “conto ciò che conto”, cioè niente, quindi mi limito a buttare un sasso nello stagno per vedere se c’è qualcuno di più autorevole che lo raccoglie.

Codice dei contratti: perché sconosciuto?

Torniamo all’analisi.

Sconosciuto”, perché non conosce più parti che nella precedente normativa erano presenti ed in particolare mi riferisco al binomio D.Lgs 163/06 e D.P.R. 207/10 che a mio modesto avviso avrebbero dovuto essere la base da cui partire.

Sconosciuto”, perché gli operatori dovranno investire nuovo tempo e nuovi soldi per conoscerlo adeguatamente fino ad accorgersi che soprattutto la parte regolamentare della gestione in corso d’esecuzione degli appalti pubblici, sia per i lavori che per i servizi, manca di parti normative importanti, facendo segnare un passo indietro rispetto al D.M. 49/18 che già presentava delle criticità.

Confrontate l’attuale allegato II.14 della suddetta bozza con l’ultimo D.M. 49/18 e poi vedrete la differenza.

Il D.M. 49/18 almeno aveva avuto il merito di aver equiparato lavori e servizi/forniture ed aver disciplinato tutte le condizioni in entrambi i settori. Infatti quasi ogni articolo nell’ambito lavori aveva un suo corrispettivo nei servizi/forniture.

Semplificare o "tagliare"?

Ci è consentita un po’ di facile ironia, non vorrei che qualcuno avesse scambiato il verbo “semplificare” con “tagliare”; non è che per semplificare basta togliere o eliminare parti normative.

Il Regio Decreto 350/1895 che è rimasto in carica quasi 100 anni, non è che funzionava perché aveva pochi articoli ma perché era scritto bene e toccava tutti gli argomenti allora necessari, fissando principi generali che sono ancora attuali.

A 100 anni di distanza chi vuole entrare a lavorare nel mondo degli Appalti Pubblici, secondo me, deve ancora partire da lì; una buona lettura della L. 2248/1865 e del R.D. 350/1895 vi farà capire tante cose.

Ho assistito in questo periodo a discussioni, passatemi il termine forse non corretto in termini semantici, ma che rende bene l’immagine, a dir poco “ideologiche” su questo Nuovo Codice degli Appalti; oserei dire anche un po’ “snob” e distanti dal mondo che lo deve utilizzare “tenendolo in mano”.

Una punta su tutte, le lodi al “principio del risultato”, posto proprio in apertura di testo.

Il principio del risultato

Tutto giusto e sacrosanto, non sono un giurista e non intendo insegnare il mestiere a nessuno, ma mi limito a rilevare, visto che sono ormai oltre vent’anni che opero in questo settore, che ogni tanto ci vuole anche un po’ di concretezza e di pragmatismo.

Invece noi siamo abituati a vedere trasformare un “tema” in un “poema”, rendendo talvolta la “meccanica quantistica” più semplice da comprendere.

In merito al “principio di risultato” (art. 1 della bozza), voglio fare un parallelo, forzato lo so ma meno di quel che sembra, con “l’obbligazione di risultato” che è quella che contraddistingue l’appaltatore nella realizzazione di un’opera.

La materia è codicistica, non trasformiamo appunto il Nuovo Codice degli Appalti in qualcosa solo ricco di principi giuridici, perché poi questo deve essere messo in mano a degli operatori che lo devono concretizzare con un’opera, un servizio ed una fornitura, quindi qualcosa di estremamente tangibile. È per questo che la parte regolamentare è fondamentale ed imprescindibile.

Il rischio è invece che il principio, sicuramente corretto e ben circoscritto ma non altrettanto disciplinato, si trasformi nella base per il contenzioso.

Lo strumento è codicistico ricordiamocelo sempre.

Proprio nel mentre sto scrivendo questo articolo quindi, il Nuovo Codice degli Appalti sta avanzando a grandi passi verso la sua approvazione. Non vi nego un po’ di preoccupazione al riguardo; la legge ci vuole ed anche presto ma questa corsa in virtù degli attuali contenuti mi sembra un po’ accelerata.

