La
Corte costituzionale è recentemente intervenuta con la
sentenza del 24 ottobre 2007, n. 348 per dichiarare
l’
illegittimità costituzionale dell’art. 5-bis, commi 1 e 2,
del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il
risanamento della finanza pubblica) convertito, con modificazioni,
dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, per violazione dell’art. 111
della Costituzione, in relazione alla Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
(CEDU) con la conseguenza dell’illegittimità costituzionale anche
dell'art. 37, commi 1 e 2, del DPR 327/2001 (TU delle
espropriazioni per pubblica utilità) che ne ha riprodotto il
contenuto, in materia di determinazione dell'indennità di esproprio
delle aree edificabili che conduce ad una riduzione di circa il 50
per cento rispetto al valore reale del bene.
Ricordiamo che i citati commi 1 e 2 del DPR 327/2001 dispongono
testualmente:
”1. L'indennità di espropriazione di un'area edificabile è
determinata nella misura pari all'importo, diviso per due e ridotto
nella misura del quaranta per cento, pari alla somma del valore
venale del bene e del reddito dominicale netto, rivalutato ai sensi
degli articoli 24 e seguenti del decreto legislativo 22 dicembre
1986, n. 917, e moltiplicato per dieci.
2. La riduzione di cui al comma 1 non si applica se sia stato
concluso l'accordo di cessione o se esso non sia stato concluso per
fatto non imputabile all'espropriato o perché a questi sia stata
offerta una indennità provvisoria che, attualizzata, risulti
inferiore agli otto decimi di quella determinata in via
definitiva.”
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della norma
in argomento relativamente alla parte in cui, ai fini della
determinazione dell'indennità di espropriazione delle aree
edificabili, è previsto un criterio di calcolo basato sulla media
tra il valore effettivo del bene ed il reddito dominicale
rivalutato. Secondo i giudici, visto che l’indennità risultante da
tale media, oscillerebbe tra il 50% ed il 30% del valore di mercato
del bene ,
il criterio ivi previsto non garantisce un serio
ristoro ai proprietari dei beni espropriati.
Vista, dunque, la dichiarata incostituzionalità delle norme di cui
all’articolo 37, commi 1 e 2 del DPR n. 327/2001, è lecito porsi
quale criterio dovrà essere seguito in attesa dell’emanazione di
una nuova disciplina; la Corte ha osservato che il giudice italiano
non può imporre come giusto indennizzo quello corrispondente al
valore di mercato del bene espropriato, poiché mentre in sede
europea tale criterio è stato più volte considerato l'unico di
regola applicabile, in ambito italiano la Corte costituzionale ha
già ritenuto che
la nozione di “serio ristoro” sia compatibile
con una riduzione del prezzo pieno del bene espropriato, come
sacrificio individuale dovuto alla pubblica utilità.
In definitiva, in caso di disapplicazione delle norme delle quali è
stata dichiarata l’illegittimità costituzionale ed in attesa della
nuova disciplina, dovrà essere individuato un nuovo criterio per la
determinazione dell’indennità di esproprio che, pur non essendo
coincidente con il valore di mercato, sia comunque idoneo ad
assicurare un maggiore importo rispetto a quello derivante
dall'applicazione dei commi 1 e 2 dell'art. 37 del DPR
327/2001.
Con
sentenza, poi,
n. 349 del 24 ottobre 2007, la
Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo anche l’art.
5-bis, comma 7-bis, del decreto legge 333/92, sempre in contrasto
con gli obblighi internazionali (CEDU), perchè non è previsto un
ristoro integrale del danno subito per effetto dell’occupazione
acquisitiva da parte della pubblica amministrazione, corrispondente
al valore di mercato del bene occupato. ”.
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