La
Corte costituzionale con la recente
sentenza n.
443 depositata il
21 dicembre scorso, in riferimento a
due giudizi di legittimità costituzionale sul decreto-legge 4
luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, promosse dalla Regione
Veneto e dalla Regione Siciliana con due separati ricorsi, ha
dichiarato:
-
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, nel testo
risultante dalle modifiche apportate, in sede di conversione, dalla
legge n. 248 del 2006, promosse dalla Regione Siciliana, in
riferimento agli artt. 3, 114, 117, primo comma, e 120 della
Costituzione;
-
non fondate le questioni di legittimità costituzionale
dell'art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, nel testo
originario ed in quello risultante dalle modifiche apportate, in
sede di conversione, dalla legge n. 248 del 2006, promosse dalla
Regione Veneto e dalla Regione Siciliana, in riferimento all'art.
117, terzo comma, della Costituzione.
Con la sentenza in argomento, il decreto “Bersani” incassa il “Si”
anche dalla Consulta e restano in vigore le norme introdotte dal
decreto stesso relative:
- alla liberalizzazione delle professioni;
- all'abolizione delle tariffe minime;
- alla possibilità di fare pubblicità al proprio studio.
Ricordiamo, anche, che con il decreto “Bersani”è caduto il divieto
di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le
caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni
ed è venuto meno anche il divieto di fornire all'utenza servizi
professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di
persone o associazioni fra professionisti.
I giudici, non hanno ravvisato, quindi, nessuna irregolarità
precisando che con l’articolo 2 del decreto legge n. 223/2006
vengono eliminati i limiti alla concorrenza imposti dalle
precedenti norme e, quindi, rientra nella materia relativa alla
“
tutela della concorrenza”;
materia che appartiene, in
via esclusiva, allo Stato.
In verità, nella sentenza, non mancano cenni ai numerosi input
lanciati dall'Europa nel senso della liberalizzazione delle
professioni e nella stessa viene precisato: “Con particolare
riferimento alle restrizioni alla concorrenza nel settore delle
professioni si deve, infatti, segnalare la Relazione sulla
concorrenza nei servizi professionali presentata dalla Commissione
il 9 febbraio 2004. Il 5 settembre 2005, la Commissione ha
presentato il seguito della suddetta Relazione, in cui si giunge
alla conclusione, tra l'altro, che gli Stati membri dovrebbero
avviare un processo di revisione delle restrizioni esistenti, con
riferimento sia alle tariffe fisse, sia alle limitazioni di
pubblicità. In esito a tale relazione, il Parlamento europeo, il 12
ottobre 2006, ha approvato una risoluzione con la quale, tra
l'altro, si invita la Commissione ad approfondire l'analisi delle
differenze esistenti – in riferimento all'apertura del mercato –
tra le diverse categorie professionali di ciascuno Stato membro, e,
sul presupposto che l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime e il
divieto di pattuire compensi legati al risultato raggiunto
potrebbero costituire un ostacolo alla qualità dei servizi e alla
concorrenza, si invitano gli Stati membri ad adottare misure meno
restrittive e più adeguate rispetto ai principi di non
discriminazione, necessità e proporzionalità.”.
© Riproduzione riservata