Legge di Bilancio 2019 e Appalti: nessun ampliamento dell'affidamento diretto

22/01/2019

Come noto, la nuova Legge di Bilancio (Legge n. 145/2018) prevede all’art. 1, comma 912 che “Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2019, le stazioni appaltanti, in deroga all’articolo 36, comma 2, del medesimo codice, possono procedere all’affidamento di lavori di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro mediante affidamento diretto previa consultazione, ove esistenti, di tre operatori economici e mediante le procedure di cui al comma 2, lettera b), del medesimo articolo 36 per i lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro”.

La norma, fin dalla sua prima comparsa nel testo della “manovra” approvato dal Senato, ha suscitato non poche polemiche e perplessità, addirittura “appelli” al Governo perché proceda ad una sua urgente modifica in quanto sarebbe foriero di una minore trasparenza negli affidamenti pubblici e di un aumento dei rischi di illegalità e infiltrazione mafiosa nella gestione degli appalti.

Ma cosa ha veramente introdotto la nuova legge di bilancio? Ha davvero soltanto allargato (recte: innalzato) tout court la soglia in relazione alla quale sono possibili affidamenti diretti oppure ha previsto altro?

Per rispondere a tali quesiti è necessario un approccio giuridico imparziale, ancorato al dettato normativo e svincolato da qualsiasi lettura ideologica della norma.

Ebbene, attuando tale metodo di analisi, appare chiaro come il legislatore, a ben vedere, non abbia affatto semplicemente innalzato la soglia di importo entro la quale possono essere direttamente affidati commesse pubbliche, ma ne ha circoscritto l’operatività anzitutto limitandola, fino al 31 dicembre 2019, ai solo appalti di lavori pubblici con esclusione dunque di tutti gli affidamenti relativi a servizi e forniture. Inoltre, ha previsto altresì che ove le stazioni appaltanti decidano di ricorrere all’affidamento diretto della commessa pubblica, le Amministrazioni debbano consultare previamente almeno tre operatori economici ai fini di una valutazione comparativa delle rispettive offerte in relazione alle specifiche esigenze dichiarate in sede di redazione della determina a contrarre.

Se così è, risulta evidente come lo stesso legislatore abbia impropriamente parlato di affidamento “diretto” che, per quanto sopra rilevato, in termini di stretto diritto, resta tutt’ora praticabile soltanto in relazione agli affidamenti inferiori alla soglia dei 40.000 euro, esattamente come nel passato.

La vera novità introdotta dalla legge di bilancio 2019 non consiste dunque nell’innalzamento della soglia oltre la quale è possibile ricorrere all’affidamento diretto, ma nell’aver previsto una nuova procedura negoziale semplificata per gli appalti di lavori di importo compreso fra i 40.000 e i 150.000 euro.

Così infatti prevede l’art. 36, comma 2 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 ante legge di bilancio: “Per affidamenti di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro per i lavori, o alle soglie di cui all'articolo 35 per le forniture e i servizi, mediante procedura negoziata previa consultazione, ove esistenti, di almeno dieci operatori economici per i lavori”.

La nuova disciplina, dunque, è sostanzialmente identica alla precedente, essendo mutato soltanto il numero minimo di impresa che occorre previamente consultare (tre in luogo di dieci) e il “nome” che è stato dato alla stessa procedura di affidamento, prima chiamata “procedura negoziata” e ora, impropriamente, “affidamento diretto”. Si sottolinea, “impropriamente”, in quanto il precedere obbligatoriamente (e non facoltativamente) alla consultazione di almeno tre operatori economici prima di individuare il miglior contraente, vuol dire di fatto stipulare il contratto a valle di una valutazione comparativa delle offerte e, dunque, per ciò stesso, non direttamente.

E ciò, del resto, è quanto auspicava la stessa ANAC nelle sue linee guida n. 4 recanti “Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici”, ove, al paragrafo 5, prevedeva come la procedura di affidamento per lavori di valore ricompreso fra i 40.0000 euro e i 150.000 euro dopo la determina a contrarre dovesse articolarsi in “tre fasi: a) svolgimento delle indagini di mercato; b) confronto competitivo tra gli operatori economici selezionati e invitati a scelta dell’affidatario; c) stipula del contratto”.

Più che un “regalo” alla criminalità, dunque, la nuova norma ha in effetti evidenziato più che altro una probabile “ingenuità” del legislatore, che ove avesse continuato a definire procedura negoziata ciò che invece ha erroneamente chiamato “affidamento diretto” non avrebbe suscitato sterili e infondate polemiche. Peraltro, chi ha levato gli scudi in una crociata per la legalità e l’anti-corruzione non rammenta che la nuova legge di bilancio lascia intatta la disciplina dell’art. 36, comma 1 in base alla quale l’affidamento di lavori di importo inferiore alla soglia comunitaria debba comunque avvenire nel rispetto dei principi di cui agli art. 30, comma 1, 34 e 42 e cioè nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché di pubblicità secondo le modalità indicate dal Codice.

Merita essere evidenziato, peraltro, come il provvedimento di determina a contrarre, analogamente a tutti i provvedimenti amministrativi soggiacerà in ogni caso all’obbligo di motivazione (cfr. art. 3, comma 1, l. 241/90 ss.mm.ii.), in quanto il codice, anche nella sua versione novellata, non obbliga le pubbliche amministrazioni a ricorrere all’affidamento diretto entro il range di importo 40.000-150.000 (le stazioni appaltanti, in deroga all’articolo 36, comma 2, del medesimo codice, possono procedere…), ma lascia alla loro discrezionalità (tecnica) la scelta se ricorrervi o meno, dovendo in caso affermativo, anzitutto, dare ragione del perché si sia scelta la nuova procedura negoziata (semplificata) in luogo di una procedura negoziale tout court, e, in secondo luogo, dare evidenza del perché (fra quelli invitati) si è scelto proprio quell’operatore economico anziché un altro fra i tre invitati.

Alla luce di tali considerazioni, la norma in esame appare dunque sostanzialmente congrua, da un lato, a liberare risorse per consentire, soprattutto agli Enti locali, di concretizzare più rapidamente nuovi investimenti in opere pubbliche territoriali e, dall’altro, non foriera di automatici abusi o illegalità, comunque pur sempre accertabili in sede giudiziaria.

Per tali ragioni parrebbe opportuno non modificare l’attuale formulazione dell’art. 1, comma 912 della legge di bilancio (n. 145/2018) mediante l’approvazione di alcune proposte emendative presentate in sede di conversione del c.d. decreto legge “Semplificazioni”, aventi l’obiettivo di limitare la portata della norma, se non addirittura di abrogarla del tutto.

Se proprio si vuole limitarne l’operatività, pertanto, un unico correttivo, finalizzato ad assicurare nel breve periodo la concretizzazione di investimenti pubblici territoriali, potrebbe andare nella direzione di rendere ammissibile il ricorso alla nuova procedura negoziale (semplificata) solo qualora sia realmente garantita l’inizio di esecuzione dei lavori entro il 2019 pena la perdita del relativo finanziamento. Non sembrerebbe invece coerente, soprattutto nell’ottica del perseguimento di politiche economiche a sostengo degli investimenti pubblici, limitare il ricorso a procedure semplificate ai soli mini-investimenti locali finanziati dalla stessa legge di bilancio con un fondo di 400 milioni, potendo, oltre gli Enti locali, anche altre stazioni appaltanti utilizzare i nuovi e più veloci strumenti di affidamento (comunque presidiati sul fronte della legalità) ben oltre tale limite.

A cura dell’Avv. Andrea Napoleone



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