Con la decisione n. 719 del 2007, il
Consiglio di giustizia
amministrativa della Sicilia fissa alcun punti fermi in tema di
house providing.
Il fatto alla base dell’analisi riguarda una gara per l'affidamento
del servizio di illuminazione votiva nei cimiteri cittadini nel
comune di Catania per la quale venne assunto un atto d’indirizzo
diretto a revocare il bando ed a procedere all’affidamento del
servizio con il sistema del così detto in house providing o
“affidamento diretto”.
Secondo i giudici la partecipazione di una società in house alla
gara indetta da un ente pubblico diverso da quello che detiene su
di essa il “controllo analogo” può condurre al “venire meno della
sua qualifica di soggetto affidatario diretto” con la conseguenza
della legittimità dell’affidamento.
I giudici osservano che “i requisiti funzionali soddisfatti dal
“controllo analogo” sono sufficienti per qualificare l’impresa
come, sostanzialmente, un braccio operativo della amministrazione,
sotto i due profili sostanziali della supremazia e della proprietà;
essi, però, non sono sufficienti ad impedire la distorsione della
concorrenza nel mercato privato, anzi, paradossalmente, la
aggravano perché permettono, in astratto, che solide imprese
pubbliche, ben governate dagli organi pubblici, acquisite
remunerative commesse pubbliche, si presentino sul mercato privato
in condizioni di forte concorrenza”.
Secondo i giudici, “unitamente agli altri elementi qualificanti,
quali il controllo totalitario della partecipazione (sentenze Stadt
Halle, C-26/03, punti 49 e 52; Comm/Austria, C-29/04, punto 46;
ANAV, C-410/04, punto 32) l’esercizio diretto deve essere
caratterizzato dalla quasi esclusività, quantitativa e qualitativa,
delle attività svolte dall’impresa nei confronti dell’Ente
controllante”.
Continuando nella lettura della decisione: “Più ancora che
l’individuazione di una soglia percentuale necessita un giudizio
pragmatico nel caso concreto che si basi, però, non solo
sull’aspetto quantitativo, ma anche su quello qualitativo. In altri
termini, la natura dei servizi, opere o beni resi al mercato
privato, oltre alla sua esiguità, deve anche dimostrare la quasi
inesistente valenza nella strategia aziendale e nella collocazione
dell’affidatario diretto nel mercato pubblico e privato. Che
un’impresa creata per gestire lo spin off immobiliare di un grande
ente locale come una Provincia, fornisca, saltuariamente, una sola
volta nell’anno, e in quantità irrisoria rispetto al fatturato
pubblico, un servizio di global service ad una grande impresa
privata dello stesso territorio, particolarmente importante sotto
il profilo sociale, potrebbe non violare il principio della
prevalenza. Ma se la stessa operazione, negli stessi limiti
quantitativi, cominciasse ad inserirsi in un piano aziendale di
espansione, anche territoriale, ciò implicherebbe una rilevanza
“qualitativa” della operazione in contrasto con il principio della
prevalenza”.
“Sembra piuttosto evidente che l’impresa controllata da un ente
locale, nel momento in cui partecipa ad una gara fuori territorio,
sia pure bandita da un ente locale analogo a quello che la
controlla (in ipotesi comune e comune) si pone nei confronti del
mercato imprenditoriale locale come concorrente sleale (per i
motivi ampiamente sopra illustrati) e quindi non solo questa sua
espansione può condurre da un lato alla inammissibilità della sua
partecipazione alla gara, fino a che dura il regime di affidamento
diretto nei confronti del suo ente controllante, ma anche al venire
meno della sua qualifica di soggetto “affidatario diretto” (o
soggetto in house come si dice nel gergo comune), sì che delle due
l’una: o l’impresa non partecipa a gare fuori territorio, e
mantiene così il suo status, o vi partecipa, e perde il suo status,
con le ovvie conseguenze nei confronti della legittimità
dell’affidamento diretto già realizzato o da realizzare.”
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