Riforma delle professioni bocciata dal Consiglio di Stato che
nonostante si sia pronunciata nel complesso favorevolmente allo
schema di regolamento di attuazione dei principi dettati
dall'articolo 3, comma 5, del Decreto Legge n. 138 del 2011 in
materia di professioni regolamentate, approvato dal Consiglio dei
Ministri n. 35 del 15 giugno 2012, ha espresso non poche
osservazioni che di fatto bloccano la riforma rimettendola ad una
modifica sostanziale da parte del Ministero di Giustizia.
I giudici di Palazzo Spada, con parere n. 3169 del 10 luglio 2012
dopo una disamina normativa che ha condotto all'emanazione dello
schema di regolamento, ha voluto esprimere nelle premesse un
apprezzamento verso la scelta di procedere all'emanazione di un
unico regolamento per tutte le professioni regolamentate e ha
ammesso che il criterio principale che deve costituire la guida per
ogni scelta interpretativa è l'affermazione secondo cui
"gli
ordinamenti professionali devono garantire che l'esercizio
dell'attività risponda senza eccezioni ai principi di libera
concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il
territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta
che garantisca l'effettiva possibilità di scelta degli utenti
nell'ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi
offerti".
Ricordiamo che il provvedimento di riforma riguarda tutte le
professioni ordinistiche (escluse quelle sanitarie) ed è diviso in
4 parti:
- il Capo I che riguarda le disposizioni generali applicabili a
tutte le professioni regolamentate;
- il Capo II che tratta esclusivamente le disposizioni
concernenti gli avvocati;
- il Capo III inerente le disposizioni concernenti i notai;
- il Capo IV che contiene la disciplina transitoria, le
abrogazioni ed l'entrata in vigore del DPR.
La parte riguardante le disposizioni generali applicabili a tutte
le professioni regolamentate, e quindi anche alle professioni
tecniche, contiene misure riguardanti:
- l'accesso ed esercizio dell'attività professionale (art.
2);
- l'albo unico nazionale (art. 3);
- i principi di libera concorrenza e di pubblicità informativa
(art. 4);
- l'assicurazione professionale (art. 5);
- le norme per il conseguimento del tirocinio obbligatorio per
l'accesso alle professioni (art. 6);
- i criteri per la formazione continua del professionista (art.
7);
- l'incompatibilità dell'attività professionale con le attività
che ne pregiudicano l'autonomia e indipendenza di giudizio,
intellettuale e tecnico (art. 8);
- le disposizioni sul procedimento disciplinare delle professioni
regolamentate (art. 9).
Ciò premesso, di seguito la disamina delle principali osservazioni
dei giudici del Consiglio di Stato.
Ambito di applicazione
Il Consiglio di Stato ha evidenziato che la definizione di
"professionista" contenuta nell'art. 1 risulta essere
"eccessivamente ampia" e che è necessario
eliminare il
riferimento ai registri ed elenchi comunque tenuti da
amministrazioni o enti pubblici valutando quindi la possibilità
di meglio definire la nozione di
professione regolamentata.
I giudici hanno precisato che questa modifica non ha il fine di
sottrarre alla liberalizzazione le attività soggette a minori oneri
di registrazione, ma proprio quello di non aggravarle da ulteriori
inutili adempimenti (formazione, accesso, etc...).
Tirocinio per l'accesso alla professione
I giudici di Palazzo Spada hanno evidenziato come il limite massimo
del tirocinio è stato fissato direttamente dal legislatore con il
DL n. 201/2011 (art. 33, comma 2 che ha modificato il DL n.
138/2011) e poi con il DL n. 1/2012 (art. 9, comma 6), e che tale
limite ha valore immediatamente precettivo. Trattandosi di durata
massima, è necessario modificare l'art. 6 comma 1 dello schema di
regolamento prevedendo che la durata prevista sia massima, evitando
così che la norma sia letta nel senso di durata minima del
tirocinio.
