SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

28/12/2007

La Corte costituzionale con la recente sentenza n. 443 depositata il 21 dicembre scorso, in riferimento a due giudizi di legittimità costituzionale sul decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 4 agosto 2006, n. 248, promosse dalla Regione Veneto e dalla Regione Siciliana con due separati ricorsi, ha dichiarato:
- inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, nel testo risultante dalle modifiche apportate, in sede di conversione, dalla legge n. 248 del 2006, promosse dalla Regione Siciliana, in riferimento agli artt. 3, 114, 117, primo comma, e 120 della Costituzione;
- non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, nel testo originario ed in quello risultante dalle modifiche apportate, in sede di conversione, dalla legge n. 248 del 2006, promosse dalla Regione Veneto e dalla Regione Siciliana, in riferimento all'art. 117, terzo comma, della Costituzione.

Con la sentenza in argomento, il decreto “Bersani” incassa il “Si” anche dalla Consulta e restano in vigore le norme introdotte dal decreto stesso relative:
  • alla liberalizzazione delle professioni;
  • all'abolizione delle tariffe minime;
  • alla possibilità di fare pubblicità al proprio studio.
Ricordiamo, anche, che con il decreto “Bersani”è caduto il divieto di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni ed è venuto meno anche il divieto di fornire all'utenza servizi professionali di tipo interdisciplinare da parte di società di persone o associazioni fra professionisti.
I giudici, non hanno ravvisato, quindi, nessuna irregolarità precisando che con l’articolo 2 del decreto legge n. 223/2006 vengono eliminati i limiti alla concorrenza imposti dalle precedenti norme e, quindi, rientra nella materia relativa alla “tutela della concorrenza”; materia che appartiene, in via esclusiva, allo Stato.

In verità, nella sentenza, non mancano cenni ai numerosi input lanciati dall'Europa nel senso della liberalizzazione delle professioni e nella stessa viene precisato: “Con particolare riferimento alle restrizioni alla concorrenza nel settore delle professioni si deve, infatti, segnalare la Relazione sulla concorrenza nei servizi professionali presentata dalla Commissione il 9 febbraio 2004. Il 5 settembre 2005, la Commissione ha presentato il seguito della suddetta Relazione, in cui si giunge alla conclusione, tra l'altro, che gli Stati membri dovrebbero avviare un processo di revisione delle restrizioni esistenti, con riferimento sia alle tariffe fisse, sia alle limitazioni di pubblicità. In esito a tale relazione, il Parlamento europeo, il 12 ottobre 2006, ha approvato una risoluzione con la quale, tra l'altro, si invita la Commissione ad approfondire l'analisi delle differenze esistenti – in riferimento all'apertura del mercato – tra le diverse categorie professionali di ciascuno Stato membro, e, sul presupposto che l'obbligatorietà di tariffe fisse o minime e il divieto di pattuire compensi legati al risultato raggiunto potrebbero costituire un ostacolo alla qualità dei servizi e alla concorrenza, si invitano gli Stati membri ad adottare misure meno restrittive e più adeguate rispetto ai principi di non discriminazione, necessità e proporzionalità.”.

A cura di Paolo Oreto


© Riproduzione riservata