Permesso di costruire annullato e demolizione: i limiti alla fiscalizzazione dell’abuso
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7413/2025, ribadisce quando non è possibile sostituire la demolizione con la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 38 del d.P.R. 380/2001
Quando un’opera realizzata sulla base di un permesso di costruire successivamente annullato può essere mantenuta tramite la c.d. fiscalizzazione dell’abuso? È sufficiente richiamare l’art. 38 del d.P.R. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) per evitare la demolizione, oppure occorrono condizioni particolarmente stringenti? E, soprattutto, qual è la linea di confine tra vizio formale e vizio sostanziale del titolo edilizio?
Demolizione opere abusive: i limiti alla fiscalizzazione dell’abuso
A rispondere a queste domande è il Consiglio di Stato con la sentenza del 19 settembre 2025, n. 7413, sul ricorso in appello contro un ordine di demolizione a seguito di permesso di costruire annullato.
Nel caso in esame, un privato aveva acquistato un terreno sottoposto a vincolo paesaggistico con un fabbricato in condizioni di degrado e per il quale l’Amministrazione comunale aveva rilasciato un permesso di costruire per la ristrutturazione tramite demolizione e ricostruzione, previo nulla osta paesaggistico.
La vicenda giudiziaria si sviluppa in più passaggi:
- nel 2020 il TAR aveva annullato il titolo su richiesta di un proprietario confinante, qualificando l’intervento come nuova costruzione non consentita;
- nel 2023 il Consiglio di Stato aveva confermato la decisione, dopo verificazione che aveva accertato la demolizione integrale e la ricostruzione con sagoma, altezza e materiali diversi;
- a seguito dell’annullamento, il Comune ordinava la demolizione e respingeva l’istanza di fiscalizzazione ex art. 38 TUE.
Da questa istanza di fiscalizzazione respinta era scaturito un nuovo ricorso che il TAR aveva respinto, chiarendo che:
- l’ordine di demolizione è atto vincolato;
- la sanzione pecuniaria sostitutiva può operare solo in presenza di impossibilità tecnica di ripristino.
Ne era scaturito quindi l’appello al Consiglio di Stato, che ha confermato la decisione di primo grado.
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