L'aspetto di maggiore importanza rilevato dal Consiglio di Stato
riguarda il fatto che l'art. 9, comma 6 del DL n. 1/2012 si limita
a prevedere una durata massima del tirocinio al fine di evitare che
lo stesso possa costituire un ostacolo o, comunque, determinare un
ritardo per l'accesso al mondo del lavoro. Da ciò non si può trarre
l'obbligo di svolgimento del tirocinio per tutte le professioni
regolamentate, lasciando ai singoli ordinamenti professionali la
decisione in merito alla necessità e alla durata del tirocinio
(sentito chiaramente il Ministro vigilante).
I giudici,avvalorando la loro tesi, hanno rilevato come una lettura
della norma nel senso previsto dal regolamento, prevedrebbe per
tutte quelle professioni suddivise in due sezioni (come quella
dell'ingegnere che prevede la Sez. A per la laurea magistrale e la
Sez. B per quella triennale) un aggravio non consono ai principi
dettati dalla norma primaria, allungando di molto i termini per
l'ingresso al mondo del lavoro.
L'art. 9, comma 6 del DL n. 1/2012 ha previsto la possibilità di
svolgere i primi 6 mesi del tirocinio in concomitanza con il corso
di studi per il conseguimento della laurea. Tale disposizione è
stata prevista con il comma 4, art. 6 dello schema di regolamento e
va inserita anche nel comma 2 che prevede che
"Ai fini
dell'iscrizione nel registro dei praticanti è necessario aver
conseguito la laurea o il diverso titolo di istruzione previsti
dalla legge per l'accesso alla professione regolamentata, ferme
restando le altre disposizioni previste dall'ordinamento
universitario".
Per quanto concerne il tirocinio all'interno di uno studio
professionale, l'art. 6 comma 3 ha previsto che
"Il
professionista affidatario deve avere almeno cinque anni di
anzianità, è tenuto ad assicurare che il tirocinio si svolga in
modo funzionale alla sua finalità e non può assumere la funzione
per più di tre praticanti contemporaneamente, salva la motivata
autorizzazione rilasciata dal competente consiglio territoriale
previa valutazione dell'attività professionale del richiedente e
dell'organizzazione del suo studio". Il Consiglio di Stato ha
rilevato che il tetto di 3 praticanti non è sorretto da adeguata
giustificazione e che devono essere i consigli dell'ordine a
fissare in via generale e con criteri predeterminati la possibilità
di deroga su parametri fissati dall'amministrazione.
Corsi di formazione
In riferimento ai corsi di formazione (art. 6, comma 9), i giudici
hanno rilevato che l'obbligatorietà della frequenza sembra
irrigidire notevolmente le modalità di svolgimento del tirocinio e
appare preferibile prevedere che la frequenza del corso possa
essere valutata ai fini del tirocinio per il periodo di durata del
corso e sia, quindi, facoltativa, oltre che alternativa, e non
concorrente, allo svolgimento della pratica.
Per ciò che attiene al profilo dell'organizzazione dei corsi, non è
ragionevole la differenziazione tra le associazioni di iscritti
agli albi, che non necessiterebbero di nessuna autorizzazione, e
gli altri soggetti, che dovrebbero essere autorizzati dai ministri
vigilanti. Ciò che importa è solo la qualità dei corsi che dovrà
essere garantita fissando a dei requisiti minimi dei corsi, validi
per tutti, semplificando poi i successivi adempimenti, che possono
anche consistere in autodichiarazioni dei suddetti requisiti
minimi, con eventuali controlli successivi.
Disciplina della formazione permanente
Il Consiglio di Stato ha rilevato che la norma primaria prevede
l'obbligo di formazione continua per il professionista attraverso
un continuo e costante aggiornamento della proprio competenza
professionale che segui dei percorsi predisposti sulla base di
regolamenti fissati dai Consigli Nazionali, escludendo
l'attribuzione di tale compito al ministro vigilante.
Sistema disciplinare delle professioni
I giudici di Palazzo Spada hanno rilevato il principio guida doveva
essere quello contenuto nell'art. 3, comma 5, lett f) del DL n.
