Cambio di destinazione d'uso: quando serve il permesso di costruire e quando la SCIA?

29/11/2018

Come già confermato anche dalla Suprema Corte di Cassazione (leggi articolo), il cambio di destinazione d'uso di un immobile urbanisticamente rilevante, e quindi tra categorie edilizie diverse, è soggetto all’ottenimento di un titolo edilizio abilitativo (permesso di costruire).

Lo ha ribadito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 6562 del 20 novembre 2018 con la quale ha accolto il ricorso presentato per l'annullamento di una decisione di primo grado concernente ingiunzione di demolizione e ripristino della destinazione d'uso.

I fatti

Il caso specie riguarda i lavori di ristrutturazione di un immobile per il quale il Comune aveva emesso un provvedimento di immediata sospensione dei lavori, seguito da un’ingiunzione di ripristino della destinazione d'uso, entrambi sul rilievo che sarebbe stata mutata la destinazione dell'immobile da unità abitativa a studio medico polispecialistico. Era quindi proposto ricorso al TAR per l’annullamento di entrambi i provvedimenti, impugnandosi contestualmente anche l'art. 25, comma 15 NTA del nuovo Piano Regolatore Generale nella parte in cui, nella zona interessata, limita al seminterrato ed al piano terra e al mezzanino la possibilità di modificare la destinazione d'uso da abitazione ad altre funzioni.

La sentenza del Consiglio di Stato

Dopo una complessa e articolata ricostruzione normativa, i giudici di Palazzo Spada hanno escluso che, come affermato dalla giurisprudenza più risalente, il cambio d'uso da abitazione ad ufficio, anche se eseguito senza opere, non sia mai soggetto a permesso di costruire, e ciò anche perché un immobile destinato ad attività professionale presuppone un traffico di persone e la necessità di servizi e, quindi, di "carico urbanistico" superiore a quello di una semplice abitazione.

Pertanto, il mutamento di destinazione d'uso di un immobile deve considerarsi urbanisticamente rilevante e, come tale, soggetto di per sé all’ottenimento di un titolo edilizio abilitativo, con l’ovvia conseguenza che il mutamento non autorizzato della destinazione d'uso che alteri il carico urbanistico, integra una situazione di illiceità a vario titolo, che può e anzi deve essere rilevata dall'Amministrazione nell'esercizio del suo potere di vigilanza.

Soltanto il cambio di destinazione d'uso fra categorie edilizie omogenee non necessita di permesso di costruire (in quanto non incidente sul carico urbanistico) mentre, allorché lo stesso intervenga tra categorie edilizie funzionalmente autonome e non omogenee, integra una vera e propria modificazione edilizia con incidenza sul carico urbanistico, con conseguente necessità di un previo permesso di costruire, senza che rilevi l’avvenuta esecuzione di opere.

Dunque, il mutamento di destinazione d'uso di un fabbricato che determini, dal punto di vista urbanistico, il passaggio tra diverse categorie in rapporto di reciproca autonomia funzionale, comporta inevitabilmente un differente carico ed un maggiore impatto urbanistico, anche se nell’ambito di zone territoriali omogenee, da valutare in relazione ai servizi e agli standard ivi esistenti.

Ciò premesso, nel caso di specie occorre considerare che il cambio di destinazione, anche se abusivo, avrebbe dovuto essere assoggettato alla specifica disciplina sanzionatoria in vigore al momento della sua realizzazione. L’eventuale illecito avrebbe potuto tutt’al più essere circoscritto, ai fini sanzionatori, alla diversa e più lieve ipotesi dell’avvenuta collocazione dei locali adibiti a studio medico ai piani superiori, rispetto a quelli espressamente consentiti dallo strumento urbanistico, e ciò senza ovviamente pervenire alla più drastica sanzione della demolizione, ritenuta a torto legittima. L’appello è stato dunque accolto, con la riforma della sentenza appellata e l’annullamento degli atti impugnati.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it



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