11/05/2017
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 1484 del 30 marzo 2017 ha definito in maniera puntuale la differenza tra variazioni essenziali e varianti. I giudici di Palazzo Spada nella sentenza in argomento relativa alla realizzazione di un lucernaio al posto di due aperture minori hanno precisato che “La disciplina sanzionatoria degli abusi nelle costruzioni contempla tre fattispecie ordinate secondo la gravità dell’abuso:
Relativamente al primo caso con l’articolo 31 del TUE sono disciplinati gli abusi più gravemente sanzionati che possono essere così riassunti:
Per quanto concerne il secondo caso relativo all’ipotesi intermedia di variazioni essenziali dal titolo edilizio, l’articolo 32 del TUE regola il caso dell’esecuzione di opere in “variazione essenziale” rispetto al progetto approvato. Tale tipo di abuso è parificato, quanto alle conseguenze, al caso di mancanza di permesso di costruire e di difformità totale, salvo che per gli effetti penali. La determinazione dei casi di variazione essenziale è affidata alle regioni nel rispetto di alcuni criteri di massima. In particolare, ai sensi dell’articolo 32, comma 1, del TUE, è possibile parlare di variazione essenziale esclusivamente in presenza di una o più delle seguenti condizioni:
Il Consiglio di Stato precisa che il concetto di variazione essenziale va distinto dalle “varianti” che invece riguardano la richiesta di una variazione del titolo autorizzativo (art. 22, comma 2, del TUE). Mentre le varianti in senso proprio, ovvero le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare ed accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all'originario permesso a costruire, le varianti essenziali, ovvero quelle caratterizzate da incompatibilità quali-quantitativa con il progetto edificatorio originario rispetto ai parametri indicati dall'art. 32 del d. P.R. n. 380 del 2001, sono soggette al rilascio di permesso a costruire del tutto nuovo ed autonomo rispetto a quello originario e per il quale valgono le disposizioni vigenti al momento di realizzazione della variante (cfr. Cassazione penale, sez. III, 27 febbraio 2014, n. 34099).
Relativamente al terzo caso della parziale difformità dal permesso di costruire i giudici di Palazzo Spada, nella sentenza in argomento, precisano che il caso della difformità parziale dal permesso di costruire per le nuove costruzioni è invece previsto e regolato dall’articolo 34 del TUE. Nel dettaglio il concetto di parziale difformità presuppone che un determinato intervento costruttivo, pur se contemplato dal titolo autorizzatorio rilasciato dall’autorità amministrativa, venga realizzato secondo modalità diverse da quelle previste e autorizzate a livello progettuale. In base alla norma infatti, mentre si è in presenza di difformità totale del manufatto o di variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, quando i lavori riguardino un’opera diversa da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera.
Per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, va senz’altro disposta la demolizione delle opere abusive; per gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire, la legge prevede la demolizione, a meno che, non potendo essa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, debba essere applicata una sanzione pecuniaria.
Il campo di applicazione dell’articolo 34 del TUE è stato modificato dall’articolo 5, comma 2, lettera a), numero 5), del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106 e nel dettaglio l’assenza di una compiuta definizione della categoria dei lavori ed interventi eseguiti in parziale difformità ha indotto il legislatore a fissare una soglia di rilevanza minima delle variazioni non costituenti illecito edilizio. Si tratta di quegli scostamenti dai parametri autorizzati di misura talmente contenuta da non potere essere considerati un illecito edilizio. Per questo è stata introdotta una soglia minima di rilevanza delle difformità parziali, che è esclusa «in presenza di violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta che non eccedano per singola unità immobiliare il 2 per cento delle misure progettuali».
In allegato la sentenza del Consiglio di Stato.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it