Pericolosità e Prevenzione sismica

09/09/2014

L'Italia, come tutti sappiamo, è un paese sismicamente molto "pericoloso". Nel territorio italiano sono state ricostruite dall'INGV (Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia) ben 36 diverse zone sismogenetiche. Sul nostro territorio vi è diffusa presenza di faglie attive da cui periodicamente si originano sismi a cinematica sia compressiva, che distensiva che trascorrente.

Da esse, statisticamente, si originano infatti circa 2000 terremoti l'anno aventi magnitudo superiore ai 2.5 gradi Richter di cui almeno un evento all'anno, sempre statisticamente, è sopra la soglia del danno significativo, compreso quindi tra 5 e 6 gradi ed uno ogni 10-20 anni è gravissimo, tra 6 e 7 gradi Richter. La faccenda dunque è assolutamente seria.

La pericolosità sismica italiana è molto forte soprattutto nei territori appenninici ma anche nelle altre zone, ed è causata essenzialmente dalla particolare posizione geostrutturale della nostra penisola, collocata in pieno nelle zone orogenetiche attuali tra le superplacche africana ed euroasiatica; dalla sua relativa "giovinezza" geologica e morfologica; dalla sua diffusa "fragilità" litologica per la grande presenza, in appennino, di sedimenti terrigeni spesso caoticizzati dalla loro travagliata genesi ed in pianura da sedimenti spesso soffici e in falda.
Tutto ciò costituisce un brodo di coltura micidiale da cui derivano diffuse, intense e difformi amplificazioni locali dell'input sismico, oltre che fenomeni di instabilità locale durante le fasi cosismiche, quali frane e liquefazioni. Osserviamo abitualmente infatti, in occasione dei sismi intensi, forti differenze negli effetti di danno sull'edificato, tra zona e zona di uno stesso agglomerato urbano, pur con edifici comparabili dal punto di vista delle strutture portanti. Gli studi e le applicazioni geologiche finalizzate alla definizione puntuale delle pericolosità sismica di sito è quindi uno dei settori di ricerca da incentivare al massimo.
Se a questo aggiungiamo l'alta vulnerabilità sismica da cui è caratterizzata una significativa percentuale dell'edificato esistente in Italia, sia pubblico che privato, risulta che ancora oggi ogni evento sismico di una certa intensità determina nuovi lutti e danni enormi, anche quando trattasi di eventi che, per la loro magnitudo, dovrebbero determinare effetti molto più ridotti.
L'Aquila 2009 e l'Emilia 2012 hanno purtroppo, ultime in ordine di tempo, ancora una volta confermato tutto ciò.
Ma va detto che tale vulnerabilità è soprattutto frutto di politiche inefficaci, che hanno preferito investire enormi risorse in un più comodo intervento post-disastro a quello poco costoso, ma difficile e poco pagante dal punto di vista del consenso elettorale, dello studio e dell'analisi geosismica preventiva e del coerente governo dello sviluppo edilizio/urbanistico dei territori.
Ciò ha determinato, dal solo 1968 ad oggi, circa 5000 vittime e 500.000 senza tetto (Belice '68, Friuli '76, Irpinia '80, Marche-Umbria '97, Molise-Puglia 2002, Aquila 2009, Emilia 2012), con una connessa spesa pubblica per l'emergenza e la post-emergenza pari a oltre 150 miliardi di euro in soli 40 anni. Di contro, in prevenzione sismica, lo stato ha inteso investire "solo" circa 300 milioni dall'86 al 2003, e 750 milioni dal 2003 al 2010, soprattutto per adeguare edifici pubblici.
Solo dopo il sisma dell'Aquila, con la legge 77/2009 vi è stata una prima inversione di tendenza, con previsione di un fondo di circa 960 milioni da investire fino al 2016 che in parte, seppur modesta, è destinato a valide ed innovative azioni di prevenzione, perché si investe anche in studi di Microzonazione Sismica (MS) e dell'analisi della Condizione Limite per l'Emergenza (CLE). La MS, svolta applicando indirizzi e criteri unitari sull'intero territorio nazionale, è finalizzata a conoscere con il dettaglio della scala urbana la pericolosità sismica locale e la CLE è finalizzata ad analizzare il sistema di gestione dell'emergenza. Il tutto in coordinazione tra Dipartimento Protezione Civile e Regioni.

