Il decreto Bersani prima e il ddl Mastella dopo stanno portando dei
mutamenti nello scenario della libera professione dalle
caratteristiche forti, decise quanto discutibili.
Il riferimento è l’abbattimento delle tariffe minime, che da mesi
toglie il sonno a migliaia di professionisti infuriati.
Ma è bene precisare un aspetto quantomeno interessante che fa
riferimento sia alla realtà dei fatti sia all’art. 2233 del codice
civile. Nella realtà, nonostante la legge l’abbia imposto, non è
mai esistita la inderogabilità dei minimi tariffari. Per il loro
mancato rispetto non è prevista nessuna sanzione, né di legge né da
parte dell’ordine.
Secondo la Determinazione n. 2/2006 del CNAPPC (par. 3.2) “è da
escludere che l'entrata in vigore dell'art. 2 della legge n.
248/2006 abbia modificato il regime che disciplina il compenso
professionale degli architetti nei termini in cui - diversamente da
quanto previsto per altre categorie, come gli avvocati - lo stesso
è liberamente pattuibile tra le parti e le tariffe trovano
applicazione solo in mancanza di accordo, ai sensi e per gli
effetti dell'art. 2233 c.c.”, il quale stabilisce che “in ogni caso
la misura del compenso deve essere adeguata all'importanza
dell'opera e al decoro della professione”.
Data la premessa, c’è da
valutare la considerazione, fatta
dagli esponenti delle massime rappresentanze dei professionisti,
che le tariffe minime sono una garanzia di qualità a favore
dei progetti delle opere pubbliche e che abbatterle minerebbe la
sicurezza dell’opera stessa.
Con l’abolizione dei minimi tariffari sarebbe lecito partecipare a
bandi di gare riducendo all’osso le spese progettuali e quelle per
la sicurezza.
A proposito,
Claudio Galtieri, procuratore regionale della
Corte dei Conti Toscana, intervenendo ad un Convegno organizzato
dall’Igi (Istituto Grandi Infrastrutture) sul tema “
La
progettazione nei lavori pubblici: problemi vecchi e nuovi”, ha
affermato che l’
abolizione dei minimi tariffari secondo
quanto previsto dall’articolo 2 del decreto Bersani è
applicabile sia nell’ambito privato che pubblico. Questo in
quanto non possono essere condivise tesi basate sul rigido
formalismo giuridico, anche perché le amministrazioni, secondo
quanto previsto dal comma 2 del suddetto articolo, potranno
comunque fare riferimento alle tariffe ma non come elemento
discriminante e vincolante ma , semplicemente, come strumento di
valutazione preventiva della congruità astratta del prezzo.
La gara dovrà essere, quindi, effettuata sulla base del prezzo
fissato dalla stazione appaltante con l’
unico problema,
ancora da risolvere, sulla
valutazione delle offerte
anomale.
Galtieri ha anche affermato che la
tariffa minima non è
garanzia di qualità in quanto, se lo fosse, tutte le opere
pubbliche sarebbero prive di errori o che visto che si è sempre
prevista una riduzione del 20% dei minimi per progetti resi alle
amministrazioni, tutte le opere pubbliche sarebbero disastrose, e
ancora quelle private, in cui il compenso è trattabile, sarebbero
tutte fatte male.
Il problema delle tariffe minime sembra essere una coperta troppo
corta che se da un lato non è garanzia di qualità dall’altro sembra
essere un buon punto di partenza nella trattazione e che, quindi,
la loro eliminazione comporterebbe non una garanzia di concorrenza,
ma una rincorsa all’abbattimento della qualità.
Anche perchè è interessante sottolineare, dal momento che uno degli
intenti dichiarati del decreto è quello di garantire la
concorrenza, che in Italia abbiamo la più alta percentuale europea
di ingegneri e architetti rispetto alla popolazione nazionale e
che, per contro, il loro fatturato annuo pro-capite è il più basso
d'Europa, come ci ricorda il CNI.
Ai posteri l’ardua sentenza.
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