04/12/2018
In Italia accadono spesso situazioni al limite dell'assurdo, soprattutto per chi si avventura nel mondo delle partite iva provando a fare impresa. Ciò che qualsiasi imprenditore, che non sia un avventuriero, fa prima di imbarcarsi in un progetto, è quello di verificare, attraverso un business plan, l'economicità delle sue idee. Fatto questo si scontra con delle problematiche che probabilmente mette nelle sue variabili all'inizio del progetto: una burocrazia asfissiante, pagamenti incerti, ritardi, concorrenza...
Ciò che però non si sognerebbe mai di prevedere è un cambio delle regole del gioco. Immaginate per un attimo di avere in mente di produrre un prodotto per il quale sapete già di avere un cliente disposto a pagare una cifra. Fatto un contratto con il cliente in cui vengono definiti i suoi impegni in termini di tempistiche e importi, cominciate ad assumere personale, contattare le banche per eventuali prestiti, comprare materie prime e infine mettere in produzione il prodotto. Ad un certo punto il cliente se ne pente e vi dice che è disponibile ad acquistare il prodotto ma ad una cifra inferiore e spalmando il totale su un orizzonte temporale superiore.
Facendo le dovute proporzioni, è quello che è successo in Italia ai produttori di energia elettrica da conversione fotovoltaica con la pubblicazione del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (c.d. "Spalma Incentivi"), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116. Un decreto che ha previsto (art. 26, commi 2 e 3), che ha previsto in corsa la riduzione delle tariffe incentivanti previste dal Decreto Legislativo 29 dicembre 2003, n. 387 recante "Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità" e la loro rimodulazione su un orizzonte temporale maggiore. La giustificazione del Governo ha riguardato la necessità di ottimizzare la gestione dei tempi di raccolta ed erogazione degli incentivi e favorire una migliore sostenibilità nella politica di supporto alle energie rinnovabili.
A questo cambio in corsa è seguito un ricorso al TAR del Lazio che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, del D.L. n. 91/2014 innanzi alla Corte costituzionale italiana, la quale con sentenza n. 16/2017 l’ha dichiarata non fondata.
A questo è seguito un nuovo ricorso al TAR per l’annullamento dei decreti ministeriali del 16 e del 17 ottobre 2014 con cui è stata data attuazione all’art. 26, commi 2 e 3, D.L. n. 91/2014. Le associazioni e imprese ricorrenti hanno sollevato la problematica relativa al fatto che la disposizione avrebbe inciso negativamente su rapporti in corso, già definiti dai rispettivi provvedimenti di concessione e dalle relative convenzioni stipulate con il Gestore pubblico, venendo pertanto a ledere in modo consistente l’affidamento degli operatori. Secondo i ricorrenti "la rimodulazione degli incentivi, imposta per legge, costituisce infatti una variazione in pejus degli incentivi a suo tempo riconosciuti dall’amministrazione per la produzione di energia fotovoltaica".
In questa prospettiva viene dedotta la violazione dei principi comunitari della tutela dell’affidamento e certezza del diritto e della Direttiva 2009/28/CE: la normativa e gli indirizzi europei in materia di fonti rinnovabili precluderebbero infatti al legislatore nazionale di introdurre disposizioni peggiorative in materia di energia elettrica rinnovabile e di regimi di sostegno, in spregio ai principi di tutela dell’affidamento e di certezza del diritto; l’art. 26 d.l. n. 91/2014 sarebbe in contrasto con tali canoni, avendo introdotto misure retroattive tali da sovvertire le condizioni iniziali di investimenti già realizzati, e dovrebbe pertanto essere disapplicato (o, in subordine, rimesso alle valutazioni della Corte di giustizia UE) per contrasto con il diritto primario e derivato dell’Unione europea.
Con Ordinanza n. 11206 del 20 novembre 2018 il TAR per il Lazio ha deciso di sottoporre alla Corte di giustizia il seguente quesito:
“Se il diritto dell’Unione europea osti all’applicazione di
una disposizione nazionale, come quella di cui all’art. 26, commi 2
e 3, del d.l. n. 91/2014, come convertito dalla legge 116/2014, che
riduce ovvero ritarda in modo significativo la corresponsione degli
incentivi già concessi per legge e definiti in base ad apposite
convenzioni sottoscritte dai produttori di energia elettrica da
conversione fotovoltaica con il Gestore dei servizi energetici
s.p.a., società pubblica a tal funzione preposta;
in particolare se tale disposizione nazionale sia compatibile con i
principi generali del diritto dell’Unione europea di legittimo
affidamento, di certezza del diritto, di leale collaborazione ed
effetto utile; con gli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea; con la direttiva n. 2009/28/CE e
con la disciplina dei regimi di sostegno ivi prevista; con l’art.
216, par. 2, TFUE, in particolare in rapporto al Trattato sulla
Carta europea dell’energia”.
Restiamo vigili sull'argomento.
A cura di Redazione LavoriPubblici.it