138/2011 che prevede che
"gli ordinamenti professionali
dovranno prevedere l'istituzione di organi a livello territoriale,
diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono
specificamente affidate l'istruzione e la decisione delle questioni
disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. La carica di
consigliere dell'Ordine territoriale o di consigliere nazionale e'
incompatibile con quella di membro dei consigli di disciplina
nazionali e territoriali. Le disposizioni della presente lettera
non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta
confermata la normativa vigente".
In riferimento alla citata lettera, i giudici non hanno condiviso
la tesi dell'amministrazione secondo la quale il regolamento
sarebbe sprovvisto di qualsiasi potere di intervento per gli organi
disciplinari aventi natura giurisdizionale. Senza in alcun modo
incidere sugli organi di natura giurisdizionale, il regolamento può
limitarsi a prevedere che chi esercita funzioni disciplinari anche
nei Consigli Nazionali aventi natura giurisdizionale non può,
scattando l'incompatibilità, esercitare funzioni amministrative.
Resterà nell'autonomia dei Consigli Nazionali introdurre misure
idonee a garantire il funzionamento degli stessi. La separazione
tra funzioni amministrative e funzioni disciplinari è dettata dallo
scopo di garantire terzietà e indipendenza di chi decide le
questioni disciplinari e, a tal fine, in alcun modo è giustificata
l'esclusione dell'opzione di prevedere negli organi disciplinari
anche soggetti terzi rispetto agli iscritti agli ordini, scelti tra
soggetti in possesso di determinati requisiti.
Il commento degli Agrotecnici e degli Agrotecnici
laureati
Grande soddisfazione in casa degli Agrotecnici e degli Agrotecnici
laureati alla lettura del parere del Consiglio di Stato
relativamente ad DPR predisposto dal Ministro della Giustizia di
riforma del sistema professionale.
Pur rimandando a domani una più puntuale lettura del testo
risultano evidenti le profonde censure con cui i giudici hanno
bollato il testo.
Soddisfatto Roberto Orlandi, Presidente del Collegio Nazionale
degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati, il quale osserva
come siano state sostanzialmente tutte accolte le richieste e le
censure che il Collegio Nazionale aveva inviato al Consiglio di
Stato il 3 luglio scorso.
Ecco i punti in cui lo schema di DPR risulta essere stato
"bocciato":
1. Come fatto osservare dagli Agrotecnici l'art.1 va riscritto
perché ampliava all'infinito la definizione di "professione
intellettuale".
2. Viene ripristinata la capacità negoziale di Consigli Nazionali
professionali in materia assicurativa che il Ministero aveva
(chissà perché) cancellato.
3. Sono salvi i tirocini inferiori a 18 mesi, come quelli
semestrali a cui sono tenuti i laureati in agraria per iscriversi
all'Albo degli Agrotecnici e degli Agrotecnici laureati.
4. Salta l'obbligo del tirocinio generalizzato per tutti, anche per
quelle categorie che non lo avevano (con comprensibile quanta
infinita gioia da parte delle migliaia di giovani aspiranti
professionisti).
5. Ripristinata l'autonoma capacità dei Consigli Nazionali
professionali di stipulare in proprio Convenzioni con le Università
per lo svolgimento dl tirocinio durante il corso di studi.
6. Eliminato l'assurdo divieto del limite di non più di tre
tirocinanti ogni professionista (ciascun albo deciderà quanti).
7. Salta il divieto per i pubblici dipendenti di svolgere
l'attività professionale, sarà libera per i dipendenti in regime di
part-time, esattamente come è stato fino ad ora.
8. Salta anche l'obbligo di ripetere il tirocinio se lo si sospende
per più di sei mesi; al Ministero dovrà essere indicato un termine
diverso e più lungo.
9. Salta infine l'odioso (e costoso) obbligo del corso di
formazione semestrale a cui erano irragionevolmente costretti i
tirocinanti; il corso sopravvive ma come alternativa al tirocinio,
non più come ulteriore gravame.
Per l'ufficio legislativo del Ministero di via Arenula il parere
del Consiglio di Stato rappresenta una debacle che ha pochi
precedenti, per il mondo delle professioni, e soprattutto per i
giovani praticanti, rappresenta una ventata di fresca aria di buon
senso e libertà.
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