Illegittime le disposizioni sanzionatorie previste per i contratti
di locazioni di immobili ad uso abitativo non registrati entro i
termini stabiliti dalla legge. Lo ha dichiarato la Corte
Costituzionale con la
sentenza 14 marzo 2014, n. 50 recante
"Locazione di immobili urbani - Disciplina dei contratti di
locazione ad uso abitativo non registrati entro il termine
stabilito dalla legge, ovvero registrati per un importo inferiore a
quello effettivo, e dei contratti di comodato fittizio registrati.
- Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia
di federalismo Fiscale Municipale), art. 3, commi 8 e 9",
pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale n. 13 del 19 marzo
2014.
La questione costituzionale è stata sollevata dai Tribunali di
Salerno, Palermo, Firenze, Genova e Roma. I giudici costituzionali
hanno, inoltre, ricevuto una domanda con la quale la locatrice di
un immobile destinato ad uso abitativo ha convenuto in giudizio la
conduttrice per la convalida dello sfratto per morosità intimato
alla medesima; domanda alla quale l'intimata si era opposta
deducendo che il contratto di locazione era stato registrato in
ritardo a cura della stessa conduttrice.
A norma dell'art. 3 del D.Lgs. n. 23/2011, il canone dovuto era di
gran lunga inferiore a quello convenuto, mentre per i mesi
precedenti non era dovuto alcun canone, in quanto il contratto non
registrato doveva considerarsi nullo. L'intimante, a sua volta,
chiedeva disapplicarsi l'evocata normativa per manifesta
illegittimità, chiedendo altresì l'emissione di ordinanza
provvisoria di rilascio.
I Tribunali di Salerno, Palermo, Firenze, Genova e Roma hanno
sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3,
commi 8 e 9, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23
(Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), nella
parte in cui prevedono un meccanismo di sostituzione sanzionatoria
della durata del contratto di locazione per uso abitativo e di
commisurazione del relativo canone in caso di mancata registrazione
del contratto entro il termine di legge, nonché l'estensione di
tale disciplina - e di quella relativa alla nullità dei contratti
di locazione non registrati - anche alle ipotesi di contratti di
locazione registrati nei quali sia stato indicato un importo
inferiore a quello effettivo, o di contratti di comodato fittizio
registrati.
Entrando nel dettaglio, l'
art. 3, comma 8 del D.Lgs. n.
23/2011 stabilisce che, per i contratti di locazione di
immobili ad uso abitativo i quali, "ricorrendone i presupposti, non
sono registrati entro il termine stabilito dalla legge", la
disciplina convenzionalmente stabilita dalle parti subisce
significative modificazioni. Infatti, la durata della locazione
viene fissata in quattro anni, a decorrere dalla data di
registrazione, volontaria o d'ufficio; al relativo rinnovo si
applica, poi, la disciplina prevista dall'art. 2, comma 1, della
legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Disciplina delle locazioni e del
rilascio degli immobili adibiti ad uso abitativo), per la quale il
contratto di locazione viene rinnovato per un periodo di quattro
anni, fatti salvi alcuni casi specifici; il canone annuo, infine, a
decorrere dalla data della registrazione del contratto, viene
fissato, salvo che le parti abbiano pattuito un canone di importo
inferiore, in misura pari al triplo della rendita catastale, oltre
l'adeguamento, dal secondo anno, pari al 75% dell'aumento degli
indici ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli impiegati
ed operai.
L'
art. 3, comma 9 del D.Lgs. n. 23/2011, a sua volta,
stabilisce che queste disposizioni - oltre a quelle previste
dall'art. 1, comma 346, della legge 30 dicembre 2004, n. 311
(Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2005), che sancisce la nullità dei
contratti di locazione non registrati - si applicano anche nei casi
in cui:
a) nel contratto di locazione registrato sia stato indicato un
importo inferiore a quello effettivo;
b) sia stato registrato un contratto di comodato fittizio.
Tale disciplina risulterebbe in contrasto, anzitutto, con gli artt.
70 e 76 Cost., in riferimento agli artt. 2, comma 2, 11, 12, 13,
21, 25 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in
materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119
della Costituzione), nonché in relazione anche agli artt. 6, comma
2, e 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni
in materia di statuto dei diritti del contribuente).
La citata legge di delega n. 42/2009, infatti, non soltanto non
avrebbe introdotto principi alla stregua dei quali consentire
l'introduzione delle disposizioni oggetto di censura, ma avrebbe
previsto, all'art. 2, comma 2, lettera c), che il legislatore
delegato si attenesse ai principi sanciti dallo statuto dei diritti
del contribuente, di cui alla citata legge n. 212/2000: statuto il
cui art. 10 stabilisce che "le violazioni di disposizioni di
rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di
nullità del contratto"; mentre l'art. 6 prevede che
l'amministrazione finanziaria informi "il contribuente di ogni
fatto o circostanza a sua conoscenza, dai quali possa derivare il
mancato riconoscimento di un credito o l'irrogazione di una
sanzione".
I giudici della Corte Costituzionale hanno, dunque, dichiarato
l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3, commi 8 e 9, del
decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia
di federalismo Fiscale Municipale).
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