Equo compenso per prestazioni professionali: per l'Antitrust viola i principi concorrenziali

29/11/2017

Per l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato le norme che introducono l'equo compenso inserite all'interno del decreto fiscale violano e ostacolano i principi della concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali.

Questo, in sintesi, il contenuto della segnalazione AS1452 inviata il 22 novembre 2017 dall'AGCM ai Presidenti di Senato, Camera e Consiglio dei Ministri, avente ad oggetto alcune disposizioni previste nel D.L. n. 148/2017 e nel DDL AC 4741 di conversione dello stesso, recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili. Modifica alla disciplina dell’estinzione del reato per condotte riparatorie” (c.d. decreto fiscale).

Secondo l'Antitrust, la disciplina in questione introduce il principio generale per cui le clausole contrattuali tra professionisti e i clienti che fissino un compenso a livello inferiore dei valori previsti nei parametri individuati dai decreti ministeriali sarebbero da considerare vessatorie e quindi nulle. Questo perché la norma, nella misura in cui collega l’equità del compenso ai paramenti tariffari contenuti nei decreti anzidetti, reintroduce di fatto i minimi tariffari, con l’effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti nelle relazioni commerciali alcune tipologie di clienti. Se da un lato è vero, infatti, che verrebbe introdotta una nullità di protezione, azionabile esclusivamente dal professionista, dall’altro è altamente improbabile che i clienti accettino la fissazione di un compenso a livelli inferiori assumendosi, così, il rischio di vedersi contestare in corso d’opera o anche successivamente il mancato rispetto del principio dell’equità.

Con riferimento alla pubblica amministrazione, la norma prevede che la PA è tenuta a garantire "il principio dell'equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo l'entrata in vigore della presente legge". È dunque preclusa alla PA la possibilità di accettare prestazioni con compensi inferiori a quelli fissati nei decreti ministeriali. In definitiva, tramite la disposizione in esame viene sottratta alla libera contrattazione tra le parti la determinazione del compenso dei professionisti (ancorché solo con riferimento a determinate categorie di clienti).

L’Autorità ha sottolineato come, secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, le tariffe professionali fisse e minime costituiscano una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione. Tale intervento, laddove approvato nei termini proposti, determinerebbe un’ingiustificata inversione di tendenza rispetto all’importante e impegnativo processo di liberalizzazione delle professioni in atto da oltre un decennio e a favore del quale l’Autorità si è costantemente pronunciata, né risponde ai principi di proporzionalità concorrenziale. Inoltre, eventuali criticità connesse all’elevato potere di domanda potrebbero essere affrontate attraverso un migliore utilizzo delle opportunità offerte da nuovi modelli organizzativi o dalle misure recentemente introdotte dal Jobs Act per tutelare i lavoratori autonomi in situazioni di squilibrio contrattuale e non tramite la misura in questione, che avrebbe l’unico effetto di alterare il corretto funzionamento delle dinamiche di mercato e l’efficiente allocazione delle risorse.

In allegato il testo della segnalazione.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it



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