La notizia dell’approvazione del programma operativo del
Piano
Banda larga (CIPE 6 agosto 2015) è stata accolta tiepidamente
soprattutto dai tecnici che da tanti anni attendono una maggiore
attenzione da parte del Governo verso temi che riguardano
l’edilizia scolastica e ancor più le misure a contrasto del
dissesto idrogeologico.
I commenti sono stati abbastanza unanimi nel constatare la volontà
del Governo a non voler affrontare in modo deciso uno dei problemi
più gravi dei Paese, mentre si prevedono addirittura 2,2 miliardi
subito per far partire immediatamente la fase attuativa del Piano
Banda larga e 2,7 miliardi con altri provvedimenti normativi.
Ho chiesto un commento al Presidente del Consiglio Nazionale degli
Ingegneri
Armando Zambrano per sapere come mai si riescono a
impiegare ben 4,9 miliardi di euro per la banda larga mentre ogni
volta che si parla di dissesto idrogeologico, rischio sismico e
scuole si contano solo le briciole.
”Il ritardo accumulato dall'Italia nel campo delle
infrastrutture digitali è ormai imbarazzante -
ha
commentato il Presidente Zambrano -
E non tanto per quanto
riguarda i comuni cittadini (la cui propensione all'utilizzo delle
tecnologie dell'informazione è in linea con i quello delle economie
più avanzate) ma soprattutto per ciò che concerne il sistema
imprenditoriale e la pubblica amministrazione; le imprese italiane
sono quelle che hanno meno sviluppato l'e-commerce, mentre la
nostra pubblica amministrazione non riesce ancora a utilizzare uno
strumento come la PEC, che è stato imposto come obbligo a tutti i
professionisti”.
”Per questo motivo - ha continuato il leader del CNI -
il piano del Governo per la banda "ultra larga" va nella
giusta direzione, che è quella di dotare il paese di una
infrastruttura necessaria per poter competere alla pari con le
economie più sviluppate del mondo”.
Il quadro storico
”La decisione del Governo deve, però, essere inquadrata in una
prospettiva storica. Già nel 1995 la Telecom, allora azienda
pubblica, aveva avviato il piano SOCRATE, che prevedeva il
cablaggio di gran parte del paese, per un investimento di circa
13.000 miliardi di lire (poco più di 6,7 miliardi di euro); questo
piano fu effettivamente avviato, con una spesa di 5.000 miliardi di
lire (circa 2,6 miliari di euro), per poi essere abbandonato nel
1999 ed essere sostituito dalla tecnologia dell'ADSL, che si basa
sull'utilizzo del doppino di rame esistente. La successiva
privatizzazione di Telecom, ha di fatto bloccato ogni investimento
infrastrutturale in questo campo; i soci privati di Telecom che si
sono avvicendati negli anni hanno sempre badato a "creare valore"
per gli azionisti (cioè per se stessi) piuttosto che a dotare il
Paese di quelle infrastrutture necessarie a poter competere in uno
scenario che si andava connaturando per la centralità delle
tecnologie dell'informazione”.
”La privatizzazione della Telecom - ha concluso Zambrano -
è il classico esempio di "privatizzazione dei profitti e di
pubblicizzazione degli investimenti"; dopo 20 anni di totale
immobilismo, è infatti ancora una volta il pubblico (cioè tutti
noi) a farsi carico degli oneri derivanti da investimenti non più
procrastinabili, il cui importo (4,9 miliardi di euro) non si
discosta molto da quello del vecchio piano SOCRATE. Sul lato del
rischio idrogeologico, questo Governo qualche passo in avanti l'ha
fatto, per uscire da quella logica "dell'emergenza" che fa comodo a
troppi. L'unità di missione sul rischio idrogeologico ha posto in
essere un piano di investimenti per circa 7 miliardi di euro
nell'arco di 7 anni; lontani dai circa 30 miliardi che
necessiterebbero per mettere in sicurezza tutto il nostro paese, ma
comunque tanti dopo anni di totale immobilismo. Se si riuscisse a
coinvolgere in questo sforzo i privati cittadini, con politiche di
incentivazione come quelle adottate per la ristrutturazione del
patrimonio edilizio e per l'efficienza energetica, l'obiettivo di
un paese libero dal rischio idrogeologico potrebbe essere alla
nostra portata nell'arco di 10-15 anni”.
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