Come già Papa Giovanni Paolo II aveva commentato, la tecnologia non
deve essere arrestata, ma attenzione a non valicare mai i limiti di
moralità e legalità.
Diceva, infatti, nel lontano marzo 2002: “internet non è una
minaccia ma una sfida da raccogliere con fantasia, creatività e
entusiasmo”, e ancora “internet, nuovo profeta per la parola di
Dio”.
Facile a dirsi, difficile da attuarsi: dove sta effettivamente tale
limite?
Fin dove la soggettività può muoversi e dove, invece, deve
arrestarsi per porre un chiaro accento allo stop?
Ecco, quindi, che sorge il problema di difficile soluzione.
E' quanto accaduto al nuovo servizio di mappe interattive
“Street view” di Google, un servizio apparentemente valido
che, invece, viene accusato di valicare la soglia della
privacy.
Il servizio è attualmente disponibile a San Francisco, New York,
Las Vegas, Miami e Denver e attraverso il browser è possibile
“camminare” per le vie della città... con non pochi dettagli!
Una donna dell'Okland, infatti, curiosando all'interno del
servizio, ha provato ad immettere l'indirizzo della sua residenza e
con estrema sorpresa non soltanto ha riconosciuto perfettamente
l'immagine del fabbricato dove abitava, ma spostandosi con lo zoom
è arrivata a visualizzare una finestra al secondo piano che
inquadrava il suo gatto in dolce sonno!
Ecco, così, che la tecnologia si spinge oltre il limite.
La redazione di Google ha dichiarato di essere perfettamente a
conoscenza delle possibili implicazioni che questo servizio può
avere: è inevitabile la considerazione sul limite della privacy ed
è certo che questo servizio farà scalpore.
“Street view”, fanno sapere dalla società, “mostra solamente
immagini che chiunque potrebbe osservare passeggiando per le
strade”; ed è possibile, inoltre, richiedere la cancellazione di
una foto perché non condivisa.
Ma cosa è effettivamente “privacy”?
Termine di chiara derivazione anglosassone, universalmente
riconosciuto in altre lingue, tende a significare “sensibilità”,
“attenzione”, “precauzione”, tutti termini la cui soggettività è il
nucleo della parola stessa.
La direttiva 95/46/CE interpreta questo senso di soggettività:
anche il servizio di Google, quindi, deve sottostare a questa norma
ed in un'apposita comunicazione inviata alla società, il comitato
europeo dei garanti della privacy, ha ribadito proprio questo
concetto.
E la prima ed essenziale accortezza, deve essere il tempo limite di
permanenza dei cookie nei computer. Non si può considerare 30 anni
(tempo attuale), un tempo “strettamente necessario” per la
fornitura del servizio: tale tempo non soddisfa i “requisiti della
legislazione europea sulla protezione dei dati”.
Google non ha alcun interesse a ledere i principi della privacy; il
fatto principale, però, è che non intende arrestare la sua corsa
verso il futuro.
La strada, quindi, si fa sempre più tortuosa.
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