In questo periodo sono stato molto attivo nell’ambito dei social su questo argomento, con la speranza di dare un contributo critico alla questione di modo che qualcuno, più in alto, si accorgesse che qualche modifica andrebbe introdotta; tra l’altro non sono stato solo ma direi “in buona compagnia”.

Riforma Codice dei contratti: i temi di maggior interesse

Vediamo ora di mettere al centro della discussione alcuni temi non necessariamente in ordine come proposti nella bozza di norma:

1) Partiamo subito questa analisi dall’arbitrato, visto che ho parlato di contenzioso, che era uno strumento molto utilizzato nel passato per risolvere le controversie, sempre presente in norma ed oggi nuovamente riproposto anche con nuova forza. L’arbitrato è un ottimo strumento per cercare di chiudere una disputa ma purtroppo non va bene per tutti gli appalti. Nel passato il suo utilizzo è stato generalizzato come negli ultimi vent’anni invece si è andati nella direzione opposta ovvero quella del giudizio ordinario. La verità è che ogni strumento è buono se utilizzato nel contesto giusto. A mio avviso l’arbitrato ha il vantaggio di essere più veloce e di dare più forza all’aspetto transattivo ma allo stesso tempo ha lo svantaggio di essere molto costoso e questo a volte inibisce la “voglia di giustizia” e quindi la “giustizia” stessa. Quindi sì all’arbitrato nei grandi appalti dove sono presenti committenze ma soprattutto appaltatori strutturati, no negli appalti medio-piccoli dove il costo del contenzioso rischia di superare quello del ristoro!

2) Il subappalto nei servizi a mio parere è il grande assente di questa bozza di Nuovo Codice degli Appalti. Sul tema subappalto l’Europa negli anni ci ha più volte ripresi in particolare per l’aliquota della parte subappaltabile ovvero, da ultimo, il 30% dell’importo contrattuale. Questo perché l’Europa ha visto sempre in questa misura uno strumento che non favoriva la concorrenza e quindi una limitazione del libero mercato. Con una delle ultime modifiche al D.Lgs 50/16 tale aliquota è stata eliminata. Oggi in questa bozza di Nuovo Codice degli Appalti, anche tutti i limiti che vigevano per i servizi non sono più presenti.

Ma è davvero un vantaggio? È un passo verso l’Europa? È un passo verso l’equa concorrenza? Io direi di no.

Noi abbiamo la nostra storia e dobbiamo rispettarla. Personalmente ritengo che il limite andasse solo aumentato ma non eliminato. Questa modifica per me ha un retrogusto amaro perché vedo in questa nuova versione della norma un indirizzo, una tendenza, o solo una mia paura. Io vedo un mondo dove lavori e servizi saranno sempre più ad appannaggio di grande strutture e tutti gli altri finiranno a fare i subappaltatori. Mi sbaglierò ma la mia visione attualmente è questa, spero vivamente di prendere un abbaglio. Sono contento che recentemente nel web anche enti ed esperti di settore, sicuramente più autorevoli di me, abbiano rilevato qualche criticità in merito ai nuovi limiti di subappalto, concetti e critiche che avevo già sollevato in parte anche io in un post del 28/01/2023, che recitava: “A proposito qualcuno ha visto nella bozza del nuovo codice ciò che era previsto all’art. 31, comma 8, del D.Lgs 50/16 in merito alle attività subappaltabili nei servizi? E parliamo di equo compenso! I servizi questi illustri sconosciuti!

3) In un altro post avevo messo al centro della questione il tema progettuale e dell’appalto integrato. Il tema dei due livelli di progettazione a mio avviso costituirà un problema perché dopo anni è stata eliminata la fase più importante di un progetto ovvero quella del “definitivo”. Il progetto si è da sempre fatto in quella fase, la sua concezione, l’ideazione, il coordinamento e l’integrazione fra le varie prestazioni specialistiche, e soprattutto l’inquadramento della spesa e quindi la definizione del finanziamento. Il progetto esecutivo risulta essere solo un “affinamento progettuale” non il progetto stesso. Questo aspetto, sempre a mio modestissimo avviso, puo’ costituire terreno fertile per il contenzioso. Con progettazioni inadeguate si fa i conti già oggi, ma questa modifica mi sembra prestare il fianco a qualcosa di peggio e non di meglio.

