Il
Consiglio di Stato con la
sentenza n. 692 depositata
il 10 febbraio 2015 fornisce un’interpretazione dell’articolo
263 del Regolamento n. 207/2010 recante “requisiti di
partecipazione” (Regolamento di attuazione del Codice dei
contratti) nel senso che i servizi di progettazione resi per una
gara in project financing devono essere equiparati a quelli svolti
per un committente privato.
Tutto nasce per il ricorso proposto davanti al TAR della seconda
classificata nella procedura selettiva indetta per l’affidamento
della concessione per la redazione della progettazione esecutiva,
la realizzazione dei lavori di costruzione e, infine, la gestione
di una nuova palestra polifunzionale che impugnava la
determinazione di aggiudicazione definitiva della commessa.
Il secondo classificato aveva impugnato l’aggiudicazione lamentando
che la procedura indicata dal vincitore non si era mai conclusa e i
progetti non erano stati approvati dal committente. A suo avviso,
infatti, l’articolo 263 del Regolamento Attuativo del Codice
Appalti prevede che il progetto debba essere approvato per poter
essere utilizzato come credenziale in una gara successiva. In
pratica il secondo classificato avrebbe eccepito, tra l’altro che
nell’aggiudicazione era stato violato l’articolo 263 del
regolamento n. 207/2010 in quanto il raggruppamento tra progettisti
aggiudicatario del servizio non avrebbe posseduto i requisiti
minimi di capacità tecnica richiesti in relazione alla “parte
servizi” perché
i servizi stessi non sarebbero stati mai
approvati dalla stazione appaltante.
Il
TAR Veneto Sez. I, con la sentenza n.1195/2014 aveva
respinto il ricorso della seconda classificata ed, ora, il
Consiglio di Stato precisa che
sono manifestamente infondate
le contestazioni mosse con l’appello avverso i capi della
sentenza.
In pratica, il Giudici di Palazzo Spada hanno precisato che, tra
l’altro, la doglianza della seconda classificata attiene ad una
violazione dell’art. 263 del d.P.R. n. 207 del 2010,
scaturente dal fatto che il sub-raggruppamento tra progettisti,
indicato dall’aggiudicataria ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. n.
163/2006, non possiederebbe i requisiti minimi di capacità tecnica
richiesti in relazione alla componente servizi della commessa.
La carenza dei requisiti tecnici dei progettisti indicati dal
raggruppamento controinteressato deriverebbe dal fatto che per
entrambe le procedure di
project financing da essi allegate
ci si troverebbe di fronte a servizi di progettazione mai
approvati, né tanto meno dichiarati di pubblico interesse dalle
stazioni appaltanti, e, pertanto, in casi di servizi non “
fatti
propri” dall’Amministrazione, come invece richiesto dall’art.
263 del d.P.R. 207/2010.
Nella sentenza i giudici precisano che rispetto a progetti svolti
per committenti privati la norma è testuale nel riconoscere che
l’operatore economico possa di regola limitarsi a dichiarare la
buona e regolare esecuzione dei servizi da esso prestati, fermo poi
il suo onere di fornire, dietro richiesta della Stazione
appaltante, la prova dell'avvenuta esecuzione degli stessi servizi
attraverso “
gli atti autorizzativi o concessori, ovvero il
certificato di collaudo, inerenti il lavoro per il quale è stata
svolta la prestazione, ovvero tramite copia del contratto e delle
fatture relative alla prestazione medesima.”
La possibilità che la prova dell'avvenuta esecuzione dei servizi in
questione possa essere raggiunta anche attraverso una semplice
“copia del contratto e delle fatture relative alla prestazione
medesima”, e nulla più di ciò, impone di riconoscere che anche per
i progetti di committenza privata valga la regola per cui ai fini
del riconoscimento dei servizi stessi “Non rileva … la mancata
realizzazione dei lavori … relativi”, dal momento che
dell’esecuzione effettiva di tali lavori non è affatto preteso che
venga data dimostrazione (che non verrebbe, del resto, nemmeno
dalla produzione -pure reputata sufficiente dalla norma- degli
“atti autorizzativi o concessori”).
In allegato la copia della sentenza del Consiglio di
Stato
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