Con la sentenza dell’11 maggio 2007 il Consiglio di Stato è
tornato ad occuparsi della delicata questione concernente
l’applicabilità del divieto di subappalto alla categoria di
qualificazione OG 11 “Impianti tecnologici”.
Si tratta di una pronuncia importante perché in essa i giudici
ribadiscono, in modo inequivocabile, i due principi fondamentali ai
quali le stazioni appaltanti devono necessariamente attenersi nel
procedimento di valutazione conducente alla scelta di inserire, nel
bando di gara, la clausola relativa al divieto di subappalto per
tale categoria di qualificazione.
Infatti, in primis, viene chiarito che, nel verificare il
superamento della soglia del 15% dell’importo totale dei lavori,
oltre la quale scatta il divieto di subappalto, le amministrazioni
non devono considerare l’importo complessivo della categoria OG 11,
bensì quello delle singole categorie impiantistiche in essa
confluenti.
In secondo luogo, viene precisato che, nel caso in cui la verifica
sopra indicata abbia dato esito positivo, il divieto di subappalto
non può essere inserito nel bando di gara rispetto alla categoria
OG 11 generalmente considerata, dovendo viceversa essere riferito
esclusivamente alla singola categoria specialistica che,
effettivamente, abbia un’incidenza superiore al 15% dell’importo
dell’appalto.
Si tratta, come evidente, di una pronuncia particolarmente
importante in quanto con essa i giudici, ribadendo in modo
inequivocabile principi già enunciati in precedenti decisioni (cfr.
sent. n. 4761/03 e n. 6701/04), hanno fornito un definitivo
chiarimento interpretativo su una questione delicata ed ancora
fortemente attuale, considerato che, a tutt’oggi, non sono
infrequenti i bandi di gara contenenti la generica previsione del
divieto di subappalto per la categoria OG 11, senza alcuna
giustificazione ulteriore.
Tale giustificazione, secondo quanto osservato dai giudici
d’appello, appare invece assolutamente necessaria affinché il
divieto di subappalto per la categoria OG 11 possa ritenersi
correttamente posto.
Infatti, nel caso di specie, il Consiglio di Stato, accogliendo il
ricorso in appello presentato da un’impresa esclusa da una gara in
quanto priva della qualificazione in OG 11, prevista come non
subappaltabile, ha riconosciuto l’illegittimità del divieto di
subappalto, in quanto previsto dall’amministrazione con generico
riferimento alla categoria OG 11 il cui importo, calcolato per
sommatoria degli importi delle opere speciali, risultava superiore
alla soglia del 15% dell’importo dei lavori.
Tale sommatoria, osservano i giudici della VI sezione, non può
essere ammessa in quanto ha l’effetto di determinare un’estensione
generalizzata della portata del divieto di subappalto, che in
quanto tale contrasta sia con i principi comunitari di tutela della
concorrenza, sia con lo spirito della norma nazionale che vuole che
il divieto di subappalto operi per “una o più opere”
superspecializzate.
Ne consegue che costituisce un preciso onere delle amministrazioni
appaltanti che intendano prevedere nei bandi di gara la non
subappaltabilità della categoria OG 11, verificare se le singole
opere speciali in essa rientranti superino o meno, singolarmente
considerate, la soglia del 15%. Nel caso in cui la verifica dia
esito positivo, il divieto dovrà comunque essere circoscritto alla
singola opera impiantistica superiore alla soglia.
La vicenda che ha dato origine alla controversia in esame appare,
peraltro, particolarmente interessante anche sotto un diverso
profilo, concernente il tema dell’efficacia degli atti di rettifica
dei bandi di gara.
Infatti, nel caso di specie, il divieto di subappalto della
categoria OG 11 veniva previsto con un successivo atto di rettifica
del bando originario, in cui la OG 11 risultava invece pienamente
subappaltabile. L’impresa istante, esclusa dalla gara in quanto
priva dell’attestazione SOA nella categoria OG 11, presentava
quindi ricorso alla competente autorità giurisdizionale per
contestare, oltre all’illegittimità del divieto, l’irrilevanza
della rettifica effettuata al bando di gara, non essendo questa
stata fatta con forme di pubblicità identiche a quelle seguite per
la pubblicazione del bando originario.
Il Consiglio di Stato, a differenza del giudice di primo grado (TAR
Piemonte, sent. n. 4002/2005) ha ritenuto l’appello pienamente
fondato anche rispetto a tale profilo di contestazione. Precisano i
giudici, infatti, che il generale principio del contrarius actus,
in forza del quale il ritiro o la modifica di un atto deve avvenire
nelle stesse forme (anche pubblicitarie) dell’atto modificato o
ritirato, trova certamente applicazione anche al campo
dell’autotutela provvedimentale, considerato che il provvedimento
di rettifica e` espressione di una funzione amministrativa di
contenuto identico, seppure di segno opposto, a quella esplicata in
precedenza.
Di conseguenza, affinché possa essere efficacemente adottata una
modifica ad un bando di gara è indispensabile che l’amministrazione
appaltante ponga in essere un procedimento gemello a quello a suo
tempo seguito per l’adozione dell’atto modificato, anche per quel
che concerne le forme di pubblicità. Ciò, infatti, risulta
essenziale al fine di tutelare adeguatamente l’affidamento delle
imprese concorrenti circa il rispetto, da parte
dell’amministrazione, della lex specialis rappresentata dal bando
di gara.
Fonte: www.ance.it
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