Personalmente non sono concorde neanche nel ridare forza all’appalto integrato. La tendenza che mi sembra leggere è: “dove la finanza e la struttura pubblica fa fatica ad arrivare diamo spazio al privato”. Ma pubblico e privato hanno istanze diverse, quindi il risultato non sarà mai lo stesso. Progettista, direttore dei lavori, coordinatori, sono figure di controllo e garanzia che devono stare dalla parte del committente, della stazione appaltante, non dalla parte dell’impresa. I progetti non li devono fare le imprese né tantomeno il controllo. Con metodologie di affidamento tipo “appalto integrato” o “contraente generale” si vuole importare, secondo me, nel sistema italiano ciò che funziona da altre parti. Ma si torna a quanto detto al punto 2, noi abbiamo la nostra storia e la nostra cultura e dobbiamo essere “leali” con essa. Noi conosciamo benissimo i nostri pregi ed i nostri difetti e lo dice uno che è orgoglioso di essere “italiano” e che non sarà mai un detrattore del proprio Paese, pensando come spesso si sente dire, che ”l’erba del vicino è sempre più verde”. Ma vivo questa realtà e vedo chiaramente fin dove possiamo arrivare.

Migliorarsi sempre, ma con lealtà.

4) La “tariffa” e “l’equo compenso”. Nella bozza di Nuovo Codice degli Appalti, anche in riferimento alla definizione dei nuovi livelli progettuali, nulla è stato detto in merito a come verranno determinati i corrispettivi. Già oggi il D.M. 17/06/2016 andrebbe con urgenza adeguato in quanto non più coerente con il D.Lgs 50/16. Invece sento parlare in giro solo di “equo compenso”. Ogni tanto esce qualche articolo o qualche documento di precisazione che scopre “l’acqua calda”; che ogni prestazione deve essere remunerata ed equamente, sta già nei dettami del Codice Civile, non dovrebbero essere necessarie ulteriori precisazioni, se non purtroppo della giurisprudenza che interviene dove l’ordinario non funziona. Secondo me “l’equo compenso” si è già trasformato in una “trappola”, come qualcuno ha già palesato, perché definisce un principio che non è un criterio. Occorre che ci sia una tariffa chiara e di riferimento per tutti. Una tariffa che tenga conto della molteplicità di prestazioni. Il D.M. 17/06/2016 non è male va solo aggiornato ed integrato.

Il ribasso si lascia libero e da applicare a tutto senza differenziazione di componenti e poi se la prestazione non è all’altezza, non è adeguata, per sicurezza-qualità-tempi-costi, si punisce con gli strumenti che la legge già prevede ed ha sempre previsto ma che sono stati solo a volte applicati. Il mercato così trova il suo equilibrio. È evidente che tutti devono essere giusti ed equi nelle scelte, nei tempi e nei costi, a partire dai committenti e dalle stazioni appaltanti, altrimenti questo meccanismo diventa un cane che si morde la coda. Non siamo alla ricerca di un capo espiatorio ma di un sistema giusto!

5) Sempre in questo lungo periodo di analisi e dibattito che si è sviluppato giustamente sull’argomento dopo dicembre 2022, qualcuno si è lanciato nel dire che con questa norma ci fosse in un certo senso un ritorno al passato dando a questa affermazione un’accezione positiva. Sull’allegato II.14 della bozza di Nuovo Codice degli Appalti invece io non ci vedo un ritorno al passato, che per certi aspetti sarebbe stato meglio in particolare se il riferimento fosse stato al binomio D.Lgs 163/06 e D.P.R. 207/10 che a mio modesto avviso avevano fatto la sintesi di ca. 20 anni di norme in materia.

Gli articoli 106, 118, 119, 137, 164, 190, 191, 201, 233 e 323 del D.P.R. 207/10 che regolavano le dichiarazioni dell’appaltatore in sede di offerta, i documenti afferenti al contratto e la gestione delle riserve, oggi dove sono?