Dal 2011 ad oggi, con le prime tre annualità di tale fondo, sono state programmate Microzonazioni Sismiche, soprattutto di primo livello, per 1660 comuni, di cui circa 500 già eseguite e validate. È chiaro che questo è solo un inizio, considerando i circa 4900 comuni italiani classificati a più alta sismicità (Zone sismiche 1-2-3) e tenendo presente che sarebbe necessario giungere alla microzonazione di 2 e 3 livello di tutti i suddetti comuni classificati sismici. Ed infatti dei circa 51 milioni di italiani che vivono in tali zone sismiche - di cui 26 milioni in zone ad altissimo rischio (Zone 1 e 2) e altri 25 milioni in zone a medio rischio (Zona 3) - attualmente solo il 5% circa vive in zone già microzonate.

Entrando più nel merito, le prime analisi statistiche sui risultati delle microzonazioni eseguite confermano puntualmente che la quasi totalità dei territori italiani, per loro costituzione geologica e morfologica, è realmente predisposta a dare, in occasione dei sismi intensi, amplificazioni sismiche locali e diffusi fenomeni di instabilità locale, quali frane e liquefazioni.

Infatti su 761 Kmq di località abitate su cui si sono svolti gli studi di MS, solo il 5% circa potenzialmente non presenta fenomeni di amplificazione locale, mentre l'83% presenta potenziali amplificazioni più o meno forti ed il restante 12% amplificazioni e contemporaneamente fenomeni di instabilità cosismiche, quali, appunto, frane e/o liquefazioni e cedimenti.

Oggi dunque iniziamo ad aver finalmente su larga scala, quella nazionale, e con buona sicurezza statistica, la prova provata di quanto i geologi predicano da tempo, ovvero che la grande vulnerabilità sismica italiana deriva solo in parte da carenze costruttive (edificato vecchio e sismicamente debole, a volte frutto di abusivismo e/o pressappochismo costruttivo). Essa infatti deriva anche da progettazioni basate su norme sismiche che, nel tempo, hanno sempre fatto riferimento a classificazioni sismiche di arcaica concezione, in quanto sempre fondate su macrozonazioni a volte già vecchie e inadeguate al momento della loro emanazione per un determinato territorio, e che non hanno mai ben considerato l'approccio locale, delle condizioni geologico-sismiche del singolo territorio e del singolo sito su cui si progettava l'opera.

Anche le attuali norme sismiche, per quanto cerchino, nelle progettazioni, di "calmierare" le incertezze della classificazione sismica con dei correttivi più o meno empirici associati ad opinabili "categorie di sottosuolo", sono forse da ripensare.

È forse, dunque, arrivato il momento di iniziare a pensare a nuove forme, più moderne, analitiche e "locali", di classificazione sismica dei territori italiani.
È arrivato il momento di portare avanti una nuova e moderna prevenzione con lo sviluppo ed il successivo recepimento - nella pianificazione urbanistica, nei piani comunali di protezione civile, nei piani di ricostruzione per le zone colpite dai sismi, nelle norme sismiche - di microzonazioni sismiche sempre più di dettaglio e quindi di livello elevato, e di analisi di risposta sismica locale per i singoli interventi. Per questo occorrono grande consapevolezza, perseveranza, risorse economiche adeguate e molta più geologia sismica locale.

Su tutto ciò il Consiglio Nazionale Geologi cercherà di fare il punto e stimolare le più opportune riflessioni nel Convegno Nazionale sulla salvaguardia dal rischio sismico che si terrà a San Benedetto del Tronto l' 11/12 settembre 2014.

Giovanni Calcagnì - Consigliere del Consiglio Nazionale dei Geologi

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