Anche non aver specificato, nella bozza, un termine per l’esplicitazione/controdeduzioni delle riserve, non mi sembra cosa da poco.

In Italia non ci sono solo le grandi committenze che saranno attrezzate a fare norme, capitolati e regolamenti ma anche le medio-piccole che andranno in difficoltà e si riverseranno sui professionisti, specialmente i medio-piccoli, che avranno difficoltà anche loro a rispondere in termine di creazione di capitolati soprattutto.

E poi qualcuno sa dirmi dove si trova, nella bozza di Nuovo Codice degli Appalti, la definizione di corpo e misura?

La definizione di opere a corpo o a misura è sempre stata presente in norma, ora non ci sarà più, eppure rimangono e due forme di contabilizzazioni principali.

Quando va fatto un appalto a misura? ed uno a corpo?

La norma nel tempo ha sempre definito, fino all’attuale passaggio normativo del D.Lgs 50/16 dove tale punto non è più presente, questo ambito; e domani come ci dovremo comportare?

Mi spiego meglio facendo alcuni esempi, non si ritrovano più le dichiarazioni che rilasciava l’appaltatore in sede di offerta (ex art. 106, 118 e 119 del D.P.R. 207/10), i documenti che fanno parte del contratto (ex art. 137 del D.P.R. 207/10) e neanche la postilla introdotta con l’art. 32, comma 14-bis, del D.Lgs 50/16, e queste lacune vi erano già con il D.Lgs 50/16. Mancano poi alcune definizioni fondamentali di appalto a corpo (ex art. 118 e 119 del D.P.R. 207/10 ed art. 59 del D.Lgs 50/16). Nel nuovo testo non c’è più una definizione di opera a corpo o a misura e se non mi sono sbagliato a ricercare, la parola “a corpo” nell’articolato del corpo principale non è mai menzionata. Mentre prima se fare opere a corpo o a misura lo diceva la norma (da ultimo ex art. 53 co. 4 del D.Lgs 163/06), oggi su che base si stabilisce? Ci sarebbe anche altro ma mi fermo qui. Credo sinceramente che qualcosa da rivedere ed integrare ci sia! O si pensa ormai che tutta questa parte debba essere demandata al progetto ed hai progettisti?

6) E la definizione di errore progettuale che circoscrive il campo del danno, dove si trova?

Pensate che caos potrebbe determinare questo aspetto.

Per fortuna abbastanza di recente è entrata sul tema anche la Corte di Cassazione con ordinanza n. 33537 del 15 novembre 2022, che a mio modesto avviso, ha messo un punto importante su un argomento troppe volte distorto nell’interpretazione. L’ordinanza è chiara e riporta una posizione condivisibile e sempre a mio modesto parere già contenuta nella norma e circoscrive perfettamente il campo del danno per errata progettazione. Personalmente io l’ho sempre vista, interpretata e sostenuta la questione in questi termini, esattamente come l’ha vista la suprema Corte. Quindi direi molto bene!

Concludo con la speranza di non avervi annoiato più di tanto con questa ampia disamina e dicendo che, al di là di quello che può sembrare leggendo l’articolo, personalmente apprezzo molto lo sforzo fatto per emettere questa nuova norma, fatto dal Parlamento, dalle Commissioni e da tutti i soggetti coinvolti.

Lavoro ogni giorno anch’io con impegno e fatica e so che le cose non sono mai semplici e lapalissiane come sembrano. Il lavoro, in quanto tale, non si disprezza mai, si prova solo a voler dare qualche contributo per migliorare.

Ci saranno sicuramente tantissime istanze da far convergere, dalle necessità nude e crude, pratiche, pragmatiche, alle esigenze costituzionali e del diritto, e chi più ne ha più ne metta.

Però stante il rango e l’importanza della norma auspico un approfondimento superiore su certi temi.

La frase “tutto è perfettibile”, vista in un’ottica presente e futura, è una grande verità ma non deve mai diventare un alibi.

Quindi non mi resta che augurarvi Buon Lavoro